GIANCARLO BARONI
Esistono un punto di partenza neutro e un’origine a grado quasi zero da cui l’arte pittorica magicamente scaturisce sprigionando la propria energia creativa e luminosa, esiste un attimo in cui la materia ruvida del quadro viene pervasa e animata dallo spirito del colore e del disegno: «Tolta la cornice / il disegno / il colore / tolta l’imprimitura / resta la tela / grezza / come una parola / nuda / in giro per la città». Svelando con un procedimento all’incontrario la metamorfosi che sta alla base del gesto artistico, questa poesia ci introduce alla raccolta di Elisabetta Sancino, appassionata ed esperta d’arte, intitolata Collezione privata (puntoacapo editrice, 2020).
Fra poesia e immagini sussistono un dialogo fitto, uno scambio reciproco, delle affinità riassunte nella celebre e suggestiva frase oraziana “ut pictura poesis” (“poesia come pittura”) e molto tempo prima nel motto attribuito al poeta greco Simonide «La pittura è una poesia muta e la poesia una pittura parlante». In realtà la forte attrazione fra queste due dimensioni artistiche si rivela problematica, non esente da rischi, difficoltà e ostacoli; la strada che le collega presenta nel suo percorso curve pericolose. A questo proposito nascono immediatamente alcune domande nella mente di un poeta che desideri parlare in qualche modo di quadri, statue…. Il primo e forse principale interrogativo è: in che modo sintonizzare i propri versi con l’opera d’arte che viene descritta e interpretata? C’è chi mette la propria parola quasi a servizio dell’opera, adottando un tono ovattato e procedendo a passi felpati e chi, invece, ingaggia quasi una gara di acuti in cui l’immagine e il verso si superano l’una con l’altro in un crescendo incalzante. Elisabetta Sancino sceglie una lingua che non si fa né ancella né competitrice e che conserva una propria autonomia e indipendenza rispetto all’immagine originaria da cui è nata e con la quale mantiene dei rapporti di osmosi: il testo, dotato di una propria intrinseca personalità, non si ripiega e chiude su se stesso, non è autoreferenziale.
I titoli delle poesie presenti nel volume coincidono generalmente con le opere pittoriche o scultoree di riferimento e con i loro autori; viene riportata anche la data di esecuzione. Ad esempio “Tersichore” (1460) di Cosmè Tura; “Madonna dei cherubini” (1485) di Andrea Mantegna; “Andrea Doria in veste di Nettuno” (1540) del Bronzino; “Giuditta e Oloferne” (1612) di Artemisia Gentileschi; “Contadini che seminano patate” (1885) di Van Gogh; “Faro a Westkapelle” (1909-10) di Piet Mondrian; “Nudo piangente” (1913-14) di Edvard Munch; “Il poeta che dorme” (1933) di Marc Chagall. Non mancano gli autori italiani come Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Arturo Martini, Gino Severini, Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Tancredi Parmeggiani, Giulio Turcato, Arnaldo Pomodoro…Il cordone ombelicale fra immagini e parole non viene reciso in Collezione privata: le immagini sollecitano le parole a inventare nuovi scenari, le parole offrono alle immagini inedite interpretazioni; le une consentono alle altre di indossare abiti più ricchi e ornati. Concordiamo pienamente con la poetessa Cinzia Demi che nell’ampia Prefazione scrive: «Ci vuole maestria nel saper creare immagini con la parola, nel rendere visibile ciò che si scrive e qui ne riconosciamo parecchia».
L’epigrafe iniziale riporta questo motto di Paul Klee: “Il colore mi possiede” e il libro è davvero una esplosione (un big bang) di colori luminosi più che di forme: blu di Prussia e blu oltremare, magenta, nubi e sussurri viola, «l’aria azzurrata», giallo zolfo, un angelo «che cammina sul blu», il rosso che «cola sulle gambe», «la colatura dorata dell’anima», l’argento delle vesti di Ofelia, «colori primari / quadrato giallo / triangolo rosso / cerchio blu», il bianco vivo della luce come «lucciole focose», «campiture rosa nel cielo dove la parola / non scritta vola».
Ammirati seguiamo l’autrice nei suoi spostamenti e nei suoi sguardi: «Nella sala io mi precipito sempre lì / dove l’arancio divampa / proibito toccare la tela / ma gli occhi a volte sono mani / che indugiano e carezzano e bucano / a volte invece restano occhi / come le parole che vedo nella mente / e non riesco a scrivere».
Elisabetta Sancino, Collezione privata, puntoacapo editrice, 2020, p.81