È pazzesco, mia figlia mi legge il diario.
Non l’ho mai fatto io quando era ragazzina e sapevo che teneva un quadernino chiuso con una ridicola chiave di plastica. Né le ho mai letto gli sms quando ha avuto il cellulare (non è stata proprio una scelta, aveva messo il pin). Ho evitato di origliare quando parlava al telefono. Ho smesso di mettere a posto nei suoi cassetti quando pensavo potessero esserci delle cose nascoste (e ora i suoi armadi scoppiano di oggetti non identificabili).
E non solo me lo legge, me lo copia.
Stavo su Internet a controllare che un giornale online avesse scritto correttamente alcune informazioni che avevo mandato quando mi è venuto lo sghiribizzo di inserire il mio nome e cognome sul motore di ricerca. Lo abbiamo fatto tutti una volta, no? (Dopo aver digitato il nome del primo fidanzato, e quello della vicina di casa). Bene, oltre al sito del giornale online c’era un altro link ad un blog (ma che lingua è questa?). DAL DIARIO DI MIA MADRE. Il blog è di mia figlia.
C’erano le pagine più succose. Quando sono andata a cena con un ex, quando con le amiche abbiamo visitato il quartiere a luci rosse di Amsterdam, persino quando ho confessato che non mi sarebbe spiaciuta una notte con il marito della vicina.
C’erano le pagine più tormentate. Quando ho firmato il divorzio con condizioni assolutamente svantaggiose, quando ho presenziato alla riesumazione di mio nonno e quando sono scoppiata a piangere davanti all’ispettore delle imposte.
E poi le pagine più nascoste, ancora più segrete delle altre. Quelle scritte nelle notti di insonnia, dove il mondo acquista tinte folli e mi sembra di essere come un dio, o un demonio.
Tutto. Compreso il mio nome. Nel suo blog, che si chiama come un romanzo di fantascienza e sul quale si presenta con uno pseudonimo da eroina teutonica.
Ho incassato male il colpo. Ho dovuto far un po’ di respirazione yoga e ingollare un ansiolitico. Poi sono uscita a piedi verso il parco fluviale, come faccio per scaricare i nervi.
Come sempre dopo il rito respirazione-pastiglia-camminata divento più lucida. E mi pongo l’ovvia domanda: come ha fatto?
Tengo un diario dall’età di undici anni. Conservo i vecchi diari, in ordine cronologico, nell’armadio a muro della mia camera, ben nascosti dietro all’enciclopedia che nessuno più consulta. Naturale che di questi tempi moderni io abbia smesso i taccuini (anche se in borsa ne tengo sempre uno per i pensieri estemporanei) e da qualche anno scriva al computer, conservando i file annuali in una chiavetta. La chiavetta! C’è una scatola di cuoio vicino al computer con dentro dieci chiavette, tutte ben etichettate: lavoro, foto, condominio, diari. Semplicissimo per chiunque leggere cosa scrivo, figuriamoci per lei che usa spesso la mia connessione Internet perché dice che è più veloce.
Ora che ho risolto il come, mi domando: perché? Posso capire che ad una figlia venga la curiosità di sbirciare i diari della madre (però se penso alla possibilità di conoscere l’intimo della mia di madre mi vengono i brividi, per fortuna non si è mai sognata di tenere un diario), ma renderli pubblici… Con il mio nome…
Ho camminato per due ore, tempo ottimale per smaltire la rabbia (o qualsiasi altra emozione problematica, basta andare ad un passo deciso e farsi venire male alla milza, chiodo scaccia schiodo), ed ora posso tornare a casa e affrontare mia figlia.
È già arrivata, sento la radio in camera sua. Vado dritta verso la musica, busso ed entro prima che lei mi dica di farlo. Mi guarda come si guarda un dio, o un demonio.
“Mammina, carissima mammina cara” (quando dice così deve farsi perdonare qualcosa), “come stai?”
“Non bene” (vado diretta al punto), “ho visto il mio diario sul blog”.
“Lo so” (lo sa?), “vengono registrati gli indirizzi di chi visita il sito”.
“È legale?”
“Boh, chi se ne frega” (la strozzerei), “comunque devo chiederti scusa per non aver detto a Lea (la sua complice nel blog) di togliere il tuo nome. Ora è tutto a posto, l’abbiamo tolto”.
“È tutto a posto? E mi chiedi scusa per il nome? Ma come ti sei permessa di leggere i miei diari e di pubblicarli!” (qui la mia voce raggiunge il limite di decibel sopportabile da un essere umano, pensavo che la rabbia mi fosse passata).
“Mamma” (ora è seria anche lei), “sono bellissimi, pieni di passione. Ho imparato tante cose di te leggendoli, e voglio che li conoscano anche i miei lettori. Non pensavo che tu fossi così profonda e tormentata. E succosa… Perdonami, avrei dovuto chiedere il permesso…”
“Non te l’avrei mai concesso” (sì, forse la rabbia è passata).
“Forse per questo non te l’ho chiesto. E ora immagino che mi costringerai a smettere con la rubrica DAL DIARIO DI MIA MADRE”.
In un flash penso a tutte quelle parole scritte in tutti quegli anni. Al desiderio che qualcuno potesse leggere i miei pensieri, conoscere la mia storia, sapere di me.
“No, tienila pure la rubrica (le cade la mascella dallo stupore), ma da’ a me l’incarico di scriverla. Non saranno proprio i miei diari veri, aggiungerò più particolari succosi e magari i tuoi lettori saranno ancora più interessati”.
L’espressione di stupore si trasforma in sorriso da orecchio a orecchio. E ora sorrido anch’io.
(disegno di Silvia Pio)
Margutte ha già pubblicato “Dal diario di un’aspirante scrittrice” https://www.margutte.com/?p=1822 e “Dal diario di una ragioniera” https://www.margutte.com/?p=1815, e pubblicherà pagine di altri diari.