GABRIELLA MONGARDI
Sono sempre stata una lettrice esigente, per non dire incontentabile. Il fatto è che mi sono educata sui classici, il mio palato è diventato raffinato… Poi, ho un’acuta consapevolezza del valore del tempo, e non voglio sprecare il mio a leggere libri di poco o nullo valore, libri piatti, banali, noiosi, libri che non mi “danno” niente.
Così, per non correre rischi, da anni mi ero orientata più verso la saggistica e la poesia che verso la fiction: la saggistica per la mente, la poesia per il cuore – e per il romanzo il cartello “tutto esaurito”: mi limitavo a rileggere i classici, per non correre rischi. Lo so, lo so, la mia è una semplificazione eccessiva: ci sono saggi poetici e inebrianti, come quelli del fisico Carlo Rovelli; ci sono poesie che nutrono la mente, come quelle di Leopardi; e anche sui romanzi mi sono dovuta ricredere…
Un giorno una mia amica, redattrice di una piccola casa editrice che pubblica testi di autori per lo più locali, mi ha chiesto di aiutarla nella revisione di un dattiloscritto candidato alla pubblicazione. Sembrava un’opera farraginosa, prolissa, probabilmente non se ne sarebbe fatto niente, ma come potevo rifiutare? L’amicizia è sacra!
Così ho cominciato a leggere di malavoglia, per puro senso del dovere, quello che si presentava come un romanzo fantasy (assolutamente non il mio genere) e aveva un titolo scritto a mano, con una grafia indecifrabile. Indisponente. L’ho preso in mano con una smorfia di disgusto: volevo solo andare a caccia di refusi, errori, incoerenze; non mi interessavano la trama, i personaggi, le ambientazioni…
La prima cosa che mi ha colpita è stata la lingua: era italiano, certo, era la mia madrelingua – ma da quelle pagine mi veniva incontro trasfigurata, quasi irriconoscibile, come se fosse una lingua straniera. Quasi a ogni pagina imparavo un nuovo modo di usarla, e a poco a poco mi sono accorta che non andavo più a caccia di errori, ma a caccia del segreto di quello stile così singolare ed elegante…
A prima vista era un italiano facile, usuale: in realtà a livello lessicale s’intrecciava una polifonia di registri straordinaria, e le parole erano combinate in modo profondamente innovativo, con scarti minimi, impercettibili dalla norma, l’accumulo dei quali però produceva quell’impressione di inimitabile originalità che fa guardare alle cose con occhi nuovi. E poi c’era la musicalità, il ritmo creato con sapienti riprese, inversioni e variazioni, c’erano i versi dissimulati nella prosa nei punti più alti… Insomma: era una lingua non parlata da nessuno, un italiano colloquiale, scientifico e musicale insieme. E soprattutto: erano anni che non leggevo qualcosa di simile, un autore moderno con la statura di un classico… altro che libro destinato a un piccolo editore! Per me era un vero, indiscutibile capolavoro, un libro da Nobel.
Mi sono dunque buttata a capofitto in quella lettura, stregata da quella lingua, disposta a perdonare il fantasy, i maghi, i mondi paralleli e tutte le astruserie fantascientifiche che li condiscono, disposta a interpretare il tutto come una allegoria tra disincantata, amara e commossa…
E se sono riuscita ad andare avanti nella lettura, se non mi è mancato completamente il fiato, è stato solo perché l’autore sostiene il lettore dosando magistralmente l’ironia, la raffinata nitidezza dello stile, l’intensità “mitica” di certe immagini, come fa Mozart nel Flauto magico.
Sì, questo romanzo è l’equivalente del Flauto magico, è una fiaba che celebra il magico nella vicenda umana e ci mette a contatto con l’inspiegabile, ma senza che ne restiamo schiacciati, grazie alla sua levità… È un romanzo terapeutico, saggistico e poetico insieme, che parla alla mente e al cuore contemporaneamente come solo un grande romanzo può fare: è un romanzo che, come la musica di Mozart, esprime ciò a cui noi non sappiamo dare un nome e trova al problema della vita una soluzione in modo paradossale e ineffabile, ragion per cui non c’è più motivo di parlarne…
Ah, dimenticavo: la mia amica dice che ho fatto un ottimo lavoro di revisione, e per ringraziarmi mi ha regalato… un romanzo: un romanzo realistico-psicologico ambientato qui, tra le montagne che amo, un romanzo che in teoria avrebbe tutti i numeri per piacermi, ma… non c’è paragone, non ci siamo proprio! Insipido. Scontato. Soporifero. Linguisticamente penoso, quando non scorretto. Leggerlo è tutto tempo sprecato. Meglio i saggi. O le poesie.
(in copertina, una delle Lettrici Ideali di Cinzia Ghigliano)
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