FEDERICA CIOPPI
Difficile storia quella della famiglia Mann e allo stesso tempo seducente e fragile. Seducente come l’aura rassicurante del “gigante” letterario circondato, nell’elegante casa di Monaco, dalla sua numerosa e apparentemente solida famiglia; fragile come le pieghe dei (reali) complessi rapporti famigliari fra Thomas e i suoi sei figli (Erika, Klaus, Golo, Monika, Michael e Elizabeth) che poco a poco si incrinano dietro le insidie distruttive dell’epoca fra la prima e la seconda guerra mondiale. Se ci si addentra nella storia della famiglia Mann si rischia di rimanere catturati (e stranamente affascinati) in un sentimento di maledizione, cinismo e morbosità.
Fra lacerazioni, esilio e suicidi sullo sfondo della Germania nazista, i figli di Thomas Mann sono tutte personalità eccezionali, scrittori, romanzieri, geni dell’arte. E vivono tutti all’ombra del titanico padre, il premio Nobel, che nel suo egocentrismo non li apprezza e tanto meno li incoraggia.
Solo Erika (1905-1969), la primogenita, ha il privilegio di godere delle grazie del «mago» (così i figli chiamavano Thomas Mann). Scrittrice, attrice di teatro e cabaret, critica letteraria, giornalista, attivista politica, «figlia meravigliosa e impavida» e, infine, unica curatrice delle opere del padre, vive da favorita una vita libera e nomade, fuori da ogni convenzione, in costante e tenace difesa della verità. Non nasconde al mondo la sua omosessualità e l’uso di droghe, aderisce con fervore ai movimenti femministi e si scaglia con disprezzo contro gli orrori della politica hitleriana. La sua scrittura è asciutta, diretta, leale.
Erika studia recitazione a Berlino nel 1924 e in questi anni avvia la sua militanza artistica insieme all’amato fratello Klaus.
È autrice e direttrice di un cabaret politico Die Pfeffermühle, «il macinapepe», che viene inaugurato a Monaco nel 1933 e diventa ben presto un rifugio per gli oppositori del regime. Erika ne è anche attrice, la sua presenza in scena con il costume bianco da Pierrot ricorda vagamente i monologhi del teatro espressionista tedesco, ma con toni affatto esasperati e concitati.
Il cabaret tuttavia non ha una vita lunga. In quello stesso anno Hitler fa il suo famoso discorso alla nazione e da quel momento in poi la propaganda del regime si allarga a macchia d’olio; assorbe le menti, appiattisce la coscienza critica e censura violentemente ogni forma di opposizione. Gli attori del «macinapepe» chiudono il sipario e tentano, senza successo e senza ritorno, la fortuna in altri paesi fino in America, ultimo rifugio degli intellettuali antinazisti.
Proprio in America nel 1936 dove il teatro fallisce, nasce per l’inarrestabile Erika Mann l’attività di propagandista politica. Klaus, il fratello, è con lei e lavorano intensamente sulla scrittura. Mentre Erika tiene conferenze nei più importanti atenei degli Stati Uniti, Klaus scrive racconti e sceneggiature. Diventano un binomio indissolubile, un tutt’uno. La loro fama verso la fine degli anni ’30 diventa mondiale e l’ambiente intellettuale li apprezza e riconosce, questa volta, per il loro stile e non più come riflesso del genio paterno. Il loro attivismo diventa un vero e proprio proclama.
Nel 1938 anche il padre Thomas lascia l’Europa per gli Stati Uniti e Erika lo aiuta ad ambientarsi. L’esilio americano diventa la nuova patria (soprattutto letteraria) per la famiglia Mann (Thomas Mann scrive Doktor Faustus) e Erika si immerge con foga pubblicistica nel cuore di avvenimenti storici cruciali come lo sbarco in Normandia e il processo di Norimberga che segue direttamente come giornalista corrispondente della BBC.
Alla fine della guerra Thomas Mann fa ritorno in Europa, in Svizzera, mentre Erika pensa a un ritorno in Germania. Tuttavia la tragedia li colpisce: Klaus si suicida a Cannes nel 1949. Erika è sconvolta, il padre sembra indifferente. Klaus, bellissimo ragazzo, dandy libero e irrequieto, rappresenta per Thomas Mann tutto ciò che avrebbe voluto essere e che invece aveva sempre taciuto e inibito. Come l’omosessualità, vissuta apertamente da Klaus, ma con la quale Thomas Mann non fece mai i conti, preferendo reprimerla in un matrimonio prolifico e sublimarla nelle decadenti, per quanto affascinanti, figure dei suoi romanzi. Con la morte del fratello Erika piomba in una profonda crisi artistica e umana, si sente sola. Il dolore è grande e l’esilio diventa insostenibile, soprattutto senza Klaus.
L’ultimo periodo letterario di Erika Mann, a partire dal 1952, conosce una nuova fortuna grazie al padre che raggiunge a Zurigo per lavorare come curatrice delle sue opere. Thomas la vuole al suo fianco come unica collaboratrice, si fida solo di lei.
Erika lo segue con affetto, si dedica al padre anima e corpo, cura il lascito di famiglia e, per ironia della sorte, diventa a tutti gli effetti la rappresentazione di ciò che da giovane ha sempre ostinatamente combattuto: la devota figlia di Thomas Mann.
Muore a Zurigo il 27 agosto 1969.
Bibliografia essenziale
SIEGMUND GINZBERG “Mann La famiglia incantata” comparso su La Repubblica 14 novembre 2010
ITALO ALIGHIERO CHIUSANO “Casa Mann”, La Repubblica 29 marzo 1988
ERIKA MANN, Quando si spengono le luci (a cura di Agnese Grieco), Milano, Il Saggiatore, 2013