FRANCO RUSSO
Una simpatica conseguenza dell’essere invecchiato è il fatto che hai del tempo libero e, se hai vissuto, letto, ascoltato molto, sei pieno di pensieri che si rincorrono: facce, parole, versi, fatti, ricordi e ti ritrovi, con Montale, a spiar le file di rosse formiche / ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano / a sommo di minuscole biche. Così, qualche tempo fa, la formica età sinodale si è messa a rincorrere la formica perpetua e, insieme, hanno raggiunto il formico parroco e, tutte e tre, si sono ritrovati al sommo della maiuscola bica denominata Concilio di Trento. Un brivido irresistibile ha percorso le poche sinapsi ancora collegate e mano, penna e calamaio si sono coalizzati e hanno messo giù dei pensierini.
Abbiamo studiato a scuola il Concilio di Trento che, nella prima metà del Cinquecento, per una ventina di anni, saltellando tra Trento e Bologna, tra una peste e molte guerre, finse di cercare un impossibile accordo tra cattolici e protestanti. Già, finse perché, fin dall’inizio della partita, i cattolici spiegarono ai protestanti che l’arbitro lo mettevano loro ed era il papa, loro potevano toccare il pallone con le mani e gli altri no, le reti segnate dai cattolici valevano il doppio e quelle dei protestanti la metà e che alla fine la partita l’avrebbero, comunque, vinta loro. Era troppo e persino quegli zucconi veterotedeschi dei protestanti si ribellarono e, indignati, se ne andarono gridando arbitro venduto, partita taroccata, giocatevela da soli. Gli altri, naturalmente, se la giocarono ma, visto che avevano vinto a tavolino, onde evitare future rivincite decisero, saggiamente, che qualcosa, molto, andava cambiato e ne approfittarono per fare un reset della baracca e ridisegnare i fondamentali della ditta.
Mi pare di ricordare che tante belle e brutte cose, con le quali conviviamo ancora oggi, originarono dal Concilio: vabbè la Bibbia dei Luterani ma la Cassazione è il Papa; per Lutero solo battesimo ed eucarestia? ed io confermo gli altri cinque sacramenti, quelli che aiutano a controllare la vita e la morte, con l’intercessione del clero; e per quelli che hanno il maledetto vizio di leggere troppo voilà un elenco di libri proibiti: l’Indice; e poi creo delle Congregazioni di Cardinali e una la chiamo Uffizio – naturalmente Santo – con il compito di aiutare il papa ad arrostire quegli zucconi di eretici; e, già che ci siamo, anche due eserciti di fedelissimi al Papa, i Cappuccini e, soprattutto, i Gesuiti. Tutto fatto? No per la verità ci sarebbero ancora un paio di questioncelle. I quattrini? Beh, intanto abbiamo garantiti un bel po’ di benefici, poi stabiliamo Interdetto e Scomunica per re e principi che decidessero di mettere la manina nei benefici o, addirittura, pretendessero di farci pagare le tasse e, infine, stabiliamo qualche legame tra le elemosine e le indulgenze: più quattrini versi meno pesanti saranno i tuoi peccati. E siamo abbastanza a posto ma, intanto, diamo una strizzatina anche agli attributi degli ecclesiastici: vescovi e parroci abbiano l’obbligo di risiedere nelle diocesi e nelle parrocchie; finiamola di avere dei pretacci ignoranti ed amorali e istituiamo i seminari che siano, innanzitutto, un luogo controllabile ma anche un modello di moralità e di educazione; e cominciamo a stampare un bel Catechismo che aiuti i preti non proprio acculturati a leggere come si deve fare.
Una bella riforma, per gli anticlericali una Controriforma, che aiutò la Chiesa di Roma a controllare e plasmare ogni aspetto della vita sociale. Che il clima abbia favorito la crescita di intolleranze di cui furono vittime le pericolose minoranze: eretici veri e presunti, ebrei veri, intellettuali veri o sedicenti e donne, vere, verissime è un dettaglio che non inquina la grandezza del Concilio.
Ma torniamo all’età sinodale, alle perpetue ed ai parroci. Nel ’500 la durata media della vita era intorno ai trentacinque anni. Pare che, di lì, incominciasse la vecchiaia che, tuttavia, in soggetti che avevano dribblato, con successo, le malattie infantili, poteva anche protrarsi per altri venti o trent’anni. Ed ecco la genialata dell’età sinodale: ai poveri parroci serve un aiuto, naturalmente deve essere svolto da chi non abbia – e non possa avere – desiderio di promozione sociale ed economica, serve anche che non li induca in tentazione ma, al tempo stesso, non metta a rischio celibato e castità e che sia, infine, un investimento duraturo. Ed ecco i quarant’anni dell’età sinodale e la nascita delle perpetue. Che, naturalmente, non erano ancora Perpetue. Tanto per cambiare il nome – e le conseguenti acrobazie – bisognerà aspettare il solito don Lisander. Era Perpetua, come ognun se n’avvede la serva di don Abbondio; serva affezionata e fedele, sapeva ubbidire e comandare secondo l’occasione, tollerare a tempo il brontolio e le fantasticaggini del padrone, e fargli a tempo tollerare le proprie che divenivan di giorno in giorno più frequenti, da che aveva passato l’età sinodale dei quaranta, rimanendo celibe, per aver rifiutati tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei o per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dicevan le sue amiche.
A parte il termine serva, che oggi ci suona sgradevole ma che va contestualizzato, il ritratto che ce ne dà Manzoni non è così male, affezionata e fedele, sa ubbidire e comandare e tollerare. Con una minima concessione – che oggi varrebbero al povero Manzoni l’accusa di maschilista e sessista - a maliziose tempeste ormonali con risvolti sul carattere e un maliziosissimo riferimento al buon cuore delle “amiche”. Ma la figura di Perpetua acquista una rotondità positiva nei primi “consigli” al suo Don: io direi, e dico che lei gli scrivesse una bella lettera (al vescovo)… e guai se questi cani dovessero mordere tutte le volte che abbaiano! E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi stimare, gli si porta rispetto… e certo che quando il mondo si accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calar le… Gran donna mi veniva da dire una volta, lei sì vaso di ferro tra vasi di coccio! Al contrario del suo pavido “padrone”. Già, non sarebbe male se, una volta o l’altra, l’8 marzo fosse dedicato ad Alessandro Manzoni che, vedi un po’ come va il mondo, riesce a disegnare figure femminili tutte variamente positive riservando ai maschi, quasi tutti, i colori più sgradevoli.
Così abbiamo stabilito che le perpetue nascono nel Concilio di Trento mentre Perpetua è figlia dei Promessi Sposi. E dal ’500 ad oggi, anzi a qualche decennio fa, chissà quante perpetue hanno accudito, servito, curato migliaia di parroci. Probabilmente, in qualche caso, nelle rigide notti invernali, hanno spinto la loro devozione fino al punto di sacrificarsi per scaldare il letto del povero parroco infreddolito. Ma non ne ho le prove – ché tali non sono le maldicenze di paese – e, quindi, respingo questo pensiero maliziosamente anti – o filo – clericale. Personalmente ho il ricordo di perpetue, ben oltre l’età sinodale, che vigilavano, con fermezza, sulla vita privata dei parroci. E mi resta il rammarico di non essere riuscito a trovare dei documenti che ne celebrino la grandezza. Già, ribadisco, secondo me sarebbero figure femminili da celebrare ma mi rendo conto che sarebbe, politicamente, troppo scorretto. Non la pensa come me il papa regnante che, consapevole che nessuno oserebbe accusarlo di sessismo come avrebbero fatto volentieri con Sua Santità Benedetto XVI, si permette di richiamare i preti a non essere zitelle. Già, se gratti il gesuita viene fuori il Concilio di Trento.
Ma veniamo ai parroci. In Italia, negli ultimi cinque anni, si è chiusa una parrocchia al mese, i frequentanti le chiese si sono ridotti di un terzo, le vocazioni – degli italiani – sono in netto calo. I parroci rimasti invecchiano. Io, come tutti i miei coetanei credo, ho in mente alcune figure di parroci che ho conosciuto, non troppo da vicino a causa di una precoce miscredenza, e che mi piacevano. Figure garbate, discrete, disponibili e, a buon diritto, con medico, sindaco, farmacista e maestra erano compresi tra le “autorità” titolari di un potere da qualcuno esaltato da qualcuno temuto e, forse, sopravvalutato. Ma è vero che erano, comunque e inevitabilmente, figure di riferimento. Se un prete ti ha battezzato, cresimato, sposato, se ha battezzato i tuoi figli e accompagnato al cimitero i tuoi genitori diventa di famiglia e, in qualche modo, tendi a fidartene. Così i vecchi parroci sono stati quelli a cui si rivolgevano anche i Peppone del paese per consigli, non solo sulla morale o sui peccati, ma per problemi con i figli, liti con vicini e, addirittura, per consigli su affari. Sto, pericolosamente, pencolando verso il malinconico rimpianto di Guareschi: Don Camillo seduto al tavolo della canonica con Peppone ed un fiasco di vino ma ho la sensazione che quei parroci ci siano stati, stiano scomparendo e che non ci saranno più.
Ho due parroci amici: uno è quello del mio paese natale, Sale delle Langhe, dal quale faccio dire due messe all’anno, una per mio padre ed una per mia madre, don Aldo; dell’altro, che mi è caro caro, conoscendone pudore e reticenza, che lui chiama aposiopesi, non dirò il nome ma solo che esercita in tre parrocchie del bovesano. Che è come dire il peccato ma tacere il peccatore. Don Aldo, invece, esercita le funzioni di parroco, mi pare, in sette parrocchie di paesini del cebano. Tutti e due sono più o meno miei coetanei ed ho la sensazione che, quando si ritireranno, credo tra vent’anni, sarà difficile sostituirli. Anche perché le uniche vocazioni in aumento sono in arrivo dall’Africa e non credo proprio che giovani pretini neri, svantaggiati dalla non conoscenza del dialetto e delle storie di famiglia, possano prenderne il posto. Saranno un’altra cosa, avranno altre virtù ed altri interlocutori e, forse, saranno in grado di collegarsi meglio con le nuove realtà ma i parroci, quelli di una volta, non ci saranno più.