STEFANO CASARINO
«La poesia e la canzone sono la stessa cosa, ma non si possono cantare carmi troppo alati; la canzone è per tutti: una poesia alla portata di tutte le borse.» Ho ripensato a questa dichiarazione di Georges Brassens (1921-1981) durante la magnifica serata in suo onore, organizzata dall’ormai consolidata “triade culturale” di Mondovì (Gli Spigolatori, la Delegazione di Cuneo dell’A.I.C.C. e il Centro Studi Monregalesi, che ha messo a disposizione la sua sede, in via Monte di Pietà 1) la sera di venerdì 23 marzo.
Maestro cerimoniere della serata è stato Franco Settimo, profondo conoscitore di musica e appassionato esegeta del cantautore francese: egli ha guidato il numeroso pubblico presente con garbata acribia alla conoscenza di un autentico Maestro, amatissimo in Francia ma rimasto qui in Italia “autore di nicchia”.
Molto ben calibrata l’impostazione della serata: coadiuvato benissimo da eccellenti musicisti, il conferenziere ha ripercorso l’evoluzione stilistica e creativa di Brassens ma ha soprattutto contrapposto la musica italiana di quel periodo (approssimativamente i due decenni dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta del secolo scorso), tutta basata sull’evasione e sulla leggerezza, a quella francese, ben più seria e impegnata.
Vanni Viglietti con la sua consueta bravura di fisarmonicista ha tratteggiato percorsi agili e godibilissimi di motivi italiani ben noti e il pubblico l’ha accompagnato, dapprima canticchiando, poi, su suo invito, cantando disinvoltamente, dalla Casetta in Canadà a Papaveri e Papere, da La donna riccia a Volare, tanto per citare qualche brano.
È toccato all’ottimo gruppo dei Casta Diva (Alessandro Bertolino e Matteo Bessone alle chitarre; Alfio Bertolino al basso; Nicholas Basso alla batteria e Lorenzo Turco alle tastiere) accompagnare Franco Settimo nell’esplorazione e nell’esemplificazione di celebri canzoni di Brassens, tradotte e in qualche misura persino ricreate, da un altro Maestro, Fabrizio De Andrè: i giovani musici, perfettamente a loro agio coi loro strumenti, ci hanno deliziato con le bellissime interpretazioni di Il gorilla, Delitto di paese e di Crêuza de mä (quest’ultimo, omaggio esclusivo – e particolarmente apprezzato da un ligure come il sottoscritto – a Faber).
Tre poesie-canzoni notevolissime che meritano, credo, qualche parola di commento: la prima, cantata da Matteo Bessone con pregevole perizia, è la versione posteriore di una ventina d’anni all’originale di Brassens. Un testo graffiante, che incorse (né avrebbe potuto essere diversamente) nella censura dell’epoca: ideologicamente intriso della convinta opposizione alla pena di morte (abolita in Francia dal Presidente Françoise Mitterand soltanto nel 1981), il testo è emblematico dell’anarchismo di Brassens e della sua spiccata antipatia per tutte le figure di garanti dell’ordine costituito, in primis i giudici. La seconda, ancora benissimo interpretata da Matteo, consente di apprezzare sino in fondo l’opera di autentica emulazione che De André ha operato sul testo francese: un solo esempio, laddove Brassens indica esplicitamente “Paris”, egli mette genericamente “nella capitale”, ma ciò gli permette poi la rima con “i fiori del male”, cripto citazione baudelairiana. E così per tutto il testo: senti Brassens e hai un’ironia mordace ma tutto sommato benevola, uno sguardo agnosticamente accorto; senti De André e hai sarcasmo, rabbia, disperazione. Ma grande cultura, squisita sensibilità ed ampiezza di pensiero in entrambi.
L’ultima canzone, infine, cantata con notevole talento da Alfio Bertolino, è certamente un unicum nell’intera produzione musicale del secolo scorso: già l’adozione dell’ostico genovese rappresentò per l’epoca (1984) una sfida notevole. È, a mio giudizio, accostabile al Montale di Ossi di Seppia, incarna come molti testi del grande Poeta l’essenza stessa della “liguricità”, ma qui è bene che mi fermi.
Come, purtroppo in quel caso, si è fermata la bellissima offerta musicale e il sapido commento del nostro intrattenitore.
Ed è stato un peccato, il pubblico, che ha tributato lunghi ed intensi applausi al termine di ogni singola esecuzione, avrebbe certamente gradito ancora altri brani, ancora altri spunti di riflessione.
Ma tutto ciò può, deve avvenire anche a livello personale: riaccostarsi a Brassens e a De André, ascoltare canzoni d’autore, riflettere sul fatto che talvolta poesia e canzone sono davvero vicine (è dall’osmosi musica e canto che da Omero in poi nasce l’espressione poetica) è un’esperienza che fa bene all’anima, che aiuta a vivere.
Perché cantando (ma anche ascoltando, aggiungerei sommessamente) il duol si disacerba, come dice perfettamente il Poeta.