di Sandra Baruzzi e Anna Tabbia
Dalla prefazione di Paola Novaria
Il titolo che Sandra Baruzzi e Anna Tabbia hanno scelto per questo volume, Tempo di risacca, è forse, insieme alla loro trentennale amicizia, il solo elemento che leghi le due raccolte. Se anche non fossero precedute dai rispettivi nomi, le attribuirebbe all’impronta chi, negli anni, avesse già incontrato loro versi, tanto sono riconoscibili le due voci; e in dialogo, più che non l’una con l’altra, col proprio percorso di scrittura e di vita, a ritroso. [...]
Dalla note delle autrici
Le nostre sono due voci diverse in vite spesso lontane: due voci e due vite che, seppure differenti, si sono accompagnate e attraversate per circa trent’anni.
Trent’anni di scuole, famiglie, arte, pensieri, parole, affetti, incontri, quotidiane tribolazioni: un blocco di vita che è tanto ed è niente. Un blocco dalle fondamenta di cemento armato, che a volte imprevedibilmente si sbriciola per poi ricomporsi in forma nuova.
Da tempo abbiamo riflettuto su questo tempo largo che si allunga, si dilata, si distende, si infeltrisce, sborda, si disperde.
Un tempo che è un mare: immobile specchio d’acqua e poi, al soffiar del vento, moto di onde che si incrociano, si fondono, spesso trascinano.
Un po’ si procede inoltrandosi al largo, un po’ si ritorna; e guadagnare la riva richiede spesso energia: la risacca risucchia e travolge.
Per questo il nostro tempo di risacca è da attraversare seguendo la costa e lasciandosi cullare dai suoi movimenti di mutazioni, nascite, morti, ricomposizioni.
Finché c’è tempo, finché siamo nel tempo.
Da Tempo di risacca (Atene del Canavese 2021)
Di Sandra Baruzzi
Snoccioliamo le stagioni
Esala vapore la zolla arata
prepari il solco per la semina
ogni anno ripeti il rito
io Madre ti osservo con ammirazione
tu Figlio rinnovi il gesto con sapienza
snoccioliamo le stagioni
in attesa dei frutti.
La notte
La notte
resta preziosa
si vive con l’ascolto
s’incide con la scrittura
consegna germogli
ogni notte
resta selvatica
unica
approdo di sogni
inghiotte scenari improbabili
quando esita la luce
l’oscurità rimane
consegna cicatrici
questione di un attimo
sussultare.
Cosa resta di noi?
Lampadine accese
sugli strumenti musicali
propongono riflessi di festa
l’iride raccoglie l’attimo effimero di felicità
la festa è ormai terminata
Viene orchestrato
uno scambio perenne
fra alba e tramonto
restano immobili gli oggetti
scrigni di memoria
salpa l’ancora
le vele
i remi
che inghiottono l’onda
pian piano
la zattera resta
dove attingere per la redenzione?
*
Di Anna Tabbia
Perdòno, Signore
Signore, perdono, se non capisco
i disperati che bevono sotto
che lasciano i vuoti di birra sopra
le panchine e nelle fioriere
- ora un tappeto di erbacce e di cicche- .
E i fiori non crescono più.
Signore, perdono, se inveisco
quando penso ai miei nonni, disperati
anche loro come questi di sotto
anche loro raminghi e foresti ma.
Ma erosi dal lavoro in palude
dai turni in fabbrica e nessun ozio
presso un rovente muro d’orto
nessun meriggiare pallido e assorto
per lasciare alla figlia, a me nipote
una casa, una più facile strada.
Così ho avuto aiuole curate
le piante del bello e del buono
i frutti dell’orto, anche il fico
proibito. E non ci badavo.
Signore, perdono, se non ci badavo.
Signore, perdono, se l’ ho lasciata
la casa dei nonni, se l’ho svenduta
per trenta monete d’argento
incurante del loro sudore
e sotto la mia casa di qui ora
c’è sempre qualcuno che beve, sputa,
qualcuno che piscia e che sberega.
Che dal cielo non vedano, Signore,
(non han gnanca voja da lavorar)
Signore, perdono, se non sono
quella che si aspettavano, se ho fatto
un balzo all’indietro finendo di sotto
nel sottoscala nel sottobosco
e ho reso inutile quel loro privarsi
di una fetta di pollo in più. Alla festa
di compleanno però si andava
dai cuochi stellati e nonna fissava
la marca delle tazzine e annuiva.
Quante tazzine di marca sognava
per me, quanti fiori e bei signori
puliti e profumati di fresco.
Signore, perdono, anche di questo,
di non avere poi colto quel sogno
quando bastava entrarci leggera
già tutto bello e fatto che era.
Nella fine si riapre qualcosa
In fondo è alla fine del giorno
che cali il sipario, fai buio,
ti accoccoli al caldo, sgrani
misteri gloriosi, figuri
la luce del giorno a venire:
starai su con la schiena
e le spalle ben dritte
e scriverai per almeno mezzora
ogni dì un quarto d’ora di moto
i due litri d’acqua, lezioni
preparate con cura, i vestiti
riposti, dire “no” con dolcezza.
È nel buio che vedi il chiarore,
nella fine si riapre un qualcosa:
riparte pulito, disteso
come un volto di vecchio
fatto nuovo al risveglio.
Sandra Baruzzi è nata a Faenza (RA). Docente di Design Arte della Ceramica presso il Liceo Artistico Statale “Felice Faccio” di Castellamonte (TO). Indagatrice artistica e letteraria, curatrice indipendente. Come poeta ha pubblicato con la casa editrice ANANKE diverse raccolte: CONTESTO (2004) con Piera Giordano, Dimore dell’anima (2005) con Piera Giordano e Anna Tabbia, A corpo libero (2008) con Piera Giordano e Anna Tabbia, Scartafaccio s-velato (2008), Di quale terra? (2010), Ritrarti (2012) con Anna Tabbia. Per Manifattura Torino Poesia, Edizioni Marco Valerio, è coautrice con A. Tabbia dell’antologia poetica FORME DELLA TERRA – Dodici poeti canavesani (2010). Ha conseguito il III PREMIO NAZIONALE DI LETTERATURA “IL MELETO DI GUIDO GOZZANO” I ed. 2011.
Anna Tabbia è insegnante di italiano e latino al Liceo scientifico Galileo Ferraris di Torino. Appassionata di letteratura, da sempre ha giocato con le parole, prediligendone la coltivazione privata. Ha comunque condiviso l’avventura poetica con Sandra Baruzzi nelle raccolte Dimore dell’anima (2005), A corpo libero (2008), Ritrarti (2012), edizione Ananke. Sempre con Sandra Baruzzi ha curato l’antologia poetica FORME DELLA TERRA – Dodici poeti canavesani (2010), Manifattura Torino Poesia, Edizioni Marco Valerio. Non in forma poetica si segnalano: Un “mutuo trascinamento”: esperienze di didattica transdisciplinare sul filo di Calvino e Levi con Brondolo, Lucca, Mariatti in Per una didattica transdisciplinare, a cura di Danile Borgogni, (2020 Celid); Le coscienziose operaie della penna della casa editrice Speirani tra carte private e pubbliche scritture in «Levia gravia», (2008 Edizioni dell’Orso); I giovani e la poesia in Giovani oltre di Ugo Cardinale e Dario Corno (2007 Rubbettino); La donna nella stampa periodica torinese (1880-1911) in «Studi piemontesi » (2007); Le riviste per la scuola e per la gioventù della casa editrice Speirani in Torino in «Studi piemontesi» (1989).
(A cura di Silvia Rosa)