JOHN I. CLARKE
I due bambini che arrivano all’ingresso
del Caffè Bertaina, s’intrufolano
tra i tavoli come cuccioli ineducati davanti
alle sorelle, maggiori, sagge di otto e quasi
dieci anni; loro che lasciano i riccioli sciolti
sulle spalle e guardano con sguardo superiore.
I genitori scorrono le ultime de La Stampa
lasciando che la cioccolata faccia il suo effetto,
panna a cucchiaiate si mescola e affonda, ricca e
densa come l’amore in famiglia.
La ragazza nell’angolo annoda la
sciarpa alla moda, e mentre il suo ragazzo beve
dal fondo dei suoi occhi, con pollici veloci
contatta gli amici.
Fuori nella piazza, le donne sdentate
succhiano, spremono e rigurgitano pettegolezzi.
Questa è la panchina che offre la vista
delle pietre sul selciato e dietro le impalcature,
dei coppi obliqui e rotti, degli
anni che passano come fantasmi.
Le campane chiamano sonore,
un discordante clangore che ondeggia su muri,
su vicoli e viuzze che cadono dalla cima della collina,
sino ai cani di campagna incatenati e furiosi dietro
cancellate serrate, sino a file regolari
di vigne, ulivi, zucche e mais, sino a
bordi disseccati di campi dove vipere stanno
luccicando i loro diamanti al sole.
Sino al Santuario della Basilica
Regina Montis Regalis
dove un uomo ricco comprò e costruì il suo destino
per infilarsi nella cruna dell’ago.
Le campane della Chiesa della Missione,
l’invito stridulo di metallo servito a
quelli in lutto nelle berline nere perché s’affliggano, veglino
e celebrino.
Con l’unica lancetta
l’orologio della Torre in Belvedere
tutto raccoglie nella sua potenza; stipando
sorriso e pianto, arrivi e partenze,
unifica il tempo. E noi, i figli
di Mondovì siamo spazzati via dal suo quadrante.
Traduzione di Silvia Pio
Fotografia di Lorenzo Avico
Questa poesia è stata scritta dopo la visita di John I. Clarke a Mondovì, in seguito al gemellaggio poetico “Da terre a terre” https://www.margutte.com/?p=2287
Qui si trova l’intervista con il poeta https://www.margutte.com/?p=2356