Black Wedding, una storia scottante alle pendici dell’Etna

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ANGELAROSA WEILER

Cap 1 PATERNÒ

Gli aranceti di Contrada Zappulla brillavano nel sole carichi di frutti. La natura aveva messo in scena, come ogni anno, uno spettacolo sfolgorante, una danza di colori intensi e vivaci che incontravano la luce evocandone la vittoria nei confronti del buio. L’epoca della raccolta era ormai prossima, ben presto il silenzio della campagna sarebbe stato interrotto dall’incursione pacifica di uomini e mezzi agricoli. Nell’attesa, la distesa di terra lavica alle pendici dell’Etna riposava nella stasi e nella pace più assolute. La vetusta utilitaria di Carmelo Burro procedeva lentamente lungo la strada sterrata che conduceva ad uno dei casolari al limitare della contrada. L’attenzione del conducente era interamente assorbita dalla guida sul terreno sconnesso, onde evitare buche, dossi e sassi; il suo sguardo non sfiorava neppure la rigogliosa bellezza che lo circondava, nel bel mezzo della quale, ben celati e molto incuriositi, occhi sconosciuti osservavano il suo passaggio.

Carmelo aveva da poco compiuto ventidue anni e, come altri giovani della sua età agli inizi degli anni Novanta del Novecento, aveva dentro di sé grandi sogni che faticavano a prendere forma nella realtà di una città come Catania. Il picciotto lavorava come garzone di bottega nel più rinomato salone di acconciature femminili della località etnea, di proprietà di Calogero Vinci, meglio noto come Don Lillo. Quando era al lavoro, Carmelo non distaccava gli occhi dalle mani del suo maestro neppure per un istante. Don Lillo era un vero esperto nella piccola arte del taglio e nell’acconciatura; era rapido, veloce, sicuro e da lui c’era davvero molto da imparare. Il talento naturale di Carmelo era ben noto al suo datore di lavoro, il quale, in compenso, ne frenava ogni fantasia. Tanto Don Lillo era sobrio e legato ad uno stile classico ed elegante quanto Carmelo era estroso, creativo ed innovativo; pur tuttavia, le clienti del salone di Don Lillo, tutte appartenenti alla migliore società catanese, non parevano le candidate ideali a recepire mode e modi diversi dal consueto. Il sogno di Carmelo era quello di poter un giorno dare vita ad uno spazio tutto suo, nel quale esprimere le proprie idee in fatto di hair styling, ma quel sogno, almeno in quel momento, pareva destinato a rimanere confinato all’interno di una dimensione eterea. La famiglia di origine di Carmelo non era certamente in grado di contribuire economicamente al raggiungimento degli obiettivi che il giovane si era prefissato ed il magro stipendio elargito da Don Lillo era a malapena sufficiente per pagare le rate della sgangherata utilitaria, riempire il serbatoio di benzina e coprire le spese per i divertimenti dei quali il ragazzo non poteva né voleva fare a meno. Per questo motivo, Carmelo accettava volentieri ogni richiesta di prestazioni al di fuori dell’orario di bottega; la domenica, il lunedì e nelle ore serali era sempre pronto a presentarsi con attrezzature e prodotti del suo mestiere nelle case di coloro che richiedevano un suo intervento a domicilio. Don Lillo era a conoscenza di questo fatto e non aveva nulla da obiettare, anzi, a volte era proprio lui ad indicargli dove e da chi andare: si trattava soprattutto di anziane clienti non più in grado di spostarsi per raggiungere il centro cittadino oppure di signore limitate da una malattia o da un incidente subito. Così era avvenuto anche quel lunedì mattina. La cliente che attendeva Carmelo si trovava in una località disagiata. Don Lillo era stato molto preciso nel fornire le indicazioni stradali e perentorio nell’impartire ordini: “Devi fare un buon lavoro e tenere la bocca chiusa. Non dire a nessuno dove vai, la signora è molto riservata. Fai quello che devi fare, non chiedere niente a nessuno e torna a casa tua senza fare commenti. Se ti comporti bene, sarai pagato profumatamente e potrai ritornare anche in futuro. Se mi fai fare una brutta figura oppure sgarri, è meglio se non ti ripresenti più qui a lavorare. Hai capito bene?”. Carmelo aveva promesso obbedienza senza discutere, contraddire Don Lillo era difficile se non impossibile. Nell’omertà più assoluta aveva infilato la strada che conduceva a Paternò, da lì si era diretto in Contrada Zappulla ed ora stava arrancando verso il casolare indicato dal suo datore di lavoro, brontolando tra sé e sé per il polverone sollevato dalle ruote che imbrattava la carrozzeria della sua auto e lo costringeva a mantenere chiusi i finestrini.

“Mi’, che camurria!” esclamò Carmelo quando giunse in vista del bagghiu che rappresentava la meta del suo viaggio. Una costruzione rurale dall’aspetto degradato, per non dire fatiscente, dal quale provenivano i versi del pollame che razzolava libero nella corte interna ed il latrato di una muta di cani invisibili alla vista, forse tenuti da qualche parte alla catena o rinchiusi in un recinto. Carmelo prese a rimuginare tra sé e sé: “Ma che diavolo! Cosa ci fa in un posto del genere una cliente di Don Lillo? Quello non pettina le zappaterra, a bottega vengono solo delle gran signore”. Carmelo fu accolto da un uomo di mezza età, basso di statura, tarchiato, dal viso rugoso reso bronzeo dal sole, contornato da capelli ispidi e neri come la pece. Dalle maniche della camicia sbucavano due mani che dimostravano di aver avuto contatti assidui e prolungati con la terra. Si rivolse al picciotto in siciliano, senza sprecare parole di saluto ed intimandogli uno stringato: “Seguimi e taci”. Attraversati i locali intercomunicanti del bagghiu uno dopo l’altro, Carmelo si trovò al cospetto della sua cliente, una ragazza di giovane età ed in avanzato stato di gravidanza. Era bella, molto bella, della bellezza tipica dei discendenti dei Normanni: lunghi capelli biondi, occhi azzurri, pelle chiara; le mani morbide e ben curate lasciavano intuire che non era lei ad occuparsi delle faccende domestiche all’interno di quelle mura di pietra. Anche la giovane futura madre si rivolse a Carmelo nel dialetto locale, mostrandogli la foto di una star della TV pubblicata su una rivista; voleva la stessa acconciatura di quella icona celebrata e sensuale. (…)

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Nel romanzo Black Wedding (Edizioni Tripla E, 2021) un boss della malavita, ricercato da anni, vive nascosto in un rifugio alle pendici dell’Etna in compagnia dei suoi uomini e di una giovanissima amante, dalla quale ha avuto una figlia; una nascita mai dichiarata all’anagrafe. Per un capriccio femminile, un giovane professionista della bellezza, legato ad uno dei protetti del boss, entra nel bunker e realizza la situazione, giurando il silenzio. Avvicinato in modo informale dalle Forze dell’Ordine, cede alle pressioni e racconta ciò che sa. La sua dichiarazione non è verbalizzata, pur tuttavia conduce all’incursione dei GIS nel bunker ed all’arresto del boss, dei suoi uomini e di una domestica schiava ed ignorante che si prende cura della piccola. Nessuna traccia della madre. Il delatore abbandona Catania in fretta e in furia. La sorella della madre, fuggita dalla Sicilia grazie ad un matrimonio di convenienza, torna per il tempo necessario ad ottenere l’adozione della neonata. I genitori putativi decidono di comune accordo di tacere la verità, dal Nord Italia si trasferiscono dapprima in Germania e poi negli USA. Approdata serenamente all’adolescenza, la protagonista si imbatte in una disavventura sentimentale che incrina la sua indole ed il rapporto con la famiglia. Con fatica e con un pizzico di fortuna, riesce a risollevarsi, a divenire una donna adulta ed indipendente, ostinandosi a rimanere single e lasciando irrisolti i conflitti con i genitori. L’incontro con un uomo celebre ed affascinante ma già legato, l’esplosione di una passione improvvisa e trasgressiva, la repentina morte naturale del padre putativo e la misteriosa ed inspiegabile sparizione dell’amante innescano una spirale di ombre nel quale la protagonista precipita. Nel momento in cui scopre di aver concepito un figlio nella relazione illecita, decide di ottenere verità a tutti i costi. Un investigatore privato, scandagliando la vita dell’amante mai ritrovato, né vivo, né morto, scopre il filo che lega quest’ultimo al passato nascosto della protagonista. Un passato asperrimo, con il quale lei si confronta in un drammatico colloquio con quella zia da sempre chiamata con il nome di mamma. La luce della verità si accende assieme ad una tenue fiammella che potrebbe preannunciare un vero amore.

Commento di Marina Colacchi (scrittrice):

“Angelarosa Weiler ha il dono di trasportarti nei suoi racconti come se li stessi vivendo in prima persona. La conoscevo già per il suo romanzo Il volo del grifo che ho molto apprezzato ma in questa ultima opera tutto è diverso, dai dialoghi alle locations. Senza fare spoiler, le vicende di un picciotto e di una giovane americana all’inizio viaggiano separate per poi confluire in un groviglio di eventi che ti incollano alle pagine. Merito non solo della trama ma soprattutto della scrittura dell’autrice che possiamo avvicinare a James Patterson o al Grisham dei tempi migliori. Scrittura fluida, moderna, tipica dei narratori americani del nostro e del passato secolo che mi ha fatto ripercorrere le emozioni di uno stile a me molto caro. Romanzo da leggere ed apprezzare.”

Angelarosa Weiler è scaturita dalle acque del Verbano in una piovosa notte di aprile, nel 1960. Ha lavorato come traduttrice, si occupa di recensioni letterarie, editing e presentazione di manoscritti. Ha pubblicato il romanzo Il Volo del Grifo nel 2018. In seguito ad un lungo percorso, si è installata sulle colline livornesi, in un contesto rurale talmente Noir da sfuggire a qualsiasi navigatore satellitare. Per libera scelta, conduce una vita da cani in compagnia di tre Spinoni del Mucrone.