GIANCARLO BARONI
Verona è così ricca di storie, leggende, arte, natura, che risulta difficile trovare un fatto, un avvenimento, un racconto, un monumento, un ambiente, capaci di primeggiare da soli sugli altri, risulta complicato individuare un luogo da cui iniziare la visita; c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Uno dei simboli e delle icone di Verona è indubbiamente l’Arena, l’ imponente anfiteatro (I sec. d.C) che ospitava gladiatori e fiere e oggi cantanti e orchestre. Le altre architetture di epoca romana disseminate e inglobate nella città (il teatro, Porta Iovia oggi Borsari, Porta dei Leoni e l’Arco dei Gavi) non si riducono a isolate e frammentarie rovine. Da sempre Verona collega fra loro pianura padana e zone alpine, il Nord e il Sud d’Europa. E’ ponte, porta e soglia.
Vi soggiornò a lungo il re goto Teodorico che morì verso il 526; una leggenda (accennata in un bassorilievo sulla facciata della basilica di San Zeno e raccontata da Carducci nella poesia “Teodorico di Verona”) narra che il re, mentre si bagnava nell’Adige, vide un cervo magnifico; per inseguirlo salì in groppa a un misterioso cavallo, un essere diabolico che al termine di una lunga corsa gettò Teodorico dentro il cratere di un vulcano infernale. Verona è stata la prima capitale del regno longobardo; qui, nel 572, re Alboino venne ammazzato dalla moglie. La macabra storia romanzata riferisce che Rosmunda, aiutata da alcuni complici, si vendicò del marito che l’aveva costretta a bere nel teschio del padre.
Anche a causa del devastante terremoto che nel 1117 colpì l’Italia del Nord e particolarmente Verona, è nel corso del periodo comunale e poi della signoria scaligera (1277 – 1387) che la città delinea il volto e l’aspetto che ammiriamo. La chiesa di San Zeno è un gioiello dell’arte romanica; le gotiche Arche scaligere esaltano la forza guerriera dei Della Scala e proiettano verso il cielo le statue equestri che sostengono. Nella chiesa di Sant’Anastasia iniziata nel 1290, un affresco di Pisanello raffigura un cavaliere che non teme confronti: il biondo ed elegante San Giorgio che sotto gli occhi trasognati della Principessa sale sul suo bianco destriero per sconfiggere il Drago, emblema del Male.
Dante lungamente godette dell’ospitalità dei signori veronesi; nel Purgatorio accenna vagamente ai “Montecchi e Cappelletti”. La tragedia di Shakespeare, che inizia con queste parole: “L’azione si svolge nella bella Verona”, renderà immortale l’impossibile ed eterno amore fra Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti; il cortile della casa di Giulietta accoglie oggi folle di turisti e innamorati di ogni parte del mondo.
Verona è città di acque e di ponti. L’Adige, il secondo fiume italiano più lungo, l’attraversa. Il Ponte Scaligero (costruito a metà Trecento, fatto saltare nel ’45 dai tedeschi in ritirata e accuratamente ricostruito nel primo dopoguerra) mette in comunicazione la trecentesca fortezza di Castelvecchio (oggi sede del Museo Civico) con l’altra sponda del fiume. Da Castelvecchio, costeggiando l’Adige, si arriva a una piazza dove si trova, affiancata da una torre e da un campanile, una delle più belle chiese romaniche italiane, San Zeno. Sull’altare risplende la Pala di Andrea Mantegna, capolavoro rinascimentale; nella cripta sono custodite le spoglie del santo protettore, vescovo di Verona nella seconda metà del IV secolo e originario dell’Africa del Nord. La popolare scultura duecentesca, il “San Zen che ride”, lo raffigura di carnagione scura, sorridente, una mano che stringe il pastorale da cui pende un pesce. Alcuni suoi miracoli hanno come scenario l’Adige nel quale il santo volentieri pescava: arrestò un’inondazione, resuscitò un annegato, salvò un uomo e i suoi buoi trascinati dalla corrente.
Vicino a San Zeno e all’Adige c’è San Zenetto o San Zeno in Oratorio, qui è custodito il grosso sasso su cui, riferisce la leggenda, il santo si sedeva per pescare in riva al fiume. Proprio partendo da questa chiesetta appartata si potrebbe cominciare la visita a Verona; non conviene concluderla prima di avere visto il Museo di Storia Naturale (custodisce i fossili di Bolca: centinaia di specie vegetali e animali, prevalentemente pesci, che risalgono a cinquanta milioni di anni fa), un museo dove la scienza diventa anche arte.
San Zeno di Verona
(viene descritto sorridente mentre, seduto sopra un sasso, pesca nel fiume. Si narra abbia resuscitato un annegato)
“Guarda se come a Lazzaro
sai ridargli la vita”. Trascinano
il corpo dell’affogato
davanti ai miei piedi. “Dunque
ne sei capace?” Si beffano
del poco che ho pescato. “L’acqua
dell’Adige con noi è generosa” – rido
del loro ridere. “Ritorna fra di noi
dico svegliandolo. E voi siategli amici”.
(tratta dalla sezione “Le città dei santi” compresa nella raccolta “Le anime di Marco Polo”, Book Editore, 2015)
Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.