Non solo mimose a Mondovì, per la Festa della Donna

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La sezione monregalese della FIDAPA ha organizzato in occasione della Festa della Donna un incontro dal titolo Non solo mimose…, ma poesia e musica, a cui hanno partecipato anche tre poetesse marguttiane: Eva Maio, Gabriella Mongardi e Silvia Pio. Di seguito le loro parole e i link alle poesie lette in quell’occasione. 

EVA MAIO:
Non c’è nulla di così banale ed effimero da essere trascurato:  per me è una sorta di etica e poetica del vivere. Quasi una sorta di spiritualità.
Nell’alveo di questa attenzione le parole arrivano. Anch’esse consuete, quotidiane.
M’importa soltanto che siano puntuali, autentiche.
Non le vesto a festa.
Semmai, pur nella scansione libera del verso, m’importa che le parole abbiano un ritmo interiore, che procedano per assonanze, che pur nella semplicità sorprendano anche me, mentre le scovo.
Semmai, pur  essendo parole consuete e di tutti i giorni, mi può importare che abbiano piccole luci, piccoli fuochi e odori e colori nel modo in cui sono combinate.

A quel “Non c’è nulla di così banale ed effimero da essere trascurato ” come ci sono giunta?
Sono stata una bambina giocosa, libera, con un “non so che” di anarchico, ma anche silenziosa, direi attenta. Non avevo talento per la lettura. Ma una grande curiosità dell’umanità, questa sì.
I libri li ho scoperti  davvero solo verso i 16 anni. E sono andata diretta a ciò di cui inconsapevolmente avevo sete: la poesia, la spiritualità, la filosofia, la psicologia.
Mi si sono aperti mondi. Ho intuito che leggere libri era come ricevere in mano chiavi per leggere i paesaggi interiori, la vita, il mondo.
E da lì scrivere per me è stato  dialogare con ciò che leggevo. Ed anche usare quelle chiavi. Usarle a modo mio per leggere il mondo.
Scrivere per me è fermare “la presa” che ho sul reale che vivo. Ma a questa  zoomata manca sempre qualcosa. Sempre. Sempre.
E allora scrivo tutti i giorni. Scrivo per aprire gli occhi, per pensare. Per affondare in quel che manca a quelle zoomate. Per dirmi che quell’imperfezione della presa sul reale è la bellezza della vita che cammina e procede in noi. Per dirmi che quell’imperfezione è preziosa.
Scrivo anche per divertirmi. Sì, divertirmi, perché tra le tante chiavi non manca quella giocosa dell’infanzia.
La scelta per questa giornata è caduta su tre testi che in filigrana mostrano quella poetica: Con salti inaspettati, A collezionare sorrisi, È da millenni.
Dico testi e non poesie. Non so cosa sono. So che dietro appunto c’è una poetica del vivere.
Catturare e collezionare sorrisi è di una semplicità disarmante: possiamo farlo tutti. Basta stare attenti, aperti, in quello che facciamo nella vita quotidiana: in coda alle casse del supermercato, nelle  sale d’attesa, in strada, in bus, in treno. Vedere l’accordo tra lucentezza degli occhi e piega delle labbra nel sorridere è un tocco di beatitudine. Mica poi quei sorrisi sono rivolti a me, talvolta sì, talvolta ad altri.
L’altra dice della bellezza che straripa nelle cose più semplici. E lì, quando arrivano le parole che ritengo giuste per questi tocchi di bellezza nella quotidianità , le acchiappo, le fermo sul foglio. Le rileggo, le saluto e le ringrazio.
È da millenni è un procedere dall’esterno all’interno, dall’interno all’esterno, a partire dal problema dell’emigrazione. È dire la consapevolezza che tutti un po’ siamo in barca. E’ dire che un po’ tutti remiamo. È dire che se l’umanità non percepisce che siamo tutti imbarcati e tutti cerchiamo, in modi diversi, degli approdi, annega: quell’umanità non è più umana. In questo senso annega: se l’umanità rinuncia ad essere umana.

(QUI i testi delle poesie di Eva Maio)

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GABRIELLA MONGARDI:
Per me poeta è uno che non sa di esserlo, e ha bisogno che gli altri – i lettori – glielo rivelino. Il titolo di poeta è come il nostro nome: sono gli altri che ce lo danno…
Come ci ha insegnato Pascoli con il suo fanciullino, un poeta è senz’altro qualcuno che ha custodito dentro di sé lo sguardo e la voce del bambino: ne sono un esempio, tra le poesie che leggerò, la prima, Oggetti smarriti, e Scacchi.
Io direi anche: un poeta è una viola d’amore, non suona se non entra in risonanza. In risonanza con la poesia innanzitutto, con la natura, con la vita…  Non per niente una poesia si intitola Risonanza. Per me appunto l’ispirazione è questo “entrare in risonanza”, è una voce che si alza imperiosa nella mente e obbliga a prendere una penna – o una tastiera – per fissare le parole che dice. E qui, se non fosse un inconcepibile peccato di superbia, applicherei a me le parole di Dante: «I’ mi son un che, quando / Amor mi spira noto, e a quel modo / ch’e’ ditta dentro vo significando»… perché quella voce è sempre la voce di Amore: amore per qualcuno, per qualcosa, per la lingua in cui si scrive.
Il mio rapporto con la lingua è di sottomissione, non voglio forzarla con metafore troppo ardite o una sintassi innaturale o con sfasature troppo violente tra frase e verso: mi metto in ascolto ed è innanzitutto al ritmo e al suono delle parole che mi abbandono, per aprirmi a qualcosa che altrimenti non riuscirei a raggiungere. Questo si vede in poesie “naturalistiche” come Visitazione, Il peso delle stelle, I ciliegi, La menzogna del verde.
L’amico Stefano Casarino mi ha definita “una lettrice onnivora, che non poteva non trasformarsi in autrice”. Certamente quello che ho scritto è merito degli autori che ho letto, ma non avrei scritto un solo verso senza le Alpi Liguri, le montagne ai cui piedi abito – e a cui mi rivolgo nell’ultima poesia, Alpi Liguri.

(QUI i testi delle poesie di Gabriella Mongardi)

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SILVIA PIO:
La poesia per me è cibo e consolazione, espressione e frustrazione. Ricerca di un mondo dove potersi trovare a casa. 
Non so parlarne, ma ogni tanto scrivo poesie sulla scrittura e sulla poesia. Eccone una:

Scrivo di notte dal letto
taccheggio i frutti del buio
per scambiarli con monete del dire
e dicendo accompagno le ore
le raccolgo in fascio scomposto
le depongo sulla pira di ricordi
e varo nell’oceano del tempo.
Poi eleggo tutto questo a poesia.

(QUI i testi delle poesie di Silvia Pio)

Le foto sono di Bruna Bonino

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