Ci sono luoghi carichi di stupore, dove i muri parlano di personaggi spesso stralunati e storie dilatate nel tempo. Luoghi sfumati nella misura del racconto e del mistero, capaci di ospitare tanto il reale quanto, appunto, l’inatteso. Tra questi si colloca una villa divenuta poi château sul confine tra Italia e Francia, il cosiddetto «Château Grimaldi», protagonista de «Il sogno babilonese» di Enzo Barnabà (Infinito Edizioni).
L’autore ripercorre le trasformazioni della primitiva torre anti-barbaresca nella sobria casa mediterranea del medico inglese James Henry Bennet che, nel 1865, dopo aver acquistato alcune fasce a Grimaldi, nell’estremo ponente di Liguria, trasforma le «rocce spoglie» e «la vecchia torre in rovina» in luoghi verdeggianti, dando vita ad un primo esperimento di acclimatazione di piante esotiche, tripudio di fiori e alberi di ogni specie e colore.
Da qui Barnabà procede spedito a raccontare la sontuosa dimora a quattro piani della nuova proprietaria, l’americana Ella Waterman Goddard, la «regina folle» a cui si deve la costruzione della villa dall’atmosfera crepuscolare che ancora oggi possiamo vedere.
Nella storia di Ella, che lì vive con i tre figli, spesso le carte vengono mescolate tra lusso, dolori, amori, misteri ed esoterismo: una vicenda composta di frammenti di esistenze, dove non tutte le parti riescono a combaciare, creando nel lettore reazioni di stupore.
E così, orma dopo orma, fatto dopo fatto, attraversiamo la «vie» lussuosa e gradevole della Belle Époque per arrivare allo scoppio della prima Guerra Mondiale, ovviamente sempre attraverso le vicissitudini del château Grimaldi che ora diventa il «castello bianco» del medico austriaco Benjamin Salomon Sigmund Appenzeller – a cui si deve la realizzazione, alle spalle di Mentone, di uno dei primi sanatori della zona -, ora si trasforma nella dimora del celeberrimo chirurgo Serge Voronoff e del suo sogno dell’eterna giovinezza (a cui Barnabà ha già dedicato una biografia sempre per i tipi di Infinito Edizioni), sino a passare nelle mani di una società romana che ristruttura la villa per ricavarne una trentina di appartamenti.
L’autore si muove su e giù tra letteratura di confine (a lui ben congeniale) e storia, calpestando la polvere della cronaca con passo pieno e deciso e restituendoci le diverse anime di quello straordinario château anche attraverso un affascinante apparato iconografico.
Ma la voce narrante che si traduce in una prosa sciolta e spesso ironica rivela un aspetto non secondario di questa storia: la curiosità di Barnabà capisce che quei luoghi racchiudono un valore estetico e il paesaggio di Grimaldi può guarire il fisico e l’animo. La natura profuma di vita e fa vibrare al sole ambienti gremiti di personaggi e di vicende e il racconto, nonostante l’evidenza incisa del narrare, appare pervaso da un sentore di favola.