STEFANO CASARINO
Scritto a quattro mani da Loredana Frescura e da Marco Tomatis, Storia di Fiordaliso (Giunti Ed. 2018) è un libro intenso e gradevole, che trae spunto da un fatto preciso e documentato: l’offerta di un mazzetto di fiori ad Hitler il 1 agosto 1936, giorno di inaugurazione delle Olimpiadi di Berlino.
A compiere quel gesto fu una bambina di cui i due autori si inventano nome (Ester Zweig) e vita, inserendola però dentro una precisa ricostruzione storica con abbondanza di dettagli che richiameremo velocemente: sicché il libro è anche un romanzo storico, di una storia che – soprattutto in questo periodo dell’anno dedicato alla memoria della Shoah – è bene e salutare ricordare.
All’inizio dell’opera siamo a Parigi, il 16 febbraio 2001: Ester ha settantatré anni, vive da sola e riceve una telefonata. Dall’altro capo le parla una voce con accento tedesco, l’accento di quella che un tempo era stata la sua lingua e che ora lei ha rimosso.
Il pensiero va immediatamente ad un altro libro – questo è il fascino e la ricchezza dei libri: essi dialogano tra loro nella mente del lettore, si corrispondono, ci coinvolgono e ci ammaliano in una complessa e fitta rete di rapporti –: a L’amico ritrovato (1971) di Fred Uhlman (1901-1985) e più in generale a tutta la sua Trilogia del ritorno.
Anche per Uhlman il tedesco è una lingua rimossa: ciò che è successo ha fatto rinnegare la propria lingua madre, l’ha trasformata nella lingua del nemico e del Male. È davvero triste constatare che ciò è valso per molti altri, forse addirittura per qualcuno vale ancora: il nazismo ha deturpato, inquinato la lingua di Goethe e di Mann.
Da quella conversazione telefonica scaturirà un incontro e dal 2001 saremo trasportati, con un efficace flashback, proprio nella Germania nazista del 1936. Riaffioreranno vividi i ricordi, tutto ciò che rese possibile l’incontro di quella bambina, considerata una perfetta ariana, col Führer.
Quella bimba, prescelta tra tante, non era però affatto una tedesca doc: anzi, era una Mischling, una “mezzosangue”, di padre ebreo e madre tedesca. Ironia tragica della sorte: aver individuato come di pura razza proprio chi non lo era affatto!
Com’era, com’è scientifico e sensato il razzismo!
Da ciò, ovviamente, si dipanerà una trama avvincente, sulla quale non mi soffermo. Rimarco piuttosto che non sono fiori qualunque quelli che Ester porge ad Hitler: sono fiordalisi.
In tedesco fiordaliso si dice Kornblume, letteralmente “il fiore del grano”, un fiore umile, facile da trovare nei campi, e quindi legato alla coltivazione della terra tedesca: divenne dunque facilmente il simbolo delle radici “agrarie” del nazismo (e come non ricordare le tante immagini del “nostro” Duce a torso nudo, fotografato mentre fa il contadino nei campi?).
Vale la pena ricordare che oggi il fiordaliso è il simbolo dei nazionalsocialisti austriaci. E vale soprattutto la pena leggere con molta attenzione come viene raccontato quel momento così simbolico, come lo vive la bambina e di cosa si accorge: non è mia intenzione rivelarlo qui, mi limito a definirlo parascatologico e lascio al lettore il piacere di scoprirlo.
Ancora una volta interviene qui l’ironia, accortamente impiegata dagli autori: formidabile antidoto a tutti i guai dell’esistere, davvero l’umorismo non è uno stato d’animo, ma un modo di guardare il mondo (L. Wittengstein).
Il libro è anche una rimeditazione sull’assurdo trattamento riservato a quei tempi agli Ebrei, molti dei quali avevano addirittura votato per Hitler: un altro dei tanti assurdi della storia.
Ma il libro è anche una bella storia d’amore, nonostante che i nazisti avessero reso difficile, quasi impossibile anche ciò. Molto bello questo passaggio: In fondo Hitler uccise l’amore. Uccise la compassione, la bellezza del bene. Perché l’amore è tenerezza, gentilezza, passione. Il vero ariano doveva dimostrare di essere vigoroso, freddo, calcolatore, privo di compassione.
Riflettiamo un momento se e quanto oggi il lessico della nostra politica – nazionale e mondiale – rifletta tenerezza, gentilezza, passione. Probabilmente le troveremo in dosi ridotte: omeopatiche, direi.
Grande importanza viene data nel libro al film sulle Olimpiadi di Berlino (Olympia) rimarcandone l’intenzionale carattere di propaganda nazista: Quel film era dedicato alle Olimpiadi, ma in realtà celebrava il nazismo.
Un ruolo importante nella storia ha la regista Leni Bertha Amalie Riefenstahl (1902-2003, amica personale di Hitler, avversata dal ministro della propaganda Joseph Goebbels): una figura intrigante, morta ultracentenaria, che sarebbe giusto studiare meglio, visto che non disponiamo neppure di una sua biografia.
Altri particolari storici di quel tremendo anno, il 1936, sono puntualmente segnalati: la nascita della Volkswagen, la “macchina del popolo” (questa l’intenzione dei nazisti: dobbiamo togliere all’automobile il carattere di privilegio e il valore di spartiacque che ha assunto tra fasce sociali); la menzione dell’iprite e dello Zyklon B, che così viene commentata: non fu mai usato in guerra, ma per uccidere gli ebrei nei lager. Era stato studiato da un certo Fritz Haber, un chimico che aveva trovato il modo di rendere l’iprite più letale e aveva vinto anche un premio Nobel. Il paradosso di un ebreo che perfeziona un gas che servirà a uccidere gli ebrei.
Davvero, la storia umana è il regno dei paradossi: e proprio per questo dev’essere studiata con molta attenzione.
E, infine, un momento altamente drammatico: la Notte dei Cristalli, il 10 novembre 1938, il primo pogrom sistematico organizzato da Goebbels: furono ditrutte più di 1400 sinagoghe, migliaia di case e di negozi, più di 400 morti.
Tempi tremendi, speriamo solo che siamo tramontati per sempre, anche se qualche recente fatto di cronaca non incoraggia molto a crederlo.
Il libro, dicevo, è bello, scritto con leggerezza ed efficacia, con momenti memorabili e con espressioni felici. Mi limito a citarne e a commentarne velocemente due. La prima: nessuno dovrebbe mai dimenticare la gentilezza. Quella vera, non quella suscitata dalla paura. Sono convinta che sia la vera gentilezza a salvare il mondo.
Una parafrasi del dosteovskjano “la bellezza salverà il mondo”? Cosa c’era, cosa c’è di gentile in ogni forma di nazionalismo e di totalitarismo? Fermiamoci un momento a pensarci.
La seconda e ultima: ricordatevi sempre, qualunque cosa facciate nella vita, di due cose. Umanità e dignità. Non le avete ancora perse e le persone come voi sono l’unica speranza di un futuro migliore per la Germania e il mondo. Umanità e dignità hanno oggi diritto di cittadinanza tra di noi? Siamo ancora in grado di accoglierle e di onorarle o pensiamo di poterne fare tranquillamente a meno? Eppure, hanno perfettamente ragione gli autori, esse sono e restano l’unica speranza di un futuro migliore.