Musica, poesia e impegno sociale in Alessio Lega

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Nell’Italia del secondo dopoguerra e del boom economico a fianco della produzione di musica “leggera” attenta unicamente a intrattenere gli ascoltatori con ritmi e parole che a volte sconfinavano nel regno della banalità, poco per volta emergeva una canzone d’autore, più ricercata nei testi e negli accordi e arrangiamenti musicali. Gli storici della canzone osano persino datare la comparsa della canzone d’autore in Italia: il 31 gennaio 1958, quando Domenico Modugno vinceva il Festival di Sanremo con “Nel blu dipinto di blu”.

Ma se da una parte questo nuovo modo di interpretare la canzone italiana faceva nascere, per fare un esempio, cantanti quali Luigi Tenco, Umberto Bindi, Bruno Lauzi, Fabrizio De Andrè, quella che veniva definita la “scuola di Genova”, dall’altra negli stessi anni si faceva spazio anche una canzone popolare che riprendeva la tradizione dei canti politici nati tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento e poi nel periodo della Resistenza.

Nel 1957 nasceva a Torino il “Cantacronache” promosso da Fausto Amodei (“Per i morti di Reggio Emilia”) e a cui collaborarono poeti ed intellettuali quali Italo Calvino, Gianni Rodari, Franco Fortini, Umberto Eco.

Il gruppo si scioglierà all’inizio degli anni Sessanta ma verrà presto sostituito dal “Nuovo Canzoniere Italiano” costituitosi a Milano nel 1963 con autori quali Giovanna Marini, Ivan Della Mea, Paolo Pietrangeli ed intellettuali quali Dario Fo e Franca Rame.

In quegli anni anche il mondo del “cabaret” si politicizza e un gruppo come quello dei Gufi (Roberto Brivio, Gianni Magni, Lino Patruno, Nanni Svampa) poteva cantare nel 1968: «Vogliamo un mondo senza patrie in armi/senza confini tracciati con i coltelli/l’uomo ha due patrie: l’una è la sua casa, l’altra è il mondo/e tutti siam fratelli» (“Non maledire questo nostro tempo”).

Ma se queste esperienze hanno un timbro fortemente politicizzato tanto da diventare con le loro canzoni la colonna sonora dei movimenti studenteschi ed operai tra la fine degli anni Sessanta e la seconda metà degli anni Settanta, altri protagonisti del mondo musicale si affermano per la poeticità dei testi che toccano elementi importanti di un nuovo sentire esistenziale che si diffonde in molte persone socialmente impegnate: la consapevolezza che il “privato” è “politico”, ossia che i desideri, gli amori, i bisogni, le speranze di ogni persona hanno un risvolto pubblico, sociale e di conseguenza politico.

Questo nuovo “centro di gravità” intorno al quale si ritrovano alcune generazioni di persone, soprattutto quelle che avevano vissuto il “Sessantotto” avrà come colonna sonora le canzoni di Guccini, di De André, di Bertoli, di Vecchioni, di Lolli, di De Gregori e così via.

Il cantautore Alessio Lega riunisce nel suo lavoro artistico tutte le sensibilità poetiche e musicali sopra accennate; a queste poi aggiungerà lo studio attento della canzone d’autore d’oltralpe: Georges Brassens, Leo Ferré, Jacques Brel ed altri ancora.

Alessio Lega è nato a Lecce nel 1972 e dal 1990 vive a Milano. Nel corso del tempo ha pubblicato i seguenti libri “Canta che non ti passa” (Stampa Alternativa, 2008) e “Incrocio di sguardi” (insieme ad Ascanio Celestini, Eleuthera 2012) e i CD musicali “Resistenza e amore” (2004), “Sotto il pavé la spiaggia” (2006), “Zollette” (2007), “E ti chiamaron matta” (2008), “Compagnia cantante” (2008) e “Mala Testa” (2013). Ci soffermiamo in particolare su quest’ultima creazione musicale.

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Il lavoro artistico di Alessio Lega si muove tra visioni poetiche e racconti di storie reali spesso drammatiche; la cronaca che mette in luce episodi di dolore popolare, quale che sia il popolo che soffre, che prende le vie dell’esilio e rischia la vita in nome di speranze, si trasforma, per esempio nella canzone “Frizullo” in un testo che richiama poemi epici con rimandi addirittura biblici come quelle domande rivolte alla sentinella: «Sentinella nella sentina da che parte viene giorno? Sentinella, sentinella a che punto resta la notte?». Il rimando al profeta Isaia 21,11 («Sentinella quanto resta della notte?») è senza dubbio un rafforzativo di un esodo moderno:

La notte color del vino vomitò ancora una nave
carica di kurdi, una nave carretta. come si dice. dal mare
una nave disperata, della solita disperazione
salpata dalla Turchia rotta contro l’illusione.
Sulla fiancata graffiata, scavata una scritta misteriosa:
“Frizullo” diceva: un nome, un monito, qualcosa… (Frizullo)

Del resto i profeti biblici non avevano il compito di contestare il presente per proporre una società in cui giustizia sociale e amore fraterno regnassero insieme?
E manca l’amore fraterno nelle piazze d’Italia, dove si fa finta di niente di fronte allo sfruttamento di lavoratori stranieri.
Alessio dà forza al lamento della giustizia sociale, per esempio, nella canzone “La piazza, la loggia, la gru”:

sospesi al vento, sul braccio di una gru ci sono sei lavoratori immigrati
saliti nel vento d’autunno per trentasei metri e rimasti aggrappati
a un esile filo a un pensiero, ad una speranza che brucia le ali
che gli uomini in fondo al futuro, mondati dall’odio, si svelino uguali…

La gru con gli operai stranieri è a Brescia, nella piazza dove il 28 maggio 1974 un attentato fascista uccise otto partecipanti ad una manifestazione sindacale antifascista; quando gli operai vinti dal freddo il 15 novembre 2010 sono costretti a scendere dalla gru e cessare la loro protesta, Alessio Lega immagina che su quella gru salga la memoria delle vittime dell’attentato del ’74:

(…) Arun e gli altri hanno chiesto
“chi siete voi che venite quassù a prendere il nostro posto?”
Son Giulia Banzi Bazzoli donna, madre insegnante,
uscita un mattino di maggio per fare una cosa importante
ho corpo d’amore ed ho voce, schiantata in un portico, rotta
aspettami dissi a mio figlio… è trentasei anni che aspetta.
Ed io impregnata di pioggia son Livia Bottardi Milani
la pioggia che insanguina maggio la pioggia che lava le mani
di quelli che misero bombe che sperano il tempo cancelli
le tombe nel mare ai migranti, ma loro rimangono quelli.
Io Pinto Luigi emigrante, come voi, ma venuto da Foggia
per lavorare nel Nord, col sangue mischiato alla pioggia
tornai stretto dentro una bara, la schiena straziata di schegge
l’Italia riunita col sangue che ancora discrimina e che non protegge.
Io, Natali Euplo, fui partigiano qui a Brescia, di colpo mi prese l’angoscia
e venni in piazza a vedere, quanto la Liberazione
avesse lasciato in cantiere cosa restasse da fare e venni in piazza a morire
con Bartolo Talenti e con Vittorio Zambarda
eravamo in tanti noi “vecchi” di Piazza Loggia
vecchi per modo di dire pronti ancora a salire
in alto sul posto di guardia perché chi è vecchio ricorda
e guarda con la stessa angoscia che l’orizzonte rovescia
il vecchio fascismo di Brescia nel nuovo razzismo leghista.
Amore ci insegna un percorso che c’è dalla piazza alla gru
amore che non sciolse allora che non può scioglierci più
amore che libera e sfida, ditelo ai vostri scolari
a nome di Alberto Trebeschi e di Clementina Calzari…

Così l’anima di un testo che declina una resistenza poetica all’oblio della memoria, all’accecamento generale di fronte alle vecchie e nuove ingiustizie risuona anche nel brano dedicato ad Errico Malatesta, dove al Malatesta stesso e a Pietro Gori e Bakunin, definiti “capi di buona speranza” si chiede di far “nascere il mattino”.
Alessio Lega nei suoi testi non dimentica le passioni quotidiane, quelle personali, quelle d’amore come in “Icaro” dedicata ad una donna, Marta:

Esco tra voi la luce nelle mani
sorrido, parlo e dico cose futili
innalzo persino argini inutili
contro il pensiero che inonda ogni domani
ogni ora futuro, io amo ed ho paura

Questo dolore che ansima e travolge
danzalo amore, non farlo più tornare
travolgi ogni paura d’amare
e dammi un bacio con la tua bocca dolce.

Ed i baci sono un inno all’amore e alla gioia come nella canzone “I baci”

Il primo bacio lo aspetto al mattino
e col caffè mi ci consolo
in bicicletta mi ci rovino
se penso ai baci mi sbatto a un palo.
Il primo bacio lo aspetto ancora
quando finiscono le otto ore
quando il tramonto sembra l’aurora
finisce il lavoro riparte il cuore.

Io mi ricordo molto meglio
il primo bacio del primo amore
alle sette mi ci risveglio
con sulle labbra il buonumore…

Un buonumore vero, umano, relazionale e concreto da difendere da tutto ciò che di artificiale ci viene proposto come “allegria”. Troviamo questa necessità esistenziale nella canzone “Difendi l’allegria” (tratta da una poesia di Mario Benedetti):

Difendi l’allegria come una trincea
difendila dallo scandalo e dall’abitudine
difendila dalle miserie e dai miserabili
e dalle assenze transitorie e da quelle definitive.
Difendi l’allegria come un principio
difendila dallo stupore e dal dolore
difendila dai neutrali e dai neutroni
e dai gran permalosi e dalle gravi diagnosi.

Difendi l’allegria come una bandiera
dai colpi di fulmine e dalla malinconia

Difendi l’allegria come una certezza
difendila dalla ruggine e dalla fuliggine
dalla famosa patina che il tempo vi depone
e da chi dell’allegria fa una prostituzione.
Difendi l’allegria come un diritto
difendila da Dio e dall’inverno che viene
da tutte le maiuscole che la morte impone
dalla vita contorta, dalle pene del caso e dai pensieri cinici
e soprattutto difendi l’allegria dai comici.
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Abbiamo posto alcune domande ad Alessio Lega:
Quali sono state le motivazioni profonde artistiche e personali che ti hanno portato a scrivere testi politicamente impegnati?
Non mi sono mai posto il problema di scegliere se scrivere di un tale tema o di un altro. Per me è sempre stato del tutto naturale parlare di tutto, narrare le storie che mi emozionano col mio punto di vista. Dunque non un cantante anarchico – come spesso mi trovo definito – ma un anarchico che canta.

Quali spazi fanno da scenario fisico e umano ai tuoi concerti?
Lo spazio fisico è il grande problema della musica nel tempo presente. Non essendocene alcuno proviamo a occuparli tutti, combattendo contro i rumori, contro le leggi, contro la SIAE, contro la prevaricazione del denaro e dell’autorità. Il Teatro Ariston di Sanremo e il Teatro Valle Occupato, il Centro Sociale Leoncavallo e la Biblioteca delle Oblate a Firenze, Piazza Castello e il marciapiede davanti al Carcere di Torino, lo Stadio Camp Nou di Barcellona e il Cabaret Limonaire di Parigi, la FIAT/ALFA di Arese e L’Università Normale… ho l’orgoglio di aver suonato in tutti questi luoghi.

La tua attività artistica ti porta ad incontrare molte persone, probabilmente anche di generazioni diverse; quali ricadute sul tuo lavoro hanno questi incontri?
Il mio è un lavoro di relazione e rielaborazione costante. Scrivo perché il mondo mi entra dentro, fecondandomi e canto partorendo mostri ed angeli. Non credo all’ispirazione celeste e alla ricerca di sé, cerco gli altri e mi faccio trovare al mio indirizzo. Canto allo scopo di raccontare qualcosa a qualcuno, usare il tempo per cinque minuti, illudendosi di non esserne usati, e questo è già un atto di resistenza.

Quali prospettive hanno, secondo te, i musicisti, i cantautori politicamente impegnati?
Tutte le prospettive, altrimenti non la canzone, ma l’umanità, è finita. La canzone è un genere che in tre minuti e mezzo ti mette in scena una commedia, un dramma. Per quei tre minuti però va ascoltata con l’anima aperta e il cellulare spento. Se è intrattenimento, sottofondo, estetica persa in un magma è nulla tre volte. Per essere un frammento del tutto deve farsi narrazione, e la narrazione è già una scelta politica, volta com’è a dar battaglia al grande oblio che ci piglia tutti. La resistenza della vita contro la morte, in fin dei conti.
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Per incontrare e ascoltare Alessio Lega:
http://www.alessiolega.it/
http://alessiolega.bandcamp.com/

Segnaliamo un interessante articolo di Isabelle Felici su Alessio Lega:
http://divergences2.divergences.be/spip.php?article469&lang=fr