GIANCARLO BARONI
Il territorio ferrarese accompagna il Po lungo il tratto conclusivo verso l’Adriatico. Per rendere fertili queste terre piatte, basse, umide, acquitrinose, nebbiose e paludose, è stato necessario liberarle dalle acque malsane prosciugandole, sono occorsi sforzi continui e costantemente rimessi in discussione: argini, canali, opere idrauliche, bonifiche. Al liocorno, uno degli emblemi estensi, animale immaginario dal corpo di cavallo e con un corno sulla fronte, si attribuiva la virtù magica di rendere limpide le acque infette depurandole dai veleni. In un dipinto ora al Museo del Duomo, Cosmè Tura con il suo stile nervoso, irreale ed eccentrico, raffigura san Giorgio, patrono di Ferrara, in groppa al suo cavallo mentre, trasformato per incanto in una creatura spettrale e pietrificata, trafigge il drago che ammorba l’aria col suo fiato mefitico. Il pittore è sepolto nella chiesa di San Giorgio fuori le mura.
I ferraresi, abituati a vapori e a foschie che velano la realtà, affinano una fantasia e una immaginazione che a volte sfociano nel magico, nel misterioso, nell’insolito; anche il pane che mangiano ha una forma originale. Chi abita in questi ambienti impara inoltre le arti della perseveranza, dell’accortezza e della costanza, della diplomazia e delle alleanze; è una questione di sopravvivenza. Cerca accordi momentanei ed equilibri instabili con forze naturali e storiche in perenne trasformazione, governate da influssi ora benigni ora maligni.
Agli inizi del 1100, dopo la scomparsa di Matilde di Canossa, Ferrara diventa libero comune (la Cattedrale viene costruita a partire dal XII sec.); il passaggio da comune a signoria avviene in tempi relativamente brevi, nel 1264 la città si consegna agli Este, il Castello viene iniziato nel 1385. A fine Duecento sono acquisite Modena e Reggio Emilia: una politica espansionistica frenata e contrastata dalla Repubblica veneziana e dallo Stato Pontificio. Grazie a Niccolò III, Borso d’Este e Leonello (Pisanello ritrae di profilo quest’ultimo in una medaglia celebrativa e in un dipinto), il Quattrocento è il secolo d’oro della città. Borso è protagonista degli affreschi di Palazzo Schifanoia, nei quali si mescolano temi encomiastici astrologici e mitologici; è lui che ottiene il titolo di duca prima per Reggio e Modena, feudi imperiali, poi per Ferrara, feudo papale. Per conservare potere e territori, gli Estensi potenziano le artiglierie e stringono rapporti matrimoniali con le più importanti famiglie (per esempio Ercole I, suo il merito di accogliere ebrei cacciati dalla Spagna, sposa Eleonora d’Aragona; suo figlio Alfonso, Lucrezia Borgia; le figlie Beatrice e Isabella si uniscono in matrimonio con Ludovico il Moro e con Francesco Gonzaga). Capitale di un ducato che si dilata da un lato fino all’Adriatico e dall’altro fino alla via Emilia e verso l’Appennino, nel 1598, con la morte di Alfonso II senza figli, Ferrara torna allo Stato Pontificio e la capitale viene trasferita a Modena.
Ferrara e gli Este quasi si identificano. Gli urbanisti e gli architetti ducali circondano la città di mura, ancora quasi intatte, e ne delineano il volto; il ferrarese Biagio Rossetti, a fine Quattrocento, progetta Palazzo dei Diamanti (oggi sede della Pinacoteca nazionale) e completa, con la cosiddetta “Addizione erculea”, l’ampliamento e il rinnovamento urbano. Parecchi grandi pittori lavorarono per gli Este, ad esempio Cosmè Tura, Ercole De’ Roberti, Francesco del Cossa, Dosso Dossi. Ludovico Ariosto fu per anni al servizio del cardinale Ippolito a cui, nel 1516, dedicò la prima edizione dell’“Orlando Furioso”; la “Gerusalemme liberata” venne inizialmente pubblicata a Ferrara, dove Torquato Tasso prima frequentò la corte e poi fu segregato nell’ospedale di Sant’Anna.
La creatività artistica trova a Ferrara un terreno propizio e un ambiente favorevole e ospitale e non si spegne dopo gli Este, anzi continua ad esprimersi nel corso del tempo. Le atmosfere metafisiche ferraresi affascinano De Chirico, che visse qui durante gli anni della prima guerra mondiale. Ferrara è al centro della narrativa di Giorgio Bassani che vi trascorse infanzia e giovinezza ed è sepolto nel Cimitero ebraico. Il Giardino dei Finzi-Contini, sebbene sia soprattutto un’invenzione letteraria, è divenuto uno dei luoghi simbolo della città. Bassani riunì buona parte dei suoi scritti in “Il romanzo di Ferrara”, che comprende anche il racconto “Una notte del ‘43” (pubblicato precedentemente in “Cinque storie ferraresi”) dove si fa riferimento all’eccidio fascista in cui vennero ammazzate undici persone: “Erano undici, riversi, in tre mucchi separati, lungo la spalletta del Castello”. Il racconto ha ispirato il film diretto nel 1960 dal regista ferrarese Florestano Vancini.
Il sonno del patrono
San Giorgio che ci proteggi fuori e dentro le mura
a che drago immaginario pensavi
a nome di quale principessa
sognavi di combattere, la notte
scorsa mentre i fascisti fucilavano
undici di noi ferraresi?
G.B.
(pubblicata nella raccolta “Le anime di Marco Polo”, Book Editore, 2015)
Le fotografie sono di Giancarlo Baroni.
Uscito su Pioggia Obliqua, Scritture d’arte.