EVA MAIO
“Un giorno
me ne scapperò a bordo
di una di quelle navi
infinitamente piccole
che costruisco
con i biglietti dell’autobus.”
Malaka Badr, poeta
Il titolo viene da qui.
E la storia?
La storia viene da un triplo cerchio: Emergency, Open Arms , Eleonora Dotti.
Emergency. Come non stimarla in quel suo cuore etico di attenzione ai diritti a tutto tondo: “offrire cure gratuite e di elevata qualità alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo, delle povertà. Promuove una cultura di pace e diritti”.
Open Arms. Come ignorarla in quel suo incessante generoso e civile agire per “proteggere la vita delle persone più vulnerabili in situazione di emergenza”
Eleonora Dotti: la loro congiunzione. In questo caso.
Infermiera che fa parte del team operativo di Emergency salpato a bordo della Open Arms nel settembre del 2020.
Nell’intervista a Francesca Chiarello la Dotti “racconta uno spaccato di vita di un giovane”.
L’incisivo brevissimo racconto mi prende.
Lo riporto pari pari.
“C’è un ragazzo egiziano di 18 anni che ha con sé una borsa per il pc. La tratta come se fosse il suo piccolo tesoro. Ogni tanto si mette lì seduto e la apre, guarda le sue cose e le sistema in ordine. Una piccola borsa per il pc. Se io dovessi affrontare un viaggio simile, un cambio di vita simile, non saprei cosa metterci in una borsa per il pc. Dovreste vedere come tratta quelle cose, con cura e delicatezza infinita. Se la porta dietro quando va a parlare con altre persone e poi la usa come cuscino o forse le tiene al sicuro così. Sto chiedendo a tutti i colleghi fuori turno cosa ci metterebbero loro in una piccola borsa del pc. Io non sono ancora riuscita a rispondermi.” (Da Il mare è il loro appuntamento con la vita in Lifegate, 17 settembre 2020)
Mi prende quel racconto e i tre cerchi catapultano qui.
Poi si allargheranno di nuovo nel cuore di chi legge. Lo spero.
E leggeranno del ragazzo egiziano e di altri scampati. Poi verrà voglia di saperne di più di infermieri dottori operatori della Open Arms… di Emergency…
Che leggere serve a questo: aprire cerchi di conoscenza consapevolezza sentire…
Dunque quel racconto s’è dilatato.
Eccolo.
Ha diciotto anni.
È egiziano.
Viene da vicino o lontano le piramidi,
non so di preciso.
Arriva da dove
ci si inventa ogni giorno
quella guerra a bassa intensità
che si chiama
militarizzazione diffusa
e guai
a chi pensa a chi parla a chi lotta.
Questo lo so.
Viene da lì.
È qui a bordo
di una di quelle navi
che hanno una prua chiamata ‘Domani’
una poppa con inciso
‘Adesso me ne scappo’
e di mezzo
uomini donne attrezzati
a dare
respiro dignità
a mezze vite
solcate
da abusi violenze
d’ogni tipo.
Ha diciotto anni.
È egiziano.
Non è al Liceo
non a fare un aperitivo con gli amici
non con la sua ragazza
non a sfidare suo padre
per fare tardi la notte
non si è tolto la vita
come i 150 ragazzi suicidi
negli ultimi mesi
molti con un lancio
dalla Torre del Cairo.
È qui a bordo.
Se ne sta
rannicchiato nel suo silenzio
a volte altero
con gli occhi grandi di Tutankhamon
e il sangue dei Tolomei
che scorre inconsapevole
nelle arterie giovani
pulsanti che chiedono
vita
libera vita in libera terra
e liberi cammini
e libero pensare
e libera parola.
Ha diciotto anni.
È egiziano.
Forse ha serrata in corpo
l’ammirazione per Alaa Abd al Fattah*
e in testa le 2231 persone
arrestate in una settimana
triste di settembre
nel suo paese
lo scorso anno.
Forse ne sa qualcosa
del movimento del 6 Aprile
ormai lontano.
Forse no.
Ne ha abbastanza
di lacrime e soprusi
che non basta aver attorno
l’odore delle glorie antiche
il fascino dei sarcofagi
le bare colorate di Asasif
le leggendarie imprese
dei capo carovanieri
i tesori del GEM.
Meglio annusare
nafta sangue sudore
in una nave con la prua
chiamata ‘Domani’.
Ha diciotto anni.
È egiziano.
Le lunghe braccia magre
tengono stretto
una piccola borsa per computer
ma il computer non c’è.
La tratta come uno scrigno
quella piccola borsa
ne ha cura
la sorveglia la accarezza
con lo sguardo
se la porta appresso
sempre.
La apre
ogni tanto
e sistema meglio
con estrema attenzione
ciò che ha
come se un ordine interiore
di volta in volta
un po’ diverso
dovesse dare forma nuova
al poco che c’è.
E il poco che c’è
è maestoso.
Ha diciotto anni
e già sa
che quel poco che ha
vale più delle piramidi.
Più dei Tolomei più di Tutankhamon.
Più dei vividi colori delle bare di Asasif.
Più della Valle dei Re.
Più della necropoli di Tuna el-Gebel.
Più della ceramica di quarzo blu verde
di 400 figure funerarie.
Più del rilievo di Seti.
Forse rimane solo
la pesatura del cuore.
Che noi non sappiamo
cosa vuol dire avere tutto
dentro una piccola borsa
per computer.
Avere tutto lì.
Farne di giorno un sacro ponte
tra passato e presente
e di notte il cuscino
dove sognare
che il Domani sta arrivando.
È che a noi manca
la pesatura del cuore.
Ha solo diciotto anni
e la pesatura del cuore
la conosce.
* uno dei maggiori attivisti egiziani della “Primavera araba”
(Foto di Franca Formento)