EVA MAIO
Nove piccole cose: si sparpaglino pure.
Una novena di non so cosa.
Stiamo in persistenti preludi di qualcosa. Il pensare si fa sbrecciato. Ce ne stiamo senza lusinghe e finalmente senza presunzioni.
Siamo incerti.
Forse più veri.
1
Le fessure frastagliate
di ogni vita
sono lì
appese alle pareti
di casa.
Le ascolto
con occhi aperti.
Che il cosmo
si conficca
nei pertugi
e non c’è parapetto
all’incertezza.
Che la scena
d’ogni apparenza
sta colando
giù dallo scarico
del lavandino.
2
Apocalissi e avventi
le invisibili
particelle submicroscopiche
ci fanno annusare.
E basta
uno starnuto.
3
Pensare
non è un ornamento
e se l’imprevedibile
ci raggiunge
e schiaffeggia
pensiamo
più a fondo.
E tocchiamo il cuore.
Dei problemi.
Di noi.
4
Le viscere
dovremmo toccare
che le abbiamo dimenticate
in questo svolazzare
di numeri e parole.
5
Io siamo
Tu siamo
Lui lei siamo
Noi siamo
Voi siamo
Loro siamo
6
Per diventare
saremo
occorre
ora
immergere
l’io
in te lei lui voi loro
che loro
forse non c’è.
7
Mi prendo il permesso
di essere volgare:
Non c’è peggior puttana che la finanza.
Mi scuso
per la parola volgare finanza.
8
Appendo
alle pareti
dei grazie
ed ogni grazie un volto
di vivi di morti
che hanno incrociato
i miei occhi.
Appendo dei grazie
per ogni palombaro infermiere
per ogni palombaro dottore
che si prende cura
di chi
ora
ha poco fiato.
9
Ripeto dei
“Resta”
a un cuore
ormai
come carta assorbente
dei dolori
che vagano silenti
fuori
lungo lo stivale.
Li ingoio
quei dolori non miei
che facciano
un percorso
dentro
là dove
stanno accucciati
i grazie
per mani operose.
Ripeto
“Resta”
all’impalpabile
di me
che sente
come benedizione
l’umano sbriciolarsi
d’ogni pretesa.