Ha mantenuto la promessa, il nostro Stefano Sicardi. Dopo l’esordio come giallista con La scomparsa di Ludovica (2020, Araba Fenice Ed.), aveva pubblicamente assicurato che avremmo incontrato di nuovo l’avvocato-detective Gregorio Pasquero: all’inizio di quest’estate, difatti, a tenerci compagnia sotto l’ombrellone, assieme ad un ormai rodato gruppo di sodali investigatori, rieccolo con Onore all’antiquario, seconda sua “fatica”. Ma “sua” di chi?
Dell’avvocato protagonista che afferma scorato: Caro maresciallo, pare che da qualche tempo io debba finire in mezzo ai delitti…Sarei grato se la sequenza si interrompesse.? O del giurista autore, che invece questa sequenza ha tutta l’intenzione di proseguirla?
Sospetto che in entrambi i casi – e ho già avuto modo di suggerire la sovrimpressione dei due! – non di fatica, ma di piacere si tratti: piacere che facilmente contagia anche il lettore.
Solo a p. 45, alla metà dell’opera, abbiamo il cadavere e quindi il delitto e quindi il caso da investigare e risolvere.
Prima c’è una lenta, azzeccata fase di preparazione, che consiste nella presentazione di personaggi molto particolari e nella creazione di un’ambientazione originale: si intrecciano un’eredità del tutto inaspettata e una azienda di allevamento (non dirò di cosa); ma si intrecciano anche figure aristocratiche (addirittura un conte dal cognome arduo da pronunciare e dal nome improponibile: en passant, noto che Sicardi si diverte a giocare con l’onomastica e con la fonetica, con esiti godibili: ma attenzione, che non solo di gioco si tratta e più non dico!) e plebee; caratteri positivamente simpatici e caratteri irritantemente antipatici.
Ma gli aristocratici sono spiantati e candidi e i plebei sono furbi e avidi: le cose non sono quasi mai come appaiono, come la filosofia greca e Agatha Christie non si stancano di ricordarci.
Il paradosso, ciò che va contro la doxa (la prima impressione, l’apparenza), è la vera cifra distintiva del romanzo giallo.
Qui, poi, si passa con disinvoltura dall’allevamento e dalla gestione d’impresa alla storia dell’arte e all’antiquariato, in una combinazione davvero ossimorica. Ma anche qui, le cose stanno in modo diverso, certamente spiazzante: dietro e dentro l’impresa si cela altro, e dall’antiquariato si arriva alle aste in televisione!
La contaminazione di alto/basso, nobile/triviale è una costante dell’opera ed è carattere fondante di quell’ossimoro di cui il nostro Autore è cultore: lo mette in evidenza a p. 64, quando ci propone l’espressione in quel luogo ad un tempo aspro e leggiadro, che commenta: poteva sembrare un ossimoro e pure dava l’idea. Subito dopo troviamo l’espressione raccoglimento abbagliante, su cui elucubra: può apparire un ossimoro, il termine con la sua vicina di opposti (ma lo erano davvero?) ritornava. E ne elabora di suoi, come il compiaciuto una soave minestra di lenticchie, prontamente da lui stesso chiosato nell’inciso: a prima vista può sembrare impossibile ed invece una minestra di lenticchie può essere soave.
Ritroviamo qui un tratto già presente nel libro precedente, La scomparsa di Ludovica: da gourmet, Sicardi ci delizia con l’elenco di cibi semplici ma saporosi, quali un grandioso piatto di rane saltate in un fritto asciutto e croccante; un verace pollo alla cacciatora, innaffiato da un giovane e scanzonato dolcetto d’Alba; un’omelette ai porcini di rara delicatezza e la piccola pasticceria di dessert con un bicchierino di barolo chinato.
Un altro tratto inconfondibile e per me decisamente gradevole è il sagace uso che l’Autore fa della sua formazione culturale: cita con rapido garbo Metastasio, Aristotele e Rossini, in un simpatico amalgama letterario-musicale.
Un’ultima osservazione voglio farla sulle figure femminili che qui compaiono: direi che l’Autore è affascinato dall’ eterno femminino per dirla col Carducci e ciò lo induce ad indugiare sulla complessità psicologica delle Signore che qui compaiono, a cominciare dalle due donne del fortunato Pasquero (non che sia bigamo, ma…!) e per finire con Ersilia Goldoni (si noti il cognome!).
Del plot giallistico non dico nulla, perché ritengo che nulla debba essere detto, se non: “Leggetelo e divertitevi”.