Magie d’amore 2.0

16-3-magie-damore-001-1

GABRIELLA VERGARI

Menomale che ho il ristorante cinese a due passi da casa.
E così quella che, per svariati anni, ho considerato una iattura, si è finalmente trasformata in risorsa. Certo, non è stato facile agire in modo da non destare sospetti.
Una rispettabile signora occidentale, in cappotto griffato e tronchetti di camoscio, che a mezzanotte passata si mette lì a rovistare con i guanti di lattice monouso tra le cartacce unte e i vari rifiuti, più o meno speziati, della cucina di Yong Wu, alla ricerca di due ossicini di cane.
Vero è che, alla peggio, avrei sempre potuto tirar fuori  la scusa dell’anello caduto tra un involtino primavera e una verdura al vapore. Ma per fortuna non è passato nessuno.
Capisco di aver pure corso il rischio di venire rapinata da qualche malintenzionato, però mi sono detta Gina, bando agli indugi, certe cose si fanno o non si fanno.
E alla fine ce l’ho fatta, almeno credo.
Non sono un’esperta, ma quelli che ho tirato fuori, dopo un concitato e puzzolentissimo quarto d’ora, avevano tutta l’aria di essere proprio due ossicini di cane (a meno che non lo fossero di coniglio).
Un po’ più difficile è stato procurarmi un’ala di pipistrello femmina.
Però anche lì, mi sono detta E che, Gina, vogliamo arrenderci ora e passar sopra l’onta subita?
E la Gina a cui mi piace rivolgermi nei casi topici della vita, la mia vocina interiore di cui mi fido in pieno e da sempre mi guida, mi ha risposto Ma che, scherziamo?
Perciò ho aguzzato l’ingegno e acquistato da Mario due bei vassoi di savoiardi freschi, di quelli che una volta si portavano ai malati e oggi servono soprattutto per il tiramisu.
Me li sono fatti disporre con cura, uno per uno in fila come soldatini svizzeri, e incartare per bene. Due pacchetti proprio da resuscitare i morti, tanta era la fragranza che emanavano.
Invogliantissimi, altro che.
Ammetto anzi di essere stata più volte tentata di slegare il nastrino celeste con cui, prima di consegnarmeli con il suo bel sorriso aperto, Mario me li aveva chiusi fitti davanti, per sbocconcellarne qualcuno. Ma Ginaaa, mi sono detta e ho desistito.
Così, per non rischiare di far disperdere l’irresistibile odorino che, mischiato alla mia essenza di camelie e lillà, sapevo avrebbe fatto la presa voluta, son corsa di filato da Bartolomeo, il custode del laboratorio di Biologia, che, come al solito, non ha saputo resistermi.
Tanto, alla pipistrella a galla nel cloroformio, un’ala in più o in meno non avrebbe cambiato la vita, ma la mia sì. E soprattutto quella di Ruggero.
Lo sapevo, quand’era stato, di non aver sposato uno stinco di santo, e ammetto che forse allora la cosa mi aveva perfino lusingato.
Però trovarlo, giovedì scorso, sotto la doccia di casa, nudo, a spassarsela con Rossella, la nuova portalettere del quartiere, è stato davvero troppo.
Una scena da pochade da quattro soldi, che sarebbe potuta sfociare in tragedia, se solo lo avessi voluto.
E invece mi son detta Gina, ragiona. Ti metti a fare una chiassata da cortile? E poi? Magari lui ti chiede perdono e per l’ennesima volta ci ricaschi, lasciandoti addirittura convincere che si stava solo facendo lavare la schiena, proprio in quel punto irraggiungibile, dalla signorina che, giusto mentre passava di lì, si era gentilmente e casualmente offerta di aiutarlo, senza secondi fini né malizia.
Lo sai che ogni volta Ruggero riesce a girarti su un dito…
Così tutto ritorna come prima, e ti ritrovi da capo a dodici, pronta per la prossima.
Oppure, peggio, lui se ne va di casa, e addio al tuo matrimonio e alla tua vita attuale.
Niente più vacanze a Cuba, niente più multi-proprietà a Courmayeur, niente più cenette…
Insomma, mentre in un attimo mi scorrevano davanti quei lugubri scenari e improponibili alternative, ho chiuso piano piano la porta, sperando che l’acqua scrosciasse tanto forte da non permettere a quei due di acorgersi della mia presenza o metterli sul chi vive.
Quindi, con il cuore in subbuglio e gli occhi di fuori per l’ira, ho cominciato a riflettere.
Volevo sangue e non mi sarei fermata, come ho appunto fatto.
E sempre per la stessa ragione, per il sangue preteso, mi sono ritrovata a cercare una coda di lucertola e tredici gocce di bava di lumaca.
E qui la cosa si è fatta decisamente più facile perché, scartata l’ipotesi (pure per un attimo contemplata), di utilizzare il mio costosissimo siero d’ultima generazione, ho direttamente attinto alla colonia di lumache che se la spassa nel nostro giardino quanto e più del Re Sole a Versailles.
Ma subito dopo mi son dovuta fermare, indecisa.
Nel pin trovato su Pinterest era espressamente menzionata una coda di rospo.
Così, semplicemente, senza tanti chiarimenti e precisazioni.
Come se realizzare filtri magici per mariti fedifraghi fosse una pratica abituale e consueta.
Ma, Gina, mi sono chiesta, interdetta, i rospi ce l’hanno poi una coda?
Non avevo a chi domandare, perciò ho cercato su google e mi si sono ulteriormente confuse le idee, perché coda di rospo è anche l’altro nome della rana pescatrice.
Ci voleva un batrace o un pesce (peraltro pregiato), e in che proporzioni e dosi, caso mai?
Panico assoluto.
Se non avessi agito in fretta, potevo tra l’altro rischiare che la bava di lumaca e soprattutto l’ala della pipistrella, che si stava già arricciando ai bordi, andassero a male.
Avrei forse dovuto metterle in freezer?
Ma il filtro avrebbe poi funzionato lo stesso, senza componenti, per così dire, freschi e genuini?
Sono stata ad un passo dal rimpiangere di non aver voluto spendere, per Ruggero, i 100 euro che, qualche mese fa, mia cugina Rosetta ha dato a Miranda, la Maga d’Oriente.
Però, tutto considerato, mi sono subito rincuorata pensando che lei si è, poco dopo, riempita di terribili pustole marroncine, senza comunque rimanere incinta, e suo marito ha avuto un attacco di priapismo che levati.
E poi, ad essere obiettivi, Ruggero non avrebbe nemmeno meritato la spesa.
Giusto che glielo stessi preparando io, il filtro, con le mie dolci manine, come tutti i manicaretti che in questi quindici anni gli ho ammannito, e che continuassi a confidare, serena, in Pinterest che è da tanto che mi dà ottimi e collaudati consigli.
Un vero, prezioso vademecum per la perfetta padrona di casa e la donna del ventunesimo secolo, con qualche rimedio della nonna che non guasta mai.
Perciò alla fine ho optato per la soluzione più pratica, preferendo il pescivendolo di fiducia al fango dei pantani, e ho comprato la rana pescatrice più piccola che ci fosse.
Così, all’utile ho anche unito il dilettevole, dato che, pure senza la coda, gelosamente conservata a parte, il pesce si è in fondo rivelato squisito.
Anche Ruggero l’ha molto gradito, sorpreso di ritrovarselo a tavola.
Festeggiamo qualcosa? ha chiesto tutto uno zucchero, lo sciagurato, e io gli ho risposto, leggera Vedrai, amore, sarà un giorno davvero speciale.
E, appena è salito in camera per il riposino pomeridiano, non ho visto l’ora di mettermi all’opera.
Ho preso il Bimbi di riserva, quello un po’ vecchiotto ma ancora valido, ho selezionato il programma e attivato il timer: due minuti di pale trancianti, credo per gli ossicini di cane, e uno per il composto di base.
Ripensandoci a posteriori, l’inghippo è stato forse l’aggregante che, secondo la formula originale, avrebbe dovuto contenere tre parti di succo d’aloe e 1 parte di latte di cocco, per camuffare il gusto.
Siccome, alla fine, del cocco mi ero dimenticata, ho aggiustato il tiro con il latte di mandorle, quello che compro in brick da 1 litro, e una bella spruzzatina d’arancia rossa, che ho aggiunto di mia spontanea iniziativa, perché è più forte di me: non riesco a seguire alla lettera nessuna ricetta, senza cedere subito alla tentazione di “farla mia”, con un tocco personalizzato.
Probabile che mi sia lasciata anche un po’ prendere la mano, perché all’improvviso ho seguito l’ispirazione di aggiungere qualche chicco di melagrana (frutto dall’indiscusso potere simbolico, di cui tra l’altro mio marito va ghiotto), due pinoli, tre pistacchi, un paio di semi di papaya, e una manciata d’uva passa.
Due minuti e 10 secondi del Bimbi a funzione spumone ed eccolo lì, il mio filtro, soffice e gonfio come uno Smoothie di McDonald’s.
Quindi ho versato il tutto in un bel bicchierone da bibita, aggiunto un pizzichino di cannella in polvere, un ombrellino da cocktail con cannuccia variopinta, e l’ho offerto al mio grand’uomo che si era appena svegliato e ancora sonnecchioso veleggiava verso il frigo.
Ruggero non ha creduto ai suoi occhi. Mi ha perfino ringraziato per l’inattesa premura.
Ha preso il bicchiere, decisamente invitante, l’ha alzato in una sorta brindisi e l’ha svuotato d’un fiato. Direi quasi di gusto.
Quindi mi ha reso il bicchiere con una strana luce degli occhi e io mi sono detta, Gina ci siamo, da oggi ti amerà perdutamente e per sempre e mi sono preparata a respingerlo senza mezzi termini, per condannarlo ad una sofferenza senza fine.
Sarebbe stata questa la mia terribile, spietata vendetta e per un attimo ho esultato: ci avevo azzeccato.
Quasi come un automa lui è invece corso alla porta e l’ha spalancata di botto.
In un attimo  ha attraversato il giardino e, più lesto di un gatto, si è arrampicato sulla grande quercia che ombreggia la casa.
Non credevo alla mia vista.
Non l’avrei mai fatto capace di un simile scatto, manco Mennea ai tempi d’oro.
Raggiunto uno dei rami più alti, si è quindi messo a rovistare tra le fronde.
Gina, ma che sta cercando? mi sono chiesta, sbalordita.
Finché non l’ho visto abbracciato ad Ernesto, il grande pappagallo bianco che abbiamo comprato al ritorno dal Brasile.
Amore, amore mio, ha cominciato a sussurrargli con una tenerezza di cui non lo avrei mai ritenuto capace, e già questo l’avrebbe detta lunga.
Ma il bello è che Ernesto non è volato via, spazientito, come al suo solito.
Ḕ rimasto fermo lì, emettendo dei suoni che sembravano compiaciuti, poi ha voltato un po’ il capo verso di lui e ha cominciato a becchettarlo dolcemente sulla testa, come a riempirlo di bacini…