GABRIELLA MONGARDI
Chissà se Mozart, e ancor più Da Ponte, si erano resi conto della portata rivoluzionaria, per non dire eversiva, del loro “dramma giocoso” Così fan tutte? Un’opera che ancora oggi, più che divertire, turba e disturba, tanto è spiazzante, paradossale, assurda la sua trama: figurarsi nel 1790, quando fu rappresentata per la prima volta al Burgtheater in Vienna, il 26 gennaio, diretta da Mozart stesso… a meno di pensare che, a fine ’700, la concezione dell’amore e del rapporto tra i sessi fosse più aperta di quanto non lo sia oggi, dopo la “lezione” romantica sull’amore innalzato a unica ragione di vita, unico criterio di valore, e che il pubblico settecentesco cogliesse di quest’opera l’aspetto “giocoso” – letterario, teatrale e musicale – molto più che quello drammatico (psicologico e sociale). Da Ponte nel suo libretto si è infatti divertito a parodiare un codice letterario, quello della lirica petrarchistica, che da Bembo a Metastasio era diventato un vero e proprio vocabolario galante, il lessico amoroso per eccellenza in società: la parodia si realizza tramite il riuso di versi strofe o metafore petrarchiste arcinote ovvero con l’introduzione di termini burocratici-notarili o colloquiali nelle strutture di versi canonici ritmicamente perfetti; Mozart non è da meno sul piano musicale e teatrale, e “cita” a piene mani se stesso e altri compositori, anche solo attraverso semplici allusioni o richiami, in un continuo gioco metateatrale: il titolo stesso non è che il riuso di un verso delle Nozze di Figaro, “Così fan tutte le belle…” (Don Basilio, terzetto dell’atto primo, scena settima), e l’opera si può considerare un “catalogo” parodico di tutti i tipi di arie, da quelle drammatiche (Smanie implacabili; Come scoglio) a quelle idilliache (Soave sia il vento). Il risultato dell’incontro tra parole e musica è qualcosa che va ben al di là dell’iniziale ironia presente nel libretto, è un’ambiguità che paralizza il giudizio, perché crea uno spazio emotivo in cui sono contemporaneamente presenti ogni passione e ogni suo contrario, sospesi oltre il dolore, oltre la gioia, al di là del bene e del male.
Inutile dire che furono i critici romantici i primi a gridare allo scandalo di fronte a quest’opera di Mozart, ad accusarlo di cinismo immorale – a riprova del fatto che l’ideologia acceca, e che di fronte a un capolavoro ereditato dal passato bisogna semplicemente, umilmente darne una lettura il più possibile “filologica”, cioè mossa da amore per quelle parole e quella musica, che sono “altro da noi”, sono come sono e non come noi vorremmo che fossero.
La dimensione metateatrale è fondamentale in quest’opera: la scommessa tra Don Alfonso e i due focosi innamorati Guglielmo e Ferrando con cui si apre la vicenda, in che cosa si traduce, se non in una recita nella recita, teatro nel teatro? Infatti, per mettere alla prova la fedeltà delle proprie innamorate, Fiordiligi e Dorabella, i due prima fingeranno di partire per la guerra, poi si travestiranno da nobili albanesi corteggiando uno la fidanzata dell’altro e infine fingeranno di ritornare e di sdegnarsi per quello che trovano: i preparativi per le nozze tra le signore ferraresi e i nobili albanesi.
Di fronte a tutto questo il pubblico ha un ruolo affatto particolare: Da Ponte, ponendo lo spettatore nella dissimmetrica posizione di vantaggio di colui che sa quel che i personaggi sulla scena non sanno, lo rende complice e partecipe dell’azione, lo costringe a essere – volente, ma più spesso nolente – il vero osservatore ironico, consapevole di tutti i lati della finzione. E l’opera si potrebbe definire una perfetta “anticommedia”, poiché giunge a dissolvere persino il presupposto su cui si basa ogni commedia, l’assunzione dei valori o pregiudizi morali del tempo, dati come metro per giudicare il comportamento dei personaggi. Qui non c’è più una morale giusta in base a cui condannarli o assolverli, ma solo la «legge di natura», secondo la filosofia empirica di Despina (la cameriera alleata di Don Alfonso), o la «necessità del core», secondo Don Alfonso stesso.
Ma per assumere questo punto di vista “fisiologico”, per accettare queste “leggi di natura” o “necessità del core”, bisogna essere educati: la “scuola degli amanti” – questo il titolo originario dapontiano, fatto diventare sottotitolo da Mozart – è anche scuola per gli spettatori, che di questa pedagogia forse farebbero volentieri a meno… Ma come sottrarsi alla seduzione della musica di Mozart, di una dolcezza e tenerezza infinite, come se Mozart spargesse a piene mani i suoi tesori melodici per consolare il pubblico (e fors’anche se stesso) della durezza della realtà, o piuttosto per risarcirlo della “perdita dell’ingenuità”, a tutti i livelli (tematizzata prima nell’aria di Despina II, 19, Una donna a quindici anni, poi nella Scena Ultima da Don Alfonso: V’ingannai ma fu l’inganno / disinganno ai vostri amanti)?
Sul piano della trama Così fan tutte si sviluppa come la dimostrazione di un teorema geometrico, in cui la tesi (enunciata da Don Alfonso nella prima scena dell’atto primo) è che anche le donne sono fatte di carne e sangue, hanno desideri e passioni, come gli uomini. È cinismo immorale, questo? Io parlerei semplicemente di realismo, disincantato certo, ma realismo… Tant’è che alla fine, dopo aver vinto la scommessa (quod demonstrandum erat), Don Alfonso non incita Guglielmo e Ferrando a lasciar stare le donne optando per una vita da eremiti, né a sfarfallare da una all’altra come Don Giovanni, ma li invita a tenersele e ad amarle come sono, senza idealizzazioni sublimanti, accettandole nella loro reale e concreta e umanità! Direi che Da Ponte-Mozart qui non solo precorrono Kierkegaard con il passaggio dallo stadio estetico del libertino a quello etico del matrimonio, ma addirittura anticipano il femminismo novecentesco con il rifiuto della doppia morale sessuale. E la “morale” cantata nel coro finale: «Fortunato l’uom che prende / ogni cosa per buon verso / e tra i nembi e le tempeste / da ragion guidar si fa», è davvero un compendio di saggezza “illuminata” – non perdere mai la bussola della ragione e prendere tutto dal verso giusto: non sembra proprio un consiglio cinico…
Mi sembra invece di assoluta modernità la visione della donna che emerge da Così fan tutte proprio grazie al sorriso della musica mozartiana: una donna a cui viene riconosciuto il “diritto di tradire”, come “tradiscono” gli uomini, una donna non più idealizzata e sublimata, ma neanche ammazzata – come avviene oggi – da maschi che avvertono come lesa maestà qualunque forma di indipendenza femminile. Ho virgolettato il “tradire” perché è ben lungi da me l’esaltazione del tradimento, ne faccio solo una questione di “pari opportunità”, di morale (sessuale) unica: se l’infedeltà è un male, che lo sia per entrambi i sessi – oppure per nessuno, maschio o femmina che sia…
Quanto alla domanda con cui ho aperto questo discorso, ho trovato risposta (affermativa) nell’illuminante intervento di Luca Fontana inserito nel programma di sala stampato in occasione della messa in scena di Così fan tutte a Venezia nel 2002: «Con Così fan tutte, Da Ponte e Mozart […] sembra abbiano voluto ignorare consapevolmente o, peggio, consapevolmente aggredire i segni di quella nuova sensibilità preromantica – Empfindlichkeit la si definisce in tedesco – che sta vigorosamente fiorendo attorno a loro come etica dei sentimenti delle nuove classi borghesi emergenti, e che condurrà a sovraccaricare l’amore di alti – troppo alti? – significati etici. […] Da Ponte […] immaginava di scandalizzare e divertire, presentandosi come l’alfiere di una verità che nessun altro osava affermare apertamente. E come al solito si dispose ad agitare la bandiera di quella verità proprio davanti agli occhi di coloro che avevano tutto l’interesse a negarla e tutti i mezzi per mettere a tacere lo scomodo personaggio che se ne faceva banditore».
Solo una cosa si salva e ci salva dal “disinganno” di una vita vissuta a occhi aperti: la bellezza assoluta della musica di Mozart, che s’innalza sulle antinomie, le aporie del reale e le dissolve nella sua superiore armonia, misteriosamente riconciliando l’inconciliabile.