JOHN IRVING CLARKE
Ogni ora, regolare come il muezzin che chiama i fedeli, il traghetto brontola in un ampio arco attraverso la baia. Il motore si lamenta e le eliche emettono uno sciabordio che si riversa rumoroso contro le pareti del molo. Il chiacchiericcio di quelli ammassati a bordo svanisce mano a mano che l’imbarcazione si allontana dai negozi, dai caffè e dai banchi del mercato. Il crepuscolo dura poco, il calore del giorno lascia una coperta appiccicaticcia sopra le stradine dove l’odore di cipolla fritta e spezie esce attraverso le tende moschiere appese alle porte. Il ritmo rallenta, la vita scivola in modalità lenta. Questo è il tempo del caffè denso e del tabacco forte. Le minuscole variazioni di un giorno sempre uguale vengono discusse. Le convinzioni si rinforzano e niente può turbare la stabilità di aver già visto tutto. In questo luogo ho costruito il mio spazio e ordinato il mio nido. Ma il dialetto marcato non suona familiare, le parole sono sempre pronunciate troppo veloci ed io sarò sempre ajinbay.
I miei rituali quotidiani sono come la chiamata del muezzin, come un dogma. Apro lo schermo del portatile: vivere in questa città, mercanteggiare nel suk e scambiare pettegolezzi nella calca di donne velate significa mescolare i colori e respirare i profumi di migliaia di anni di storia. Eccomi, con la benedizione di capire e accettare.
Ajinbay – straniero. Fisso il computer e cerco nel dizionario arabo le parole per nostalgia di casa.
Sitting by the Harbour (Seduto vicino al porto) ha vinto il primo premio nel concorso per racconti brevi Fosseway Writers Flash Fiction short story, Newark, Nottinghamshire. L’originale si trova qui.
(Foto di Bruna Bonino)