FELICE BACCHIARELLO
Ritorno a casa
Ovunque si erano infiltrati reparti americani e russi. I due eserciti si erano uniti nell’occupazione della Sassonia, dopo che la Germania aveva firmato la capitolazione.
Il paese in cui ero io era toccato da truppe di occupazione russe. Nel campo si era rimasti in pochi e la maggioranza era costituita da Russi.
Quasi increduli, dubitando di noi stessi e della nostra vista, vedemmo i russi liberatori aprire le porte che ci tenevano tutti schiavi e donarci la tanto desiderata e sospirata libertà. Lacrime di gioia e di riconoscenza inondarono i nostri occhi, mentre il cuore esultò in un enorme sospiro di sollievo.
Si era liberi e salvi da ogni pericolo ed insidia, si sarebbe fatto finalmente ritorno alle nostre case, ai nostri cari. Un inno di riconoscenza e di ringraziamento saliva dal cuore di ognuno a Dio, che, dopo tante prove e tanti sacrifici impostici, ci aveva condotti alla libertà, alla salvezza.
Si era impazienti di far ritorno in patria, il nostro primo pensiero, appena liberati, fu per i nostri cari e già si pregustava la gioia dell’abbraccio del reduce a chi aveva aspettato in ansiosa attesa. Si era però in una zona che si prestava assai poco per una sollecita partenza a mezzo organizzazioni ordinate, pertanto con mio fratello, radunati viveri ed alcuni effetti utili e necessari, caricato il tutto su di un carrettino, si partì a piedi per portarci in località più frequentate ed occupate da truppe americane.
In una prima tappa ci portò a Stollberg. Ivi procurammo di avere un secondo carrettino ed una pentola per cuocere la pasta, che in abbondanza già ci eravamo procacciata.
La città fu quasi messa a sacco dal furore della massa dei liberati qui agglomerati. Ebbi le venture di procurarmi una grande e dettagliata carta della Germania, la quale servì ottimamente allo scopo che mi ero prefisso.
Con l’aiuto di quella, siccome era fatto divieto a noi di circolare sulle grandi arterie stradali, sulle quali dovevano liberamente senza intralci circolare le autocolonne alleate, evitando le strade proibite e seguendo invece quelle secondarie, era tanta l’ansia che ci spingeva verso casa nostra che intraprendemmo il viaggio a piedi, fino a portarci il più vicino possibile all’Italia.
Consumando quanto avevamo con noi di commestibile, commerciando per procurarcene, questuando nei vari paesi in cui si ebbe a transitare, camminammo in tal guisa per oltre quindici giorni fino a portarci nella Baviera.
Non sto a perdermi nella narrazione della vita quotidiana del viaggio e in qual modo sia stata condotta.
Pur di guadagnare tempo, pur di avvicinarsi alla madre patria si camminava sempre, a brevi tappe, circa 20 km al giorno. Alla sera si chiedeva alloggio in qualche casa, ovvero, avendo tutto il necessario, si alzava la tenda e si dormiva sodo con una coperta sotto, a guisa di materasso. Per mangiare ci si arrangiava. Pur avvicinandosi a grandi centri, per non inoltrarci troppo in zone solitarie, troppo pericolose ancor, perché infestate da renitenti delle S.S. latitanti, evitammo Zwickau, Plauen, Eger e Selberg e arrischiammo di essere catturati dalla polizia cecoslovacca, avendo varcato in un tratto il confine di detta nazione, di recente ricostruita, con al riguardo nuove leggi in vigore. Così prestamente dopo avervi viaggiato un giorno, lesti lesti uscimmo dalla Boemia. Passammo per paesi e cittadine, molte delle quali completamente distrutte dalle incursioni aeree. Quale distruzione e quanta miseria! In che stato era ridotto ora quel popolo che già aveva pregustato la gioia satanica di soggiogare e far tribolare tutta l’Europa!!
Cittadine di 30 mila abitanti erano ridotte con quattro o cinque mila abitanti. Ferrovie, stazioni, centri urbani, comunicazioni, acquedotti, tutto distrutto! Ovunque era uno spettacolo tragico e desolante.
Weiden, Schwandorf, furono toccate durante la nostra marcia, di oltre 350 Km di cammino e facemmo punto in Regensburg, non molto distante da Monaco di Baviera.
Regensburg è attraversata dal Danubio blu che ebbi occasione di ammirare a mio agio e piacere, godendomi ben 15 giorni di bagni solari sulla sabbia della sua sponda. Che lusso! Pareva un sogno potere liberamente circolare in quella nazione, senza poliziotti tedeschi colla croce uncinata al braccio a seguirci, essendoci ora consentito persino di guardare con tutto spregio ciò che puzzava prettamente di tedesco.
Oltreché dal Danubio la città era attraversata da altri due fiumi, dando così l’impressione di essere a Venezia, anche perché, essendo i ponti tutti crollati per circolare in città era necessario essere continuamente in barca per il traghetto dei fiumi.
Si era in molti alloggiati in un grande edificio, controllati dal servizio americano di occupazione che ci aveva ivi riuniti in attesa fosse possibile il trasporto in Italia, cosa allora problematica per la inefficienza delle ferrovie e per il transito interrotto in molti punti della rete stradale. A fine guerra si era circa trenta milioni di stranieri in Germania e tutti, o almeno la maggioranza, impazienti per lo stesso motivo: tutti attendevano il momento del ritorno. Ora più nessuna altra preoccupazione ci assillava all’infuori di quella.
Circa un mese si rimase a Regensburg ad attendere. È indescrivibile l’entusiasmo, la gioia che si provò il giorno in cui una colonna americana di automezzi allineata dinanzi al nostro accantonamento fu pronta per portarci in un paese vicino, per l’operazione di caricamento e di inoltro in Italia.
Ognuno avrebbe voluto essere il primo a salire sull’automezzo, per paura di correre il rischio di rimanere a terra e dover attendere una successiva partenza. Per tutti ci fu posto sui camion guidati dagli esperti autisti, negri e lucenti, e così pure sui vagoni merci che ci attendevano alla stazione. Non importava ora di essere stretti e pigiati come le acciughe, al punto di dover passare tre notti insonni, non essendo possibile coricarsi; nulla ci rincresceva ora! Più niente era sacrificio, si era liberi e si tornava a casa!
Causa l’ancora disastroso funzionamento delle ferrovie il viaggio fu lungo assai; soste interminabili in attesa di coincidenza sopportate con impaziente rassegnazione. Si passò per Norimberga, la città in cui erano imprigionati i criminali, i responsabili di tutti i mali, di una sì catastrofica guerra. Il cammino fu tortuoso, a zig zag, dovendo cercare le ferrovie già riattivate. L’Austria fu percorsa sotto la pioggia. Dal tetto del vagone pioveva sulle nostre teste e non c’era possibilità di evitarlo; nemmeno era possibile stare seduti o coricati, perché il pavimento era inondato di acqua. Ciò nonostante nessuno imprecava, ognuno sopportava il sacrificio con gioia perché alla fine di quel viaggio ci sarebbe stato, finalmente, il compenso, speranza che ci aveva aiutati a vivere in quegli anni d’inferno.
Ad Innsburg non pioveva più. Man mano che ci si avvicinava all’Italia il cielo si rischiarava, come si rischiarava la nostra mente e si schiudeva il nostro cuore alla gioia ed alla felicità.
(Continua)
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