Una nota su TESTIMONIANZE DI VOCI POETICHE. 22 POETI A PARMA,
Coordinata da Luca Ariano e Giancarlo Baroni, Puntoacapo Editrice, Pasturana (Al), 2018
STEFANO VITALE
La nota introduttiva dei curatori chiarisce subito che non si tratta di un’antologia critica, ma di un’antologia «dove un gruppo abbastanza ampio di poeti, che con Parma ha e mantiene un legame profondo, si presenta ai lettori. Poeti assai diversi fra loro, come avrete modo di verificare». E poco oltre si aggiunge che non si tratta di poeti “di “Parma ma di poeti “a” Parma. Insomma lo scopo sembra essere quello di dedicare alla città un omaggio letterario da parte di chi ad essa si sente legato, per caso, per storia personale, per scelta. In effetti, chi prenda in mano quest’antologia pubblicata dalla attivissima Puntoacapo Editrice, si sentirà proiettato prima di tutto in uno spazio culturale che è certamente geografico, ma che è anche qualcosa di più. In tempi di omologazione e di chiusure politiche e culturali, in cui la stessa poesia si alimenta di conventicole e gruppi più o meno di potere, quest’operazione editoriale ha un sapore diverso: quello dell’ascolto reciproco, del piacere di incontrare quel che non ci rassomiglia. Si badi bene: i gruppi che si ritrovano attorno ad un progetto letterario e culturale sono fondamentali per lo sviluppo della poesia. E certamente molti dei poeti dell’antologia hanno questo tipo di esperienze. La poesia oggi è frammentata ed ha quindi bisogno anche di sperimentazioni comuni. Ma è importante non cadere nell’autorefenzialità, non farsi trascinare in scontri tra bande, è decisivo, per così dire, prendere sul serio queste differenze e trasformarle in un punto di forza.
Gli autori presenti in quest’antologia hanno quindi poetiche e visioni diverse, ma è qui il nodo della questione, è qui che essa, l’antologia, trova una sua ragion d’essere. Parma fa da collante, è lo spazio-tempo della creatività poetica, è la cornice dove una serie di esperienze differenti trovano un’area di contatto. Si potrebbe quindi parlare di “arcipelago parmense” che ovviamente non identifica una linea ben definita (pensate alla famosa “linea lombarda” che ormai, a parte alcune voci alte e sicure, oggi rappresenta quasi un cliché), ma che esprime un comune “sentire”. È come quando in un acquario veniamo attratti non dalle somiglianze, ma appunto dalle diversità di colori e forme. Se poi leggiamo testi, rovistiamo tra le biografie dei poeti si scopriranno molti punti in comune.
Prima di tutto si tratta di poeti che partecipano pressoché tutti attivamente alla vita culturale della città e dell’area geografia che ruota attorno a Parma. Una realtà fatta di premi letterari, riviste, cartacee on line, reading e festival, case editrici. Non è un fatto secondario perché ci dice che fare poesia oggi significa essere presenti, impegnarsi non tanto e solo in un processo di “promozione di sé” quanto in percorsi multipli di azione culturale. Non si tratta di difendere la causa di un attivismo poetico fine a se stesso, ma di costruire, faticosamente e con pazienza, un argine dal basso al dilagare dell’antipoesia. Ovvero al degrado della lingua, alla banalizzazione delle forme culturali, alle semplificazioni dei processi di produzione culturale. La poesia non è immune da questi rischi, ma lo sforzo dei poeti “a Parma” sembra andare in un’altra direzione: quella di proporre un’idea di prassi letteraria radicata in una comune ricerca di scambio di esperienze e così di “senso”.
Il fatto è che Parma è una terra di poeti. Basti pensare a Gian Carlo Artoni, Pier Luigi Bacchini, Attilio Bertolucci, Gian Carlo Conti…così come ricordano giustamente i curatori-coordinatori del progetto, e sono figure chiaramente sullo sfondo che ritroviamo in alcune linee-forza delle varie poetiche che qui s’incontrano. Citare questi nomi prestigiosi significa toccare un altro punto interessante di quest’antologia, quello dell’intreccio generazionale. Sui 22 poeti presenti (tenuto conto delle date che vengono annunciate), tre sono nati tra il 1934 e il 1939, un poeta è nato nel 1947, poi sei sono nati tra il 1953 e il 1963, tutti gli altri sono nati dopo il 1970 e il 1979. Quindi stiamo parlando di poeti profondamente radicati nella cultura e nelle poetiche del Novecento. E non a caso sono i poeti nati dopo il 1970 a proporre la maggior e più evidente “varietà” di temi e toni, di colori e timbri proprio a testimonianza, in questo microcosmo parmense, della vicenda più grande che riguarda la frammentazione del canone montaliano. E’ come se la poesia italiana, o comunque una parte di essa, possa venir letta in controluce in questa antologia che, per temi e modi poetici, come volevamo sottolineare, va ben oltre l’apparente limite geografico. Parlare di “arcipelago parmense” non significa chiudere i poeti in una gabbia Si vuole solo individuare un orizzonte fatti di temi comuni (la memoria, la lingua, il viaggio, il paesaggio) ma che esplodono in direzioni diverse e sorprendenti.
I testi qui raccolti invitano così ad una sorta di viaggio.
Subito incontriamo, per ragioni di ordine alfabetico, proprio i curatori: Luca Ariano e Giancarlo Baroni, che tracciano due linee fondamentali in quest’antologia. Il primo pone al centro della sua scelta antologica versi che trattano di temi legati alla memoria, allo scambio delle generazioni in una luce semantica che privilegia la narrazione, nervosa e dolce al tempo stesso, di stampo bertolucciano-caproniano. Il secondo propone una scelta di testi che lo collocano vicino a Pier Luigi Bacchini, per la visionarietà raffinata della natura per il gusto iconografico del verso. “Non crede amore che non senta/il tuo dolore mentre ti fiacca la carne, /quando pensi ai ricordi del passato, /alla paura di dire: «Felice.» scrive Ariano e risponde Baroni con “Le farfalle bianche si chiesero/per qual motivo gli uccelli/ le stessero sterminando. / Diventava il tronco sporcato dallo smog/un candido cimitero”. Segue Daniele Beghè che colpisce per il passo aforistico del verso: “Dal vivaio/basilico/nel mortaio”, capace però di sospensioni narrative: col sacco di cemento sulle spalle/soffiavano i miei nonni sulle scale, /muratori sudatoi in canottiera…” Questo gioco di contrasti prosegue dialetticamente in Luca Bertoletti che, tuttavia apre una diversa prospettiva. Qui la scelta di proporre testi tratti da “Lunero” mi fa pensare agli sbandamenti letterari di un Cavazzoni, ovviamente narratore ma poeticissimo, immergendoci in un poema di lunatici figure sbilenche, proprie di questa terra in cui la follia e il genio si abbracciano. E il gesto poetico di Bertoletti è quasi cinematografico, persino felliniano, come si addice al tema. “Avevo 17 anni la via Emilia non era la California/ed io neppure vagamente somigliavo a Kerouac. Ma/ogni sera con la stessa liberà attraversavo quella li/nea di terra piane e distesa alla ricerca di una danza,”. Con Edmondo Busani torniamo ai temi del paesaggio, declinato però in modo diverso. Il verso è un respiro, un ansimare che cristallizza mondi. I predicati hanno un ruolo essenziale, evocativo di una condizione esistenziale precaria. Nella scelta dei testi dominano verbi quali: “confonde”, “affogare”, “intorbidiva”, “smorza”, “spezzare”, “scombina”, “sospesa” sino al “vuoto scavato dai giorni” di montaliana memoria. Per Busani “tutto si confonde nel fumo, ”il respiro intorbidiva l’aria”, “Il tremolio del gesto scombina l’azione…”. Si torna ad una forma di lirismo più narrativo e disteso in Guido Cavalli in cui la descrizione prende la scena: “Dove la salita sofferta piega/verso i primi boschi di querce, bruni/d’autunno, colmi di quieta tristezza” e si noti la cura sonora, l’attenta scelta dei termini per offrire al lettore i necessari appigli. La poesia qui si fa ancora memoria e preghiera: “ma sul crinale arriverò domani, /pervinca insolita che abiti i boschi/di roverella, veglia su di me”. Stefania Cavazzon è una delle poche donne presenti nell’antologia (sono cinque in tutto) e qui la poesia si apre ad altri territori, restando sul versante più visionario che abbiamo identificato all’inizio. Il verso è sempre breve, spezzato, sintetico e la natura è ancora un personaggio importante in una lingua visiva che sa creare addirittura spazialità inattese: “Ritto fra i venti/e la tiepidezza/è l’alto giglio/della voluttà”, ma ancora di più apertamente nella poesia “Grattacielo” dove anche graficamente la verticalità assume e dà una forma al testo, per poi esprimersi comunque in versi quali: “aerei specchi di traffici/cristalli interspaziali/in geometricità elementari/smaterializzati/alleggiano in altezza/le disincantate ovvietà/d’urbane solitudini”.
La poesia di Mauro De Maria ha un passo lento e regolare, un passo di pianura, che fa i conti con la memoria, non quella prevedibile del ricordo fine a stesso, ma quella lacerata e lacerante del presente che provoca e libera una riflessione, un’attenzione nuova, consapevole dei limiti e della dialettica tra l’individuo e il tempo. In “Gli struffoli” leggiamo: “La terra è una sfera imperfetta/ma il suo moto è costante/scandito intorno al sole troppe volte/da quando non ci sei” …; in “Via Irnerio” “il tempo non fa sconti/per quanto si comprima/ e ripensarti adesso/ è un esercizio stolto/ che non cambia gli eventi/alterando le incognite” o analizzando le varianti”. In “Mariù parla ai suoi cari” il poeta dà una definizione, più o meno consapevole, della sua poetica:” qui dove sono il tempo è fermo/ma tutto il resto è in moto/ e l’amore che ho avuto/ e che vi ho dato/ è già cresciuto”.
Questa dimensione di poesia “che pensa” la troviamo ancora più marcata in Antonia Gaita in cui il paesaggio, che è chiaramente un elemento fondante dell’arcipelago poetico parmense, si muove nella dialettica tra osservazione e riflessione che riguarda la realtà materiale, ma al tempo stesso è una sorta di meta- riflessione sulla poesia. “Immagine del Po” apre coi versi “Forse visto dall’alto/il Grande Fiume di sabbie e d’acque lente/ appare come in pagine d’atlante/un fiore azzurro che sfugge sullo stelo” e in “Restiamo in ascolto” leggiamo “Ma il verso nasce solo/non ha certezze né appigli di regole. /Riconoscere tra mille la parola/che disegni ogni volta l’orma del pensiero/non è dato acquisito in aule d’Ateneo”. E in “Cara Terra: “Difficile non chiedersi/quale forza saprà distaccarci. /Svellere dal grembo della zolla/indocili radici”. C’è sempre una lingua chiara e limpida in questi testi dei poeti “a Parma”, una lingua che può forgiare immagini ora più immaginifiche, ora più liriche o descrittive, ma che è sempre una lingua lucida e precisa.
Come quella di Angelo Gasparini (nato nel 1976 e morto nel 2018) al quale è dedicata l’antologia. La scelta dei testi qui propone un poeta attento alla dura realtà del quotidiano disagio sociale (tema che nell’antologia si presenta di rado o comunque in filigrana). Si veda la poesia “Curriculum vitae” dove si racconta della vita precaria di chi “Si chiama Maria/ ed è nata a Caserta/laureata in ingegneria” e che finisce a lavorare in un supermercato. Ma ci viene proposto anche un poeta raffinato che scrive “parla a chi ti sta accanto/coi sussurri di una rosa:/le parole sono macigni, /boia impietosi, / scagliati contro corpi inermi/.” Le parole della poesia di Gasperini sono “sospese/come un frutto/che non può essere attinto/. E a noi dispiace pensare che la sua voce si sia ora spenta.
Alberto Manzoli propone pagine poetiche intense in cui emerge una voce ferma che scava nel profondo del desiderio di integrità e pienezza che non sempre può essere raggiunta. “Severo è il sogno, la realtà mediocre /coltivo l’arte di dimenticare”. La sua cifra è un linguaggio senza fronzoli, ma molto ricco che racconta storie, che descrive oggetti, che si mette “dal punto di vista delle cose”. Più lirico e nostalgico è il verso di Giuseppe Marchetti, poeta che s’incanta nel ricordo di un tempo passato, quello della cultura del libro, del gusto materiale del contatto con la carta, col suo universo emotivo e filosofico, che torna in diverse forme e variazioni nella sua scelta antologica in cui le immagini novecentesche cui facevamo riferimento sono evidenti: “”il perimetro del vuoto/si muove attorno al primo ramo caduto”, oppure “Il grido muto di quando/ non sarai più” ne sono alcuni esempi. Max Mazzoli è presente con una scelta di testi che sono, altro tratto tipico di questo “arcipelago parmense”, riflessioni sulla parola e la poesia “Gesti, parole o frasi, o semplici segni,/o ancora oscuri rituali, queste lettere e questi numeri/ e il contrappunto dell’interpunzione a segnare limiti/o flussi, a porre rimedio, a chieder perdono” ed è molto bella la terzina finale dell’ultima poesia “davvero io non so se credo in Dio,/ma per certo so che Dio crede in me,/in noi e nel segreto della vita”. Michele Miccia propone anch’egli una poesia carica di un forte istinto metaforico che valorizza la ricchezza della lingua. Egli trae dai suoi vari testi che recano nel titolo “Il ciclo dell’acqua che esplora” aspetti della condizione e dell’esperienza umana e della sua relazione con la natura: “Non tutto è perduto/se chiedo di rimanere qui immobile/ su questo campo che/ è stato di tarassaco, /il vento e le termini mi consumano/”.
Alberto Padovani, si colloca nel gruppo dei poeti che ingaggiano, sia pure con stile diverso, un corpo a corpo con la lingua, cercando un’espressione senza sovrastrutture, diretta, pulsante e ritmicamente connotata dal verso breve. Nella poesia “Ghirri” scrive: “Non credo/alle riunioni affollate/Non credo/agli sbirri della cultura….Tolta la crema/La bella gente/Tolta la vernice/Resta la natura.”.
Con Bruno Piccinini torniamo ad un clima più “classico” e novecentesco di stampo montaliano-caproniano: “Ho disceso i gradini/della metropolitana, sono in fuga/nel tunne artificiale del pensiero/ fra intermittenze di luci e oscurità/” e in un altro testo “Chiama i compagni, ancora chiamano-/il primo giorno della primavera/la terra è innocente/non conosce la morte, /questo mattino/abbiamo gambe nude e piedi scalzi, /camminiamo”.
Giovanni Pizzigoni propone una scelta di versi che ne svelano la natura emozionale, capace di cogliere istanti liricamente espressi: “Il tuo lento andare/forse già annuncia/muti cieli carichi/ di neve” …” Notti bagnate/coprono acqua profonde/di un mare/inquieto” e l’io poetante ancora una volta si stempera nel paesaggio: “i verdi scogli, /sono fermi e tesi/verso questo cieco/orizzonte di navi/perse in alto/mare”.
Laura Puglia ci conduce nell’universo della donna e la riflessione esistenziale assume un carattere specifico: “siamo invisibili”,” donne pazienti e mute/ a intercettare il linguaggio/ dei fuochi; “Era una guerra contro la donna/che doveva soffrire/come sta scritto nelle scritture/depositaria del male della tentazione/”; “L’amore è un labirinto/una follia incosciente/” e l’invito finale è “Scegli le pietre/gettale dietro le spalle/ e vai senza voltarti”.
Maria Pia Quintavalla, poetessa già molto nota anche oltre i confini parmensi (vive a Milano) conferma il suo legame con esperienze poetiche dell’avanguardia proponendo versi enigmatici, densi, raffinati in cui il duro lavoro di cesello della parola esprime la sua visione complessa della realtà, sospesa tra affetti familiari e consapevolezza delle contraddizioni storiche, sociale e antropologiche del nostro tempo. “Non turba più-/per quella mano speculum sul cuore/ti senti piccola e sperduta, /la sua nascita va verso la tuta morte. /Ma lei serena guarda e stacca/non capisce/.
Alma Saporito è presente con una scelta di testi che invitano ancora alla riflessione sul rapporto tra il poeta e la scrittura, tema che più volta ritorna nell’antologia. “Dammi oggi/il conforto/della parola scritta” …” Del canto/non è priorità/la vista/” sino a “Scavammo a lungo/a mani nude/le dita sanguinanti/ fu immensa gioia/il ritrovare la scrittura/”. Questo rapporto di scavo nella scrittura lo ritroviamo anche, seppur espresso in maniera diversa, in Alessandro Silva che colpisce per la sua capacità di cambiare registro, di variare i toni passando dal visionario al descrittivo, dal riflessivo al memoriale in un coro di voci intrecciate che assicurano effetti lirici mossi e cangianti. “La mira perfetta del cielo vaga/in processioni di sporcizia secca/piume lacere e insetti spogli di ali” e in “Smisurato sogno”: “Il muratore salito sul bus/ha la malta che suda dai calzoni” e in “I nomi complicano” : “…Fluttua il buio/ sul comodino, il rumore del nostro/ dormiveglia è arrogante e non rallegra”. Chiude la raccolta Franco Vecchi la cui poesia osserva con sguardo lucido le cose mostrando una sorta di esotismo controllato del suo taccuino di emozioni. Poesia che nasce dall’esperienza del viaggio che si fa viaggio esso stessa offrendo immagini stranianti della Grecia, Istanbul, Tellaro, Pantelleria. Ma il gusto della cartolina poetica non dimentica il pathos della lirica: “ognuno sarà l’oracolo di se stesso/la fine della storia sarà di nuovo scolpita nella lava/tra i profumi del tempo arabo”.
Quest’antologia ci dice quindi che la poesia è viva, a Parma certamente, e che non resta chiusa nei suoi confini, sa dialogare con le forme più alte consolidate della tradizione, sa aprirsi a forme di sperimentazione innovativa, non cede alla retorica autoreferenziale e sa essere presente nel tessuto culturale da cui nasce senza arroganza né supponenza.
La presentazione dell’antologia si svolgerà sabato 3 Novembre alle 18 alla Libreria Mondadori di Piazza Ghiaia in centro a Parma.
La fotografia in copertina è di Francesca Bocchia.