La geografia del partire e del restare

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LORENZO FOLTRAN

Le briciole, la polvere, i capelli
sotto i divani, agli angoli si ammucchiano,
memento mori della consuetudine,
di giorni senza calendari appesi
e condannati, per soffocamento,
a morte tutte le ventiquattro ore.
Siamo io e te in questo conto alla rovescia
come principi dell’equivalenza
alle variabili delle funzioni.
Nel susseguirsi delle cifre a schermo
riportiamo le nostre differenze,
moltiplichiamo rimanendo due.
Risolviamo le nostre sottrazioni
per arrivare insieme al giorno zero.

*

La città che promette e non mantiene
come deserti di fontane spente,
miraggi tra l’asfalto, marmi al sole.
Una voce che dice «non andare»,
una felicità tutta teatrale
e che di vero ha solo un palco vuoto.
Di rovina in rovina si è in attesa
della ragazza bella, fresca, frivola
che non ricorda le lusinghe fatte
la sera prima e porta il suo profumo
altrove, nei palazzi di quartiere
o nei vicoli dell’acre suburra.

*

Mare nostrum

L’aria che passa, la finestra aperta,
l’occhio si abitua al riflesso dell’acqua.
La marea bassa schiuma sulla terra
sommersa appena da nuova laguna.
Luce diffusa, prima mattina, alba,
la stasi di bonaccia, vele al sole.
Ti vuole a casa il mare in calma piatta,
al tepore del molo, al vecchio porto.
Quando il sartiame è teso e il vento sale
si leva l’ancora a commerci e viaggi.
La corrente ti porta a tele e spezie,
alle coste sabbiose, a lontane isole.
Mercati, lingue, monete, bordelli
si affollano, si mischiano, si disfano.
C’è chi torna all’approdo ricco e pingue,
qualcuno affonda, qualcuno si perde.
Un altro sceglie, resta, prende moglie
a caso, forse ubriaco, forse stanco
di partire, arrivare e ripartire.

*
Quando è inverno, c’è nebbia
e la città galleggia
posata appena sull’antico legno
e sulla pietra, approdo dei mitili,
la risacca del tempo bagna lenta
pontili e boccaporti.
Ponti celano tra fumi e vapori
gradini verso il nulla
di silenziose calli e balaustre.
Né lumi né ombre, tutto è stasi, attesa
della marea che sale.
Slaccia così gli ormeggi salsi il mare
e gli stremati remi.

Dalla prefazione di Jean Portante:

Le poesie di questo libro indagano lo spazio che va dal tempo perso al conto alla rovescia, raccontando le lacune dei calendari che lo misurano. Si percepisce una inafferrabilità che, al termine del viaggio, si rivela soprattutto come assenza, briciole e polvere di ciò che non è più. Ogni migrante, e Lorenzo Foltran è un migrante, scivola nello spazio sublime che va dal “non più” al “non ancora”, vasto territorio propizio alla reinvenzione dell’oblio dove si consumano il passato e il presente e dove al futuro non

restano che sogni o giochi. L’aeroporto ne è una cornice emblematica, luogo che quasi cessa di essere terra senza ancora però poter essere aria. […] Allora, dove poter lasciare i propri bagagli se non nella sala d’attesa tra onirico e reale? Il viaggiatore, che parta o che ritorni, è sempre, ovunque vada, estraneo al mondo. Si potrebbe forse mettere radici effimere nelle piccole cose, cogliere i fiori della quotidianità, innamorarsi, sposarsi, conservare qualche goccia di tempo, alzare o abbassare lo sguardo per imbattersi in quello di un’ombra passeggera, ma a quale scopo? Tra l’io e il mondo non c’è solo un velo di parole che rende tutto fugace, ma vi è anche il filtro del tempo. Tutto si riduce a una visione, anche il “tu” di una donna vestita di rosso che tra rêverie e realtà cerca di trovare un equilibrio nell’illusione. […] Il sogno permette una tregua, un rifugio in paradisi artificiali, configurandosi come palliativo alla quotidianità, alla fantasmagoria della vita sociale. A meno che non sia il gioco che, reso interattivo dalla tecnologia, con le sue tastiere e i suoi schermi, risponda a domande che non ci si pone o formuli domande alle quali non vi è risposta. Non è forse così che nascono miti e leggende, con i loro eroi e principesse, divinità e olimpi, i loro ritmi e le loro ripetizioni, frastuoni e silenzi, luci e ombre? In ogni caso, il labirinto continua a resettare le sue ramificazioni e, qualunque sia il percorso intrapreso, ci si ritrova sempre al punto di partenza. Tra sogno e gioco, tra “tu” e “io”, l’interattività genera solo perdenti nostalgici e solitari. E se alla fine tutto assumesse significato negli otto minuti che servono agli spaghetti – gettati nell’acqua bollente e nella nuvola di vapore che li rende morbidi – per cucinarli al dente come vuole la ricetta? Con i denti si strappa via la pelle del tempo. Proprio come partendo si mastica la geografia del restare.

Alcune poesie dell’autore sono comparse sulle riviste letterarie Poetarum Silva, La presenza di Erato, Margutte, Yawp, Locomotiv, Ellin Selae, Lahar Magazine, Niederngasse, Voce del verbo, Neutopia, Il Fuco, Sulla quarta corda, Méninge, METEOR e Remue (in traduzione francese), sul quotidiano La Repubblica e sulla rivista specializzata Deeplay.it. Nel 2019, ha vinto il Concorso Nazionale Sinestetica per poesia inedita e ha partecipato alla manifestazione Polisemie – Festival di poesia iper-contemporanea.

Su Margutte: Lorenzo Foltran, un poeta neo-cortese