GABRIELLA VERGARI
Respirano dentro di me.
Da quaranta e passa anni.
E mi parlano ancora.
Naturale. Non è questo che devono fare i Maestri?
Resistere nel tempo, un po’ come i Classici, e continuare a dire ciò che hanno da dire alle nuove generazioni, Calvino docet.
Bella forza, mi obietterà qualcuno.
In fondo io sto ancora dove mi hanno lasciato loro, e ne ho anzi preso il posto, in un legame professionale, con il “Cutelli”, che ha ormai superato le nozze d’argento e naviga verso quelle di perla o, se non cambia la Fornero, forse chissà quelle di diamante…
Vero: insegno anch’io, negli stessi ambienti – ristrutturazioni, succursali e cambiamenti logistici a parte -, dove alcuni di loro hanno lasciato un segno che oggi riluce pure nelle targhe d’ottone, che sono state poste a ricordarlo.
E mi ritrovo a fare i conti con le stesse scansioni temporali, i cambi dell’ora, i quadrimestri, gli scrutini, i ritmi sostanzialmente invariati del quotidiano scolastico che fanno sì che, per i professori, sia stata addirittura ideata un’agenda a parte, come se lo scorrere del nostro tempo fosse altro rispetto a quello del resto del mondo.
Sono addirittura tornata, da docente, nella stessa sezione scelta, con tanta trepidazione e attentissima ponderazione, a tredici anni, per garantirmi la formazione più accurata.
Ma non è questo. O meglio, non solo.
Ḕ che, quando insegni, sfiori davvero le anime e incroci le vite.
La tua, ma soprattutto quella di chi ti sta davanti.
Per questo non credo nella possibilità di un’autentica valutazione dell’insegnamento. Non si potrà mai sapere quando le parole, i gesti, le riflessioni e, perché no, financo le divagazioni di chi trasmetta conoscenza ed esperienza di vita andranno a riaffiorare in coloro che le hanno recepite, per continuare a indicare la via o, se non altro, per indicarne una, per non lasciare soli nell’immenso mare magno dell’esistente.
Certo, ci sono voci ed echi che risuonano più intensi e frequenti, o continuano ad animare le rimpatriate tra vecchi compagni di scuola, con tutta una fioritura di aneddoti, vezzi, ricordi, caricature e imitazioni all’interno di peculiari amarcord, densi, se non sempre di brio, almeno di tenerezza e nostalgia. Per l’adolescenza passata, ovvio, ma spesso anche per quelle figure professorali che l’hanno a loro modo accompagnata e, nella maggior parte dei casi, scortata verso più evoluti e avanzati traguardi personali.
Ci sono (e purtroppo non sono pochi) i casi più sfortunati di rapporti problematici, di vite scolastiche che, più che sfiorarsi, sembrano avere drammaticamente impattato tra loro e, dello scontro, c’è chi sta ancora a raccogliere i cocci, chiedendosi a distanza di anni dov’è che sia nato l’inghippo, cosa e perché sia andato storto.
Raccontava ad esempio una psicoterapeuta che, ad alcuni suoi pazienti, fa spezzare in due una matita rosso-blu, a mo’ di rito catartico e propiziatorio.
Ma anche così, sottolineava, l’insegnamento ha paradossalmente operato una sua azione di crescita individuale, ponendosi come tappa di fondamentale conoscenza di sé e rafforzamento interiore.
Un discorso lungo e complesso che andrebbe di sicuro approfondito in altra sede, e che comunque non mi ha mai toccato da alunna.
Della grande Concetta (Parachì Sipala) e dell’eccezionale Tullio (Caponetto) ho già avuto modo di parlare in occasione dell’intestazione delle targhe cui ho sopra accennato.
Mi piacerebbe perciò rivolgere un pensiero, veramente sentito e grato, ad un’altra docente, Vincenza De Gaetano, che non ritengo abbia mai ricevuto degno e adeguato riconoscimento.
Forse non le ha giovato la sua moderata passione per l’italiano, o il rigore per cui conosco chi, tra i suoi vecchi studenti, aveva in animo di organizzare una festa al momento del suo funerale (sic! Ma con l’insegnamento, soprattutto di certe materie, può succedere anche questo).
Sta di fatto che, pur trovandosi prossima alla pensione, ha saputo insegnare il greco con un metodo straordinario e assolutamente innovativo, adottando un libro di grammatica schematico ma funzionalissimo, che ancora oggi resta il mio vademecum per certi importanti snodi della materia.
Da single, non so se convinta o meno, non ha lasciato figli. E credo non ci siano più nemmeno i nipoti. Di lei non si parla quasi più, ed è perfino difficile trovare chi la ricordi in attività.
Ma le sue parole o il suo inquadramento delle classi tematiche permangono vivi e vitali, continuando per così dire a scorrere, nelle vene dei miei alunni, in un passaggio di testimonio che mi auguro possa durare per altri 120 anni almeno.
Quello stesso passaggio che si spera possa riuscire a tenere lontana ogni forma di truffa culturale e mistificazione educativa dalle aule del nostro liceo, rendendole, oggi come allora, luoghi di fiduciosa e appassionata trasmissione del sapere.
Alla Nostra, allora!