“A piccoli passi”… si fa una grande musica

concerto-furibondo

GABRIELLA MONGARDI

“ A piccoli passi” era il titolo del concerto tenuto a Mondovì sabato 5 giugno dal Furibondo String Trio (Liana Mosca al violino, Gianni de Rosa alla viola e Marcello Scandelli al violoncello), il cui programma si estendeva dal repertorio classico fino al romanticismo di Franz Schubert.

Il trio d’archi è di fatto un’orchestra d’archi in formato tascabile, o meglio da salotto, nata per il piacere di fare musica insieme (musizieren) e per il piacere degli ascoltatori, nell’era in cui non esistevano mezzi meccanici (men che meno elettronici) per la riproduzione del suono. Prima presso le corti aristocratiche, e poi nei palazzi della buona borghesia, la musica da camera era intrattenimento piacevole, passatempo molto apprezzato e i compositori scrivevano appositamente brani leggeri e gradevoli, assecondando le richieste del pubblico, come nel caso di Felice Giardini, il più “vecchio” degli autori in programma. Il suo trio per archi in Fa maggiore si apre con un andante un po’ monotono, si vivacizza con echi mozartiani del grazioso e si conclude con un allegro che mescola vari tempi di danza, in una girandola di “effetti speciali”.

Il trio per archi in Sol maggiore di Boccherini inizia invece con un delicato andantino venato di chiaroscuri (alla cupezza del violoncello rispondono consolatori violino e viola con scale e arpeggi), ma la sorpresa è nel tempo di minuetto, impaziente e nervoso, percorso da profondi sospiri.

Ancor più sorprendenti le trascrizioni (attribuite a Mozart, ma senza conferme recenti) delle fughe di Johann Sebastian Bach, precedute da un movimento lento (adagio o largo). Di salottiero hanno ben poco, soprattutto la n.4: le tre voci non edificano una cattedrale sonora come in Bach, ma si incalzano, si inseguono, si intrecciano in un’armonia severa, tempestosa, quasi dolorosa, che esprime il lato umbratile della vita e della psiche, schiacciata dal peso del negativo: l’atmosfera ricorda quella inquieta dello Sturm und Drang.

Ha struttura fugata anche la Triosatz n.1 di Schubert, sfavillante di grazia. La fuga qui è la cornice che la tradizione fornisce per dar voce a una tensione irrisolta, alla nuova sensibilità romantica, per cui la musica era l’arte dell’infinito. Come ha affermato il celebre direttore d’orchestra Nikolaus Harnoncourt: «La musica è una lingua dell’ineffabile, che però si avvicina ad alcune verità ultime, ad alcune segrete esperienze ben più della “lingua delle parole”».  

Hanno dimostrato di esserne ben consapevoli i tre musicisti, che hanno concluso il concerto con l’aria “Lascia ch’io pianga” dal Rinaldo di Händel, dedicata a tutte le vittime della pandemia che ci ha così duramente colpiti.