ATTILIO IANNIELLO
La Croix-Rousse è un quartiere di Lyon ricco di memoria storica. Nel XIX secolo infatti era sede di opifici e gli operai setaioli (Canuts) che ne abitavano le vie e le piazze furono spesso autori di rivolte (importanti quelle del 1831 e del 1834) per avere migliori condizioni di vita sia sul posto di lavoro che in città.
I Canuts si associarono anche in una Società Operaia di Mutuo Soccorso denominata “Les Voraces”; con questo termine passerà alla storia una insurrezione che nel 1848 portava gli operai ad occupare il Municipio, la Prefettura e il forte. Nel ’49 la rivolta operaia venne definitivamente e violentemente repressa, ma nel quartiere rimanevano vive le aspirazioni di libertà, uguaglianza e fraternità declinate dalle classi subalterne.
Dopo il 1968, dopo quel maggio che vide comparire in tutta l’Europa nuove forme di lotta sociale e nuove istanze politiche (i movimenti giovanili-studenteschi, il movimento per i diritti delle minoranze etniche, sessuali, il movimento delle donne, ecc.) la Croix-Rousse ridivenne sede di sperimentazioni sociali alternative: ristoranti autogestiti, cooperative, luoghi d’incontro e di resistenza alla cultura del pensiero unico, luoghi d’espressione artistica ecc. Molte di queste esperienze continuano ancora oggi, facendo della Croix-Rousse un quartiere interessante per tutti coloro, francesi e non, che progettano forme di partecipazione sociale sempre più coinvolgenti e solidali.
In questo contesto urbano ed umano venne a vivere, agli inizi degli anni Settanta, Domenico (Mimmo) Pucciarelli. Nato a Caggiano, un paese in provincia di Salerno, nel 1954, Pucciarelli a seguito della sua militanza nonviolenta rifiutava di prestare il servizio militare e lasciava l’Italia agli inizi degli anni Settanta costruendosi una nuova realtà sociale politica ed umana a Lyon.
Mimmo Pucciarelli non dimenticava però il suo paese natale, al contrario, Caggiano diventava scenario reale e immaginifico di una serie di interessanti poesie.
Poiché Pucciarelli mi ha donato due suoi libri di poesie “Agli uomini quasi nudi” e “La mia piccola umanità” ho avuto modo di conoscere ed apprezzare i suoi versi, tesi, a mio parere, tra nostalgia ed utopia.
In particolare “La mia piccola umanità”, testo uscito nel 2011 per le edizioni dell’Atelier de Création Libertaire di Lyon, raccoglie poesie che testimoniano, oltre l’umanità, la capacità espressiva e la maturità compositiva di Mimmo Pucciarelli.
Il libro si apre con “L’ora della poesia”:
Non è quella che permette di raccogliere ciliegie
non è quella che permette di raccogliere le orme
dell’amore
non è quella che permette di iniziare a distruggere i tasti
di un pianoforte
non è quella della paura della mente che cerca di aprire
nuovi spazi e nuove mete
non è quella che si incammina tra gli stracci della folla
profumata
non è quella che rispedisce al mittente le lettere violente
non è quella delle parole che si inseguono dietro l’angolo
per gridare l’orrore del quotidiano armato violento
e senza pietà
l’ora della poesia è una specie di oro puro che si trova
sulla punta delle dita
l’ora della poesia è questo attimo in cui il respiro si fa
vita, storia e amore
l’ora della poesia non è ancora finita.
(L’ora della poesia)
Il poeta ribadirà ancora nel corso del libro che il tempo della poesia è legato al respiro, alla più intima realtà dell’uomo. Si chiede così:
È sempre l’ora della poesia?
sì
soprattutto quando cala la sera
soprattutto quando la gioia, la gola,
il fascino delle luci lontane
disegnano quella dolce fantasia
del vivere su un albero.
(È sempre l’ora della poesia?)
Vivere su un albero, su un essere che più di altri lega il suo aspetto alle stagioni e quindi rappresenta in qualche modo la vita stessa; la vita che come un albero può seccare e diventare legna da ardere o può dare frutti e riparo e sicurezza ad altri esseri viventi; la vita che in ogni caso è relazione con uno spazio, un tempo storico, altre umanità. E il “vivere su un albero” di Pucciarelli è catturare immagini di vita reale non per sfuggirla ma per diventarne parte, testimone, anima:
Seduto in cima ad un albero
guardo la mia piccola umanità
che si agita
compra il pane
beve il vino
scopre gli occhi del sesso
si circonda di rondini felici
raccoglie quintali di olive
(È sempre l’ora della poesia?)
La “piccola umanità” nello sguardo del poeta è quella reale e mitica del paese di nascita, quella che si sposa, va ai funerali, gioca a scopa all’osteria, lavora, va al cinema e si commuove, parla il suo dialetto; la “piccola umanità” è fatta di nomi soprattutto femminili, Maria, Milena, Giovanna, Maddalena, Beppa, Roxanna, Raffaella, di festeggiamenti religiosi e laici; la “piccola umanità” è la parola di chi quando ti incontra ti chiede «come stai?» ed ascolta interessato la tua risposta; la “piccola umanità” è il luogo ideale, nonostante tutte le contraddizioni, dove l’anima può trovare la pace:
C’era una volta una piccola umanità
e verso di lei mi incammino
per raccogliere gli ultimi istanti
che potranno essere raccontati
senza doversi scusare,
senza doversi grattare
i bottoni del cervello
che non sanno
che questa piccola umanità
è la sola cosa
che possa dare luce
alla musica dell’anima.
(La mia piccola umanità)
E l’anima ha bisogno di luce perché l’uomo, come scrive Pucciarelli in “Sono un gabbiano”, è «alla ricerca/dell’autore/che possa sbriciolare/il dolore». E questo “autore” non si presenta nella poesia pucciarelliana come un singolo individuo o come il dio di heideggeriana memoria, ma come una collettività che nella semplicità e sincerità dei rapporti umani può prefigurare forme di felicità. La stessa natura ci mostra simboli, segni di una felicità possibile come il volo delle rondini (persino Giacomo Leopardi nell’Operetta morale intitolata “Elogio degli uccelli” affermava «Io vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita»). Pucciarelli, infatti, nella poesia “Il valzer delle rondini” gode dello spettacolo dato a questi uccelli che si rincorrono nel cielo («lo spettacolo era bellissimo») e non riesce a fotografarle («ho cercato di catturarne qualcuna/con la mia camera digitale/ma non ci sono riuscito») perché la felicità è dinamica e non può essere fissata, bloccata anche nella più bella immagine che è pur sempre statica.
Ed allora il poeta rivela la tensione all’utopia con l’immagine sorgiva della fontana di paese che ride versando l’acqua, fonte universale di vita:
L’utopia è una fontana che ride
è quell’autostrada invisibile
dove si sfidano due angeli senza ali.
L’utopia è un sogno che inizia là
dove finisce la notte.
È un messaggio senza parole
che riempie di pace, sia il cuore
che gli occhi arrossati dal troppo dolore.
L’utopia è una pianta che ama il silenzio,
certamente il sole e quella rugiada
che sono lacrime di speranza.
È forse un monito che può sventolare
sui balconi dei caggianesi.
lu paravis pp tùtt li païs
ru pan pp tùtt r criatù-r
iàngh, rùss e nivr’
e ppo’ la forza e la cuscienzia!
La libertà è un’utopia che cammina
nei corridoi metropolitani
e attraversa i sentieri
che solcano la storia dei nostri paesi.
L’utopia, la respiro quando abbraccio
l’aria r’ngàp la Serra
e le ombre che la carne
rendono palpitante.
L’utopia sono tante lingue
che riescono a raccontare i desideri
che spiegano come avvicinarsi
alla ragione, non quella dei pre/potenti,
ma a quella della mia piccola umanità
che la Borsa non corrompe,
e che è sempre pronta
a dare una mano
affinché la fontana sorrida
e ci aiuti a essere felici.
L’utopia è una bandiera
che l’arcobaleno dipinge con i suoi colori:
sono i tuoi occhi
che si tingono nei miei.
(Utopia)
Gli ultimi due versi sono in qualche modo la chiave di lettura dell’intera poesia. Sono versi d’amore, ma un amore che può avere molte declinazioni. Sono una versificazione, per esempio, della filosofia dell’incontro con l’altro, la filosofia dell’altruità di Martin Buber, dello sguardo dell’altro che mi interpella chiedendomi pace e solidarietà di Emmanuel Lévinas e, forse di quel passo di Michail Bakunin tratto da “La libertà degli uguali” in cui il pensatore russo afferma: «Io sono veramente libero solo quando tutti gli esseri che mi circondano, uomini e donne, sono ugualmente liberi… La mia libertà personale, così convalidata dalla libertà di tutti, si estende all’infinito».
E l’utopia che nasce dall’essere comunità libera e solidale, Mimmo Pucciarelli cerca di viverla nella Croix-Rousse di Lyon dove alla parola poetica aggiunge l’immagine. In una sorta di manifesto-presentazione del suo blog il poeta-sociologo Pucciarelli scrive:
«L’imaginaire sociologique peut se servir de concepts, d’enquêtes, d’analyses ou encore de cette écriture mélangeant récits et littérature du quotidien.
Et puis, il se peut que toutes ces phrases, ces mots encastrés les uns dans les autres pour restituer le sens des choses, des évènements et des personnes que nous observons, côtoyons, aimons ou bien nous interrogent, deviennent un obstacle. Non pas qu’ils ne puissent pas restituer la vie des gens, leurs chemins, leurs conflits, leurs espoirs, leurs rêves, au contraire les mots clarifient aisément la logique des groupes et des sociétés dans lesquelles nous vivons.
Mais lorsque la démarche du chercheur, de la personne engagée dans ce mouvement perpétuel visant un monde le plus vivable possible, de celui/celle dont le territoire est inscrit autant dans les pierres transpirant les utopies sociales que dans la chair, dans l’être singulier et collectif évoluant dans un quartier à échelle humaine…
Lorsque ce quartier représentant un petit territoire dont la densité de population, l’épaisseur de l’histoire et de ses riches promesses, ses multiples paris, ses incertitudes, ses bouleversements, ses subits et subtils changements et enfin, et surtout, ses personnes que l’ont croise dans ses pentes et ruelles dessinées pour que l’on mélange nos corps, nos vies et nos imaginaires… alors l’écriture ne peut probablement plus suffire.
Alors, et grâce à cette technologie nous facilitant la capture de ces couleurs, des ces formes, des ces sentiments que l’on entend en regardant nos proches, nous pouvons entreprendre une autre démarche. Voler, jours après jours, un peu de cette vie d’un petit territoire au nom emblématique unissant le symbole de la Croix et de ce rouge qui se transforme de pierre en linceul où les arrière-petits-enfants des canuts, d’ici et d’ailleurs, vont continuer à taguer des mots de révolte, des mots de douleurs, des mots d’amour dans lesquels nous pouvons entrevoir le monde en devenir. Un monde alternatif ?
J’aime la Croix-rousse !!!
Mimmo Pucciarelli»[i]
Ed allora ecco che la Croix-Rousse viene percorsa dal poeta-fotografo errante e coglie scritte, graffiti, volti, momenti di lotta e di festa in una forma di documentazione poetico-politica di estremo interesse per chi cerca un monde alternatif.
Blog di Mimmo Pucciarelli:
http://www.atelierdecreationlibertaire.com/croix-rousse-alternative/
Mimmo Pucciarelli legge la poesia “Utopia”:
http://www.dailymotion.com/video/xz5axn_mimmo-pucciarelli_creation
Note
[i] Libera traduzione di Margutte: «L’immaginario sociologico può servirsi di concetti, di ricerche, di analisi o anche di questa scrittura che mescola racconti e letteratura del quotidiano.
E poi, è possibile che tutte queste frasi, queste parole incastrate le une nelle altre per restituire il senso delle cose, degli avvenimenti e delle persone che noi osserviamo, affianchiamo, amiamo o ci interpellano, diventino un ostacolo. Non che non possano ricostruire la vita delle persone, i loro percorsi, i loro conflitti, le loro speranze, i loro sogni, al contrario le parole chiariscono facilmente la logica dei gruppi e delle società nelle quali viviamo.
Ma quando l’approccio del ricercatore, della persona impegnata in questo movimento perpetuo tendente ad un mondo il più vivibile possibile, di colui/di colei il cui territorio è inscritto tanto nelle pietre traspiranti utopie sociali quanto nella carne, nell’essere singolare e collettivo che si evolve, che cresce in un quartiere a misura d’uomo…
Quando questo quartiere che rappresenta un piccolo territorio la cui densità di popolazione, lo spessore della storia e delle sue ricche promesse, le sue innumerevoli scommesse, le sue incertezze, i suoi sconvolgimenti, i suoi repentini e fini cambiamenti e, infine, e soprattutto, i suoi abitanti che l’hanno attraversato nei suoi pendii e nelle sue strette strade tracciate affinché si mescolino i nostri corpi, le nostre vite e i nostri immaginari … allora la scrittura probabilmente non può più bastare.
Così, grazie a questa tecnologia (fotocamera digitale) che ci facilita la cattura di questi colori, di queste forme, di questi sentimenti che percepiamo osservando i nostri vicini, le persone che incontriamo, possiamo intraprendere un altro approccio. Catturare, giorno dopo giorno, un po’di questa vita di un piccolo territorio dal nome emblematico che unisce il simbolo della Croce e di questo rosso che si trasforma da pietra in lenzuolo dove i pronipoti degli operai setaioli, di qui e d’altrove, vogliono continuare a fare graffiti con parole di rivolta, parole di dolore, parole d’amore nelle quali noi possiamo intravedere il mondo futuro. Un mondo alternativo?
Io amo la Croix-Rousse
Mimmo Pucciarelli»