“Saggi Pop” di Claudio Sottocornola: un ossimoro e un osservatorio

saggi-pop-c-sottocornola-marna-2018

MARIO BONANNO

Più ci dirigevamo a ovest più sull’autostrada ogni cosa appariva pop. Improvvisamente sentivamo di far parte di qualcosa, perché anche se il pop era ovunque, per noi era la nuova arte. Una volta che diventavi pop non potevi più guardare un’insegna allo stesso modo. Una volta che pensavi pop non vedevi più l’America come prima.

Andy Warhol

 Vallo a spiegare agli sciami inestetici di quest’era sbandata che la bellezza c’entra poco con la “forma” fisica quanto piuttosto con un un’idea ineffabile, intorno alla quale si è dato da fare il meglio dei pensatori della storia (quando ancora esisteva una storia). Gli esempi che seguono sono riconducibili alla Grecia antica dove la filosofia gettava i primi semi: per la poetessa Saffo bello è tutto ciò che appare come “integro” (e va beh, qui il richiamo alla fisicità ci potrebbe anche stare). Per Omero è bello ciò che più è “audace”. Per Erodoto, addirittura, morire prima della propria discendenza, è bello. O in alternativa ambire a una “bella morte”, soprattutto se acquisita in battaglia, battendosi per la patria. Bello sarebbe addirittura un concetto prossimo a Giusto e Vero, coincidente con l’intellegibile, secondo gli idealisti Platone (prima) e Plotino (poi).

E il pop (come categoria estetica). C’entra qualcosa, il pop con il bello?

Mi sembra opportuno evidenziare come la semantica pop, oggi abbia rotto gli argini etimologici (pop è un’abbreviazione di popular, cioè di pertinente al popolo) reiterandosi a un passo dalla svalutazione di senso. A prescindere dalla sua potenziale intrinsecità col bello, l’aggettivo pop assume piuttosto connotati di superficiale ripetizione, si perpetra sotto i riflettori, sorretto dalla luce. Dalla rivelazione immaginifica (accattivante) dell’oggetto rappresentato, talvolta persino dell’osceno, si parva licet. In altre parole: sotto l’egida del pop-passepartout, viene spesso esibito ciò che per senso estetico (prima ancora che etico) andrebbe mantenuto occulto. Vale per i genitali in azione dei film a luci rosse, vale per certe canzoncine-ine-ine che sgomitano nelle classifiche. Vale, allargando il campo alla società dipendente-digitale, per ogni immagine non necessaria divenuta pubblica (postata) senza altra finalità che il mostrare per il mostrare. Insomma: mai come oggi pop è un aggettivo (s)qualificativo trasversale. Una specie di scorciatoia artistica per assegnare connotazioni aggiunte (?), agli ambiti più svariati della contemporaneità: dalla moda alla musica, dalla letteratura alla pittura, all’architettura. Come sostiene Andrea Mecacci ne “L’estetica del pop. Teoria e miti della cultura di massa” (Donzelli, 2011), pop è in realtà un modo di “sentire” il mondo (di stare al mondo?, di vedere il mondo?). Una filosofia di vita prima ancora che una corrente espressiva, le cui fondamenta parrebbero rintracciarsi in un viaggio iniziatico: quello intrapreso sulle strade dell’ovest americano da un giovane Andy Warhol e la sua coorte di amici fumatori di marijuana e/o altre diavolerie.

Il senso prodromo della pop culture si sarebbe rivelato dunque d’improvviso, come una teofania. Da qui sono discese la copertina di Sgt. Pepper’s dei Beatles (Peter Blake) e la famosa banana per l’album d’esordio dei Velvet Underground (disegnata dallo stesso Warhol). Le tettone kitsch dei film di Russ Meyer, Barbarella e persino qualche romanzo. Una sorta di contaminazione globale che ha accompagnato il transito dal moderno al post-moderno, dal post-post moderno alla presunta fine della storia, inglobando alto e basso, oggetti e costruzioni, televisione e cartoons, l’immaginario collettivo quanto le acconciature di Madonna e i vestiti di Elton John.

Arrivo ora a questo libro di Claudio Sottocornola e, a scanso di possibili dietrologie, al “come mai” ho deciso di occuparmene, nonostante la dichiarata prossimità col genere che più di tutti ho avversato sul fronte aureo della canzone di contenuto[1]. Quelli che seguono sono concetti espressi da Sottocornola nell’introduzione al volume:

“(…) lontano dai luoghi del paludamento accademico (…) ho guardato con il consueto desiderio a quel mondo del pop che, lungi dall’essere per me quello del marketing, resta quello del popolo, per quanto ormai insidiato da strategie corruttive strutturali al sistema socio-economico in cui viviamo, e proprio perciò bisognoso di recuperare memoria storica e senso di appartenenza

Se le parole contano ancora qualcosa, Claudio Sottocornola riconduce il pop al suo stato primigenio e virginale. Sottocornola si occupa di pop (se ne occupa da filosofo, da insegnante, da storico della canzone italiana, persino da cantante) in modo antropologico, dialettico, non apologetico, autenticandone il senso. Meglio ancora: restituendo la locuzione alla sua matrice assiologica, alle sue potenzialità smarrite. Mi pare basti a rendere l’idea di un filosofo forgiato al conio dell’idealismo ma senza snobismi, implicito alla terra. A rafforzarne la caratura di ermeneuta sbieco – uno sguardo al metafisico uno all’ontologico -, speculatore pop (appunto), pensatore persuasivo. Uno Sgalambro autarchico, uno spirito libero, un poeta, un interprete, un polemista senza livore, un pedagogo senza scranno.

Questa sua antologia si intitola “Saggi pop” ed è un ossimoro e un osservatorio speciale al tempo stesso. Comunque la pensiate sui teenager di ieri e di oggi, su Dio, Wanda Osiris, le veline, la filosofia, i talk show, la canzone d’autore e quella di Mina, la moda; comunque la pensiate su un bel po’ di altre espressioni contigue (se non commiste) al concetto estetico (nobile) di cultura popolare, in questo libro troverete l’ideale terreno di confronto: di caso in caso, lo sdoganamento o la stigmatizzazione motivata delle declinazioni pop che ci avviluppano tutti come l’edera di cui cantava Nilla Pizzi. I saggi pop di Claudio Sottocornola sono attraversati da equidistanza filosofica, valgono la pena di essere letti e meditati solo per questo.

Per altri libri e in altre circostanze ho cercato di provare quanto Sottocornola risulti organico alla fenomenologia popolare e alle sue coniugazioni svariate (compresa quella musicale). Nella fattispecie rafforzo il concetto, affermando a chiare lettere che questa sua organicità – comprovata sul campo via teoria (testi) e prassi (lezioni-concerto e reading) – (mi) risulti salutare, anti-pregiudiziale, libera, vetero-gramsciana, per certi versi anche ardimentosa, e dunque da assumere con il dovuto rispetto, se non da introiettare con molta attenzione.

Non bisogna riconoscersi per forza in chissà quale conventicola filosofica per sentire come propri incipit di questo tipo:“Che il pensiero debole regali una luce abbagliante in cui tutte le cose brillano ugualmente o una notte indistinta rotta da saltuari flash, poco importa. Medesimo è l’effetto di rimodellamento del paesaggio culturale in cui viviamo, con conseguenze ambivalenti: da un lato finalmente mettiamo in discussione contenuti e gerarchie valoriali pedissequamente date a lungo per certe; dall’altro perdiamo, con ogni priorità, direzione, speranza e metodologie di vita. Finiamo col girare in tondo, come una mosca impazzita”.

Le pagine che seguono comproveranno insomma che passioni e idiosincrasie di Claudio Sottocornola non sono progenie di elitarismi, meno che mai di sanfedismi e/o di parole spese a caso. Esistono modi e modi di speculare intorno agli specifici pop, i modi di questo libro risultano tra i più densi, eterogenei, stimolanti, che vi possa capitare di incrociare.

Mario Bonanno, Praefatio, in CLAUDIO SOTTOCORNOLA, Saggi Pop, Marna 2018

www.claudiosottocornola-claude.com

Mario Bonanno è un giornalista culturale. Ha collaborato, fra gli altri, con i periodici Anna, Film TV, Duel, Diario, left, e con i quotidiani Terra e La Sicilia. Per Bastogi ha fondato e diretto il periodico specializzato Musica & Parole. E’ autore di una ventina di saggi sui cantautori italiani, fra cui Con rabbia e con amore. Dizionario del cantautori italiani (Bastogi, 2004), Max Gazzè (Bastogi, 2004), Anni affollati. L’Italia e i cantautori 1973-1983 (Bastogi, 2009), Io se fossi Dio. L’apocalisse secondo Gaber (Stampa Alternativa, 2013), E’ sempre musica: Una guida alle canzoni di Angelo Branduardi (Ass. Culturale Il Foglio, 2014), Il cantautore delle domande consuete. Francesco Guccini (Aereostella, 2014), La musica è finita. Quello che resta della canzone d’autore (Stampa Alternativa, 2015), La protesta e l’amore. Conversazioni con Luca Bonaffini (Gilgamesh edizioni, 2015), Ho sognato di vivere. Variazioni sul tema del tempo in Roberto Vecchioni (Stampa Alternativa, 2017).


[1] Passo per cultore ortodosso della canzone d’autore italiana che nella sua accezione classica si pone come antitetica alla musica pop.