Belle persone

Frances Mc Dormand

Frances Mc Dormand

EVA MAIO

Di persone belle ce n’è.
Ce n’è per tutti i gusti.

E di belle persone anche.
Forse un po’ meno.
Forse dipende dallo sguardo.
E poi sulle seconde
non c’è una graduatoria
non sondaggi neppure gare.

Conoscere
una bella persona in carne e ossa
è un regalo
uno dei più grandi
più intensi della vita.
Di belle persone ce n’è di tanti tipi.
Lo so.
Lo riconosco.
Non disdegno i vari tipi possibili
di belle persone.
Ma ho le mie predilezioni.
Una bella persona
non è una persona perfetta
ma ha un’aura di fascino
magari nella discrezione
magari a sua insaputa.
E ti ci vuole un po’
per capirlo.
Di solito
quelle che ritengo belle
hanno il talento di non apparire
non abbagliare non stordire di parole
non essere eroiche
con il gusto di un’equanimità gentile.
Rimangono sempre un po’ misteriose.
E permane in me
limpida
la voglia di conoscerle
riconoscerle
conoscerle ancora.

È che le belle persone
le vedo avvolte
di una leggera nebbia lilla
con tenui luci nel viso nelle mani
che nel viso c’è la storia loro
e nelle mani le dedizioni
audaci pazienti.
È che le belle persone
i sorrisi li hanno negli occhi
o fuoco negli occhi
e le malinconie vi veleggiano
a volte
fuggevoli veloci
per non disturbare
lo sguardo altrui
e l’altrui cuore.

Poi ci sono le belle persone “pubbliche”
che non conoscerò
mai
dal vero.
In questo caso il criterio è uguale e diverso.
Devono darmi
netta
la sensazione che in quello che fanno
ci sia passione
che operino per la giustizia
che siano autentiche
non costruite.

Di quelle pubbliche
ne vengo a sapere
dalle belle persone in carne e ossa
dai rotocalchi
in modo fortuito a volte
o con ricerca attenta.

Che bella per esempio
Frances Mc Dormand
un’antidiva senza alcun ritocco
corpo inquieto
con l’aura intensa del cammino fatto.
Fascino di un volto vero
con dentro gli attraversamenti
del dolore e i frammenti di gioia.
Fa il mestiere delle apparizioni
in scena.
È un’attrice.
Poi nei giorni qualunque
nella vita di sempre
ama farsi invisibile
con senso di sottile
profonda liberazione.
Appena la guardi
ti evoca rispetto.
A me anche un misto di attrazione
per quel suo porsi
senza fronzoli
fuori
e dentro.
Senza fronzoli
ma con dettagli
di nascosto splendore.

E Jacona Arden
l’ho incontrata nella sala d’aspetto
della dottoressa
su una rivista patinata
che sfoglio solo in occasioni così.
Ebbene, viva anche i rotocalchi.
Anche quelli che non compro.
Era un pomeriggio con acquazzone
incorporato.
C’era odore di muschio
perfino nella sala d’aspetto
che l’umido e l’umano calore
di noi tutti lì seduti
aveva creato quel vago
aroma di bosco.
Ha deciso Jacona Arden
di far scorrere giustizia
in Nuova Zelanda.
Farla scorrere come acqua buona.
È presidente
e vive normale.
Ha una sua saggezza
nella normalità.
Ha del coraggio stipato
in occhi attenti e giovani mani.
Mentre leggo di lei
respiro un leggero violetto
che per me respirare violetti
è come una terapia.
Solo certe persone o parole
hanno questa magia
di farmi raggiungere
da possibili futuri
buoni per il mondo.
Che di solito
non la penso così.
Che di solito sono disciolti
nel mio pensare inquieto
piccole disperanze.*
Le disperanze non sono disperazioni
ma temporanee ombre
nella culla della speranza.
Le disperanze non sono alloggiate
nel vocabolario comune.
Nel mio, sì.
S’incorporano lievi i violetti
venendo da vicino o da lontano.
Questa volta dalla Nuova Zelanda
a dare inizio a nuovo pensare
altro sentire altro agire.

Sì che gli puoi volere un gran bene
a Boris
se vieni a sapere di lui
da un libro o un’intervista.
Sì che lo ascolteresti per secoli
con quel parlare lento
a tratti con passione
a tratti con misurate riflessioni.
Sì che affronteresti la bora di Trieste
solo per vederlo
davanti la sua vecchia macchina
da scrivere
vederlo far qualche passo pacato
nella stanza
e saldo come una montagna
sostare un poco dalla finestra
girarsi verso di te
e dire sicuro
che la sinistra
non può fare il suo mestiere
se se ne sta beata
dentro l’ingranaggio luccicante
del capitale
del mercato
e va a pranzo coi finanzieri
e tutto delega ai funzionari.
Sì che è da amare uno
che con i piedi vicino alla fossa
- che lui di età fa 105
e di scarpe non sai –
sostiene
che gli sta a cuore il mondo
con la gente sopra
con la vita dentro.
E te lo immagini raccontare
il suo sogno
e tu a dilatarglielo.
Sì a dilatarglielo
perché il suo sogno è bello.
Così tu che l’hai sentito
lo racconti anche ad altri
e ognuno ne cuce un pezzo suo.
E il sogno parte così:
una gran tavolata
con attorno medici poeti
ingegneri mistici compagni e solitari
chi dipinge chi tanto ha navigato
chi risuola scarpe i danzatori
fisarmonicisti chi canta:
tanti insieme uno accanto all’altro
onesti franchi intenti
a dialogare per salvare il mondo
per salvarsi dalla tirannia
del denaro.
Sì che gli vuoi bene
per questo sogno.
Di nome fa Boris.
Di cognome Pahor.
E sogna giusto.
Ed è una bella persona.

Poi ci sono gruppi di belle persone.
Questo è un azzardo,
me ne rendo conto.
A frequentarle una a una
magari la penserei diversamente
cambierei con decisione idea.
Il gruppo degli artisti di strada
per me è un assemblaggio di belle persone
a prescindere.
Proprio perché in strada
a danzare a suonare l’hang
a cantare a saltimbancare
a leggere qualche pagina di un libro
declamare un poemetto
recitare fare performance
senza essere la Abramovic.
Sono a disposizione
sono umili e coraggiose insieme
san di sporco e di pulito
san di cose antiche e tanto nuove
che a stento le capisci.
Sono un assemblaggio rovente
di leggerezza e pesante denuncia
a come gira il mondo.
Sono lì col cappello in mano
e a sputarti in faccia gentilmente
che così non va.

Boris Pahor

Boris Pahor

* neologismo mio

(Fonte delle immagini: Wikimedia Commons)