Pensa, pensa, pensa, mi dico ma il momento non è certo dei migliori, visto che mi ritrovo una pistola puntata contro, e il panico mi sta letteralmente prendendo alla gola.
Avrei dovuto prestare più attenzione a chi mi aveva sconsigliato di tagliare per queste stradine, ma ormai il danno è fatto e c’è poco da pentirsene.
Per di più il tizio che mi tiene di mira e mi ha appena intimato di consegnargli portafogli e orologio non sembra affatto in vena di scherzare e non credo la prenderà molto bene quando scoprirà che non ho che dieci euro in tasca e porto un’assoluta patacca, cui però sono molto affezionato, perché è un souvenir del mio ultimo viaggio in Costa d’Avorio.
Cucino, mi aveva raccomandato l’ambulante mentre metteva, nel consegnarmi il finto Rolex dorato, la stessa cura che se fosse stato autentico, trattalo bene, che è uno buono. E mi aveva strizzato l’occhio, in segno di complice apprezzamento per la finezza del mio palato.
In realtà l’avevo pure pagato qualcosina più dell’imitazione dell’Omega subacqueo d’ultima generazione che avevo contrattato prima di scorgere, tra gli altri, il bel quadrante luminoso e ipnotico che, da allora, segna la maggior parte delle mie giornate.
Ora mi dispiacerebbe molto privarmene all’improvviso, ma più ancora mi dispiacerebbe che il tizio perdesse le staffe, decidendo di far partire un colpo, anche solo accidentale.
Per colmo di sventura, sempre che le sventure ne abbiano uno, sono bloccato da un muro di mattoni alle spalle e non riesco a intravedere alcuna via di fuga, ammesso che io possa mai pensare di fuggire o mi ritrovi il coraggio per farlo.
Forza, mi sollecita con scarsissimo garbo l’amico, Sto per perdere la pazienza, e non ci sono molti margini di dubbio per capire cosa intenda.
Comincio a slacciare il cinturino mentre provo a cercare un diversivo qualunque, qualcosa che possa funzionare. Magari a sorpresa.
Alzo un attimo gli occhi per puntarli sul mio avversario e gli noto, sul nerboruto avambraccio, il tatuaggio di una giapponesina con ombrellino e kimono.
Ohibò, mi dico, e questo da dove?
Che ci farà un’immagine di quel tipo su un individuo simile?
Ma non è il momento degli interrogativi o delle elucubrazioni, piuttosto dell’azione.
Così agisco.
Aspetta, gli dico, l’ho vista.
Mi restituisce lo sguardo, un po’ perplesso.
Ma di che cazzo stai parlando? La frequenza ad Oxford non deve certo apparire tra i punti forti del suo curriculum.
Di lei, della giapponesina… L’ho vista, ripeto, cogliendo un’improvvisa ispirazione.
Lui continua a non capire, ma ha un attimo di esitazione e quasi fa per abbassare la pistola.
Potrebbe anche essere uno scacciacani, ma non mi sembra proprio il caso di verificarlo adesso di persona.
Che cazzo dici, tu, coglione che non sei altro?
Ho visto un video su youtube, l’altra sera, a proposito della performance di un mentalist e di come desse l’impressione di saper leggere nel pensiero dell’altro, quasi fosse un libro aperto.
Magari gli avessi prestato più attenzione. Adesso saprei forse come muovermi, perché sento in qualche modo di averlo agganciato, l’amico, solo non so bene cosa fare per prenderlo del tutto e convincerlo ad abbassare questa suo ferraccio. Perciò tento il tutto per tutto e vado a braccio.
Il mentalist avrà probabilmente da ridire, ma pazienza me ne farò una ragione.
Se riesco a cavarmi fuori da questo impiccio, magari mi iscriverò ad uno specifico corso di formazione.
L’ho vista, ti dico, la giapponesina.
Parli di questa? Eureka, sta cominciando a capire, ma è ancora talmente fuori da quello che gli sto dicendo che stenta ad orientarsi. Il braccio resta peraltro sempre ben teso davanti al mio sterno, centimetro più, centimetro meno.
Sì, lei o forse una come lei. Aveva un kimono azzurro con dei grandi fiori bianchi e due peonie rosa tra i capelli neri rigonfi… Mi fermo un secondo per osservare l’effetto. Niente male. La pistola è sempre fissa là, ma lo sguardo è cambiato, sospeso tra l’incredulo e il frastornato.
Ḕ il momento di serrare i colpi, come un pugile all’attacco, quantomeno avrò venduto cara la pelle. Non granché come consolazione, ma sempre meglio di niente.
Il mentalist potrebbe perfino apprezzare i miei progressi.
Stava in riva al mare e l’osservava triste. Nei suoi occhi allungati leggevo una grande malinconia.
Leggevi? E che era un libro?
Oh Santa Pace, quant’è grezzo! Devo controllare un po’ meglio l’eloquio e calibrarlo sul questo mio improbabile interlocutore, se non voglio ottenere un risultato controproducente. E irritarlo adesso sarebbe un gravissimo errore, non solo strategico. Ḕ già comunque positivo che non mi abbia mandato a quel paese e che mi stia dando retta, perciò continuo, con un pizzico di cautela in più.
Certo che no, ma spesso si dice così. I volti e le loro espressioni possono essere come dei racconti fatti di emozioni, si sta spazientendo, non è il caso di tirarla ancora per le lunghe con le riflessioni esegetiche, Forse aspettava qualcuno…
Già, come quella dell’opera.
Trasecolo, mai mi sarei aspettato questo sviluppo.
Certo, poverina, Madame Butterfly. Un bel di’ vedremo levarsi un fil di fumo, canticchio per non lasciar sprecare quest’assist improvviso. Una storia bellissima, non trovi?
Forse dovrei anche chiedergli come mai la conosca, ma temo di spingermi oltre e non vorrei rovinare tutto, proprio ora che pare si stia mettendo per il verso giusto.
Né del resto mi sfugge l’assurdità della situazione: un potenziale ladro e la sua potenziale vittima, messa sotto tiro e spalle a muro in un vicolo fuori via, che discettano di lirica. Roba da fare inorgoglire Puccini e i melomani di tutto il mondo, se non si trattasse della mia pellaccia.
No, è solo la storia di uno che fa una grande stronzata, e tu sbrigati con quell’orologio!
L’arma sembra ancora più salda, ma sono sicuro che, malgrado questo colpo di coda, da qualche parte ci sia stata una breccia.
Ritento.
Me la cantava mia nonna, che la conosceva.
La pistola vacilla. Allora una parola-chiave potrebbe essere nonna?
Mi vuoi prendere per il culo? Tua nonna viveva in Giappone e conosceva Madame Butterfly?
Oh ri-santapace, No, no, intendevo dire che conosceva l’opera. Le nonne conoscono sempre un sacco di cose, non credi?
Già, un sacco di cose, annuisce consapevole.
Questa storia della nonna funziona. Continuo a ricamare sul tema. E sanno anche farle. La mia era ad esempio bravissima con le frittelle di mele.
Altro tentennamento della pistola. E la domenica ci riunivamo a casa sua e giocavamo a nascondino con i cugini. La pistola vacilla di nuovo. Un altro paio di battute simili, e magari finalmente l’abbassa.
In cortile, aggiungo, più per volontà di precisione artistica che per necessità. E quasi mi faccio prendere dalla nostalgia del ricordo.
Scommetto che ti prendevano per primo, fa il tizio in tono sfottente.
Tu invece eri bravissimo, lo assecondo, notando che gli si dipinge un sorrisetto compiaciuto.
Puoi scommetterci. Non mi prendevano mai e vincevo anche mio cugino Gaetano che era molto più alto e mi picchiava sempre.
Oh, ecco che affiora pure un vissuto. Forse al posto del mentalist dovrei fare lo psicoterapeuta.
Anche mio cugino si chiama Gaetano, aggiungo veloce, ed è a tutt’oggi antipaticissimo. Faceva la spia con i grandi che ci mettevano in punizione. Ma mia nonna mi difendeva sempre perché mi voleva un gran bene…
Ma che ci vuole, per farti abbassare questa benedetta pistola, rifletto tra e me.
Non so bene quanto potrò durare in questa mia versione creativa. Soprattutto non vorrei che il tizio si stancasse e si rompesse l’incantesimo. Mi sento sospeso su un filo come un acrobata e non ci tengo proprio a cadere, però non so più che altro tirar fuori.
In un tripudio di fondi miagolii, dei gatti prendono intanto a rincorrersi sui tetti.
Se fossimo in un film o in una commedia sarebbe proprio questo il momento di far arrivare qualcuno o inventarsi un elemento di disturbo.
Siccome invece questa è un’impoetica e cruda realtà, restiamo qui bloccati a parlare di lirica e di nonne, né ho idea di come si potrà evolvere il tutto.
Sono perfino disposto a rinunciare alla mia beneamata patacca, ma le cose sono andate troppo in là per rassegnarmi ad un finale così inglorioso.
A furia di parlare d’infanzia, ho tra l’altro l’impressione di essere tornato a giocare alle belle statuine e intuisco la lotta interiore dentro di lui. Mi deve lasciare andare o no? E quando lo deciderà? Ḕ un po’ come con la roulette, che vedi la pallina girare e girare e speri si fermi sul tuo numero ma la ruota continua a muoversi e la pallina pure.
Il fascino del rien va plus e dell’azzardo fortunato ma, ora che ho acquistato un po’ più di lucidità, trovo la cosa decisamente sfibrante e nient’affatto divertente.
E mi sto pure stancando a restare così in piedi, chissà quanto, per dieci euro e un finto Rolex.
Un rumore di passi alle sue spalle.
Una coppietta sta imboccando il vicolo trafelata. Per essere laterale mi pare che stasera questa viuzza sia straordinariamente frequentata.
I due si abbracciano con un gioioso trasporto e praticamente non si accorgono di noi.
Ma ormai è andata: chi porterebbe a termine una rapina in queste condizioni?
Il mio potenziale aggressore abbassa finalmente la pistola e mi fa cenno con la testa di andare.
Anche mia nonna mi voleva un gran bene mi confida di getto mentre, riconquistata la mia sospirata libertà, lo oltrepasso. Si chiamava Maria,
Pure la mia, gli rispondo e quasi ci salutiamo da amici.