PAOLO LAMBERTI
Europa è una principessa ucraina?
Secondo il mito Zeus si innamorò di una principessa cretese, Europa, e la rapì in forma di toro bianco. Però genetica, archeologia e linguistica indicano che l’Europa, caratterizzata quasi nella sua totalità dalle lingue indoeuropee, può andare a cercare le sue origini nello spazio che oggi è in gran parte occupato dall’Ucraina.
Sino a qualche anno fa l’area nativa delle lingue indoeuropee era oggetto di due ipotesi: agricoltori di origine anatolica, che avrebbero portato in Europa le tecniche agricole e le lingue indoeuropee a partire da sette millenni a.e.v.; oppure nomadi provenienti dall’area ucraina, caratterizzati dall’uso del cavallo, identificati dall’archeologa Marija Gimbutas con la civiltà dei kurgan, a partire da quattro millenni a.e.v.
Se le prime ricerche basate sui gruppi sanguigni, guidate da Luca Cavalli Sforza alla fine del XX secolo, coglievano le tracce dell’avanzata degli agricoltori neolitici, lo studio del DNA reso possibile dalle tecniche più recenti indica che a questa avanzata si sovrappose un massiccio flusso genetico proveniente dalle civiltà dei kurgan (oggi distinte in più facies). Flussi che comunque si sovrappongono e si fondono con le varie popolazioni mesolitiche che già abitavano l’Europa.
Dal punto di vista metodologico, archeologia e genetica hanno portato alla crisi del “diffusionismo”, impostazione oggi diremmo “politically correct” che riteneva che tecniche e conoscenze si trasmettessero essenzialmente per via culturale e non per spostamenti di popolazione. Era un modo per contrapporsi alle tradizionali visioni di invasioni e migrazioni, che molto si erano contaminate con i nazionalismi moderni.
Però oggi combinando un maggior rispetto per i testi antichi, archeologia e genetica si può vedere un quadro complesso di spostamenti di popolazioni (non popoli ma gruppi spesso eterogenei) e diffusione di tecniche ed idee. E un terreno particolarmente fertile per questi incroci, ora pacifici ora traumatici, è proprio l’area tra i Carpazi e i grandi fiumi della steppa.
Europa poteva essere una principessa ucraina.
Sciti, Sarmati e mondo classico
Il mondo tra Carpazi e Mar Caspio è sia una fucina di popoli che un’area di commerci che unisce mondo mediterraneo, mondo nordico e mondo della steppa. Il Pontos axeinos (ostile agli stranieri) del Vello d’oro, di Ifigenia e di Medea diventa per i Greci il Pontos euxeinos (favorevole agli stranieri) della colonizzazione greca, del grano che nutre Atene, delle pagine di Erodoto dedicate agli Sciti, termine con cui i Greci definiscono le popolazioni con cui vengono in contatto sulla costa settentrionale del Mar Nero: già Erodoto distingue popolazioni nomadi, seminomadi e stanziali, a seconda delle aree ecologiche, indicando come l’area della moderna Ucraina si presti a diversi tipi di insediamento umano, non necessariamente solo nomade.
L’oro degli Sciti ci ricorda come la steppa eurasiatica sia protesa verso i grandi imperi, e, con commerci o invasioni, fornisca prodotti e uomini con un surplus della bilancia commerciale che viene colmato con l’oro cinese, indiano, persiano, greco e romano.
Le colonie greche del Mar Nero, importanti al pari della colonizzazione nel Mediterraneo occidentale, anche se meno note, rivelano quanto il Mediterraneo Orientale sia legato a questa zona; né vanno dimenticate le (fallite) spedizioni militari persiane di Ciro e Dario, o le scorrerie dei Cimmeri in Asia Minore, ricordate dai più antichi elegiaci della Ionia.
Per l’impero romano, dominatore dell’intero Mediterraneo e proteso ad Occidente, l’area è meno significativa, come ci ricordano i lamenti di Ovidio siamo ai confini del mondo; ma in età imperiale una nuova etichetta caratterizza questa zona, i Sarmati, le cui incursioni impegnano le truppe imperiali.
Inizia un periodo in cui etnogenesi ed imperi estemporanei provocano un ribollire di migrazione ed invasioni che in quest’area maturano: dai Goti di Crimea agli Unni, dai Bulgari ai Chazari, dai Peceneghi ai Cumani, per arrivare ai Mongoli, per quasi dieci secoli si incrociano, alleano, scontrano non popoli in senso ottocentesco, ma tribù e bande. Ad esempio la Spagna romana verrà occupata da Visigoti germanici ed Alani iranici, gli Unni (di cui non conosciamo la lingua) dominano su germani, iranici, probabilmente slavi e un buon numero di romani che preferiscono la libertà delle steppe alla fiscalità imperiale.
La silenziosa espansione slava
Se alla superficie si vedono popolazioni per lo più nomadi e guerriere, inclini a spostarsi anche per migliaia di chilometri in una generazione, l’attuale spazio ucraino offre ampie nicchie ecologiche adatte ad una agricoltura stanziale di sussistenza, protetta dalle ampie foreste. I linguisti pongono nella zona del Prypiat, e della Volimnia, tra Vistola e Dnieper, un nucleo di lingue slave, già distinte in occidentali, orientali e meridionali, con una differenziazione ancora oggi evidente. Queste piccole comunità sono unite da lingua e pratiche agricole, non formano aggregati politicamente significativi, ma nel silenzio si espandono dall’Oder ai Balcani, dal Baltico al Volga. Tra i Romani non lasciano traccia, se non forse i Veneti citati nella Germania di Tacito come stanziati sul Baltico, si deve aspettare il VI secolo perché i Romaioi (bizantini per noi, a torto almeno fino all’VIII secolo), che li vedono spingersi verso i Balcani, parlino di tribù che possiamo dire slave. Giordane li ricorda, Procopio racconta le guerre di Giustiniano contro di loro, terminate, come da usanza imperiale, con una serie di accordi tesi a dividere le tribù slave. L’arrivo degli Avari nel VII secolo blocca l’emergere di entità politiche slave, dopo di loro saranno Bulgari e Cazari ad imporsi: però la popolazione slava si rafforza in silenzio, soprattutto nelle aree di foresta verso Occidente, confermando un confine ecologico che ancora oggi si vede tra un’Ucraina orientale rivolta alla steppa ed una occidentale all’Europa.
Rus’, non Russia
Il termine Rus’, in greco Ρός (Rhòs), probabilmente è un termine finnico (ruotsi), passato attraverso lo slavo, che indica i Vichinghi come “rematori”. A partire dall’VIII secolo dalla penisola scandinava arriva un flusso costante di guerrieri/mercanti che per secoli segneranno la storia di tre aree: le isole britanniche e la Francia settentrionale, il sud Italia e l’area dei grandi fiumi russi. Qui sono i fiumi a costituire le vie per le navi scandinave, che dal Baltico si dirigono a Sud, attirati soprattutto dalla ricchezza di Costantinopoli.
Come nei secoli precedenti, i rapporti con l’Impero passano da iniziali attacchi: la prima menzione dei Rus’ si trova nel patriarca Fozio, nell’838, già nell’860 una flotta vichinga si presenta davanti a Costantinopoli. Gli insediamenti scandinavi su Don e Dnieper diventano presto basi commerciali, come gli Sciti 15 secoli prima esportano i prodotti del Nord, schiavi, ambra, pellicce, miele, grano, in cambio di beni di lusso ed argento; né disdegnano il mercenariato, la guardia Variaga che custodisce per secoli l’imperatore è reclutata tra di loro: come Sciti erano i “poliziotti” nell’Atene classica o Germani le guardie del corpo di Cesare ed Augusto.
Tra IX e X secolo emerge una Rus’ centrata su Kyiv, già snodo commerciale nel V secolo e strappata ai Cazari, rivali dei Vichinghi nei rapporti con Costantinopoli ma che gravitavano più ad Est. Sono i principi discendenti di Rorik, un capo scandinavo, a creare un potente stato, che comprende non solo vichinghi ma capitribù slavi ed elementi finnici. Il cuore dello stato è lungo il Dnieper, Kyiv ne è la capitale, ma si estenderà oltre i confini dell’attuale Ucraina: è uno sviluppo non dissimile da quello del quasi contemporaneo impero Carolingio, e come questo per Francia e Germania, non può ancora essere considerato diretto antenato della nazione ucraina; tantomeno di quella russa.
Quadri di un’esposizione
L’ultimo dei Quadri di un’esposizione di Musorskji (più suggestivi nell’originale per pianoforte, più sontuosi nelle varie trascrizioni per orchestra) si intitola La grande porta (nella capitale Kiev). Creata sul modello dell’arco di trionfo che introduceva a Costantinopoli, accompagnava la chiesa di Santa Sofia, costruita sul modello dell’omonima chiesa costantinopolitana. Volute da Yaroslav il Saggio, terzo tra i grandi principi rorikidi, segnano l’apogeo della Rus’, modellata sull’impero dei Romaioi. Il modello costantinopolitano crea in Kyiv una Bisanzio del Nord, talmente splendida che una principessa kiviana andata sposa alla fine del X secolo ad Enrico I di Francia lamenterà l’aspetto miserabile e tetro di Parigi.
L’ispirazione bizantina si individua nella scelta della conversione all’ortodossia costantinopolitana: un aneddoto probabilmente apocrifo ricorda come Yaroslav avrebbe interrogato un cristiano latino, un ebreo ed un islamico, prima di scegliere l’ortodossia: ma è il rapporto con Costantinopoli ad essere decisivo. A questa conversione si collega anche la slavizzazione della Rus’, a partire dai nomi dei principi. Il patriarca e grande erudito Fozio aveva inviato Cirillo e Metodio tra gli slavi, e questi avevano creato l’alfabeto cirillico, che ha fornito la forma scritta allo slavonico antico, per le successive lingue slave equivalente del Latino in Occidente. Quindi la Rus’ si ritrova con una lingua scritta che unisce i vari dialetti slavi e cancella gli echi di lingue scandinave e finniche dei primi insediamenti.
Il patriarca di Costantinopoli insedia poi a Kyiv un metropolita, di solito greco e da lui nominato, per presiedere alle eparchie (vescovati) create sul territorio. Nei secoli successivi questo metropolita si sposterà a Vladimir e poi a Mosca, rivendicando sotto la Russia l’autocefalia (indipendenza da Costantinopoli), ed è l’odierno patriarcato di Mosca. Però questo spostamento non è gradito nell’attuale Ucraina, tanto che Bisanzio nominerà un secondo metropolita, insediato nell’Ovest dell’Ucraina, rimasto legato a Costantinopoli fino a che nel Seicento sarà subordinato a Mosca per decisione dello zar. Pochi anni fa il metropolita di Kyiv ha rivendicato l’autocefalia, non accettata da Mosca: uno dei motivi dello scontro attuale e dell’allineamento del patriarca Kirill con Putin.
Dissoluzioni
Con una parabola simile a quella percorsa poco prima dall’impero carolingio, anche il potere di Kyiv tramonta in seguito a lotte di successione: la città diventa secondaria, nascono principati indipendenti alle periferie, che si estendono soprattutto verso nord-est. Dai principi di Vladimir viene fondata Mosca su un precedente, piccolo insediamento finnico: la prima data certa è 1147, l’epoca in cui abbiamo prime notizie di Berlino. Due capitali che a differenza delle grandi città dell’Occidente (e di Kyiv) non hanno un passato profondo, sono più simili a quelle statunitensi: un indizio significativo per gli sviluppi successivi.
Non è necessario seguire le complesse vicende, se non per ricordare che non si può ancora parlare di continuità statali con il presente: se questo vale per gli stati europei, ancora di più vale per realtà complesse come quelle dell’Europa orientale.
Anche perché a differenza dell’Occidente in mezzo c’è la lunga parentesi mongola. Agli inizi del XIII secolo gli eserciti dei khan arrivano dalla steppa, Kyiv verrà presa nel 1240. Da quel momento i vari principati saranno tributari dei Mongoli, ma in maniera differente. Ad est il granducato di Moscovia rimane tributario sino a metà del XVI secolo, anche Alexander Nevskji lo è, con buona pace di Eisenstein (e Stalin): di qui la percezione europea di una Moscovia asiatica, con usi differenti; e la tendenza all’autocrazia, che porterà i granduchi a proclamarsi zar, titolo che dimostra, come Kaiser, la percezione di non avere il rango imperiale: è ancora il linguaggio di Diocleziano, che distingueva gli Augusti, dominanti, dai Cesari, destinati a succedere loro; il titolo di Augusto spetta agli imperatori di Costantinopoli, Augusto si fanno proclamare Carlo Magno e Federico II: altra categoria da zar e Kaiser.
Invece i principati più ad ovest, grosso modo dove oggi sono Ucraina e Bielorussia, pur tributari dei Mongoli sono più lontani e quindi meno controllati, e verso la metà del XIV secolo si svincolano dalla dipendenza dei kahn. Entrano nell’orbita di Polonia e Lituania, in quest’epoca associate: il confine interno tra Regno di Polonia e Granducato di Lituania corre grosso modo dove oggi confinano Ucraina e Bielorussia. Se non si può parlare di indipendenza, anche se alcuni storici vedono nelle aree legate all’Unione Polacco-Lituana un primo abbozzo di identità ucraina, lo sviluppo culturale e religioso è diverso da quello moscovita: la chiesa Uniate, di lingua greca e rito bizantino, ma di dipendenza pontificia, ne è la prova più visibile, ma anche i legami pur difficili, tra polacchi ed ucraini, non sono per buona parte dell’Ucraina secondi a quelli con i russi.
Né va dimenticato come nel confrontarsi con la chiesa di Roma l’Ortodossia in Ucraina sviluppi una cultura teologica propria, che poi esporterà a Mosca: dalle istituzioni culturali di Kyiv verranno per secoli le figure più influenti dell’ortodossia moscovita, e lo stesso catechismo ortodosso è di origine ucraina. Ma con la fine dell’influenza mongola comincia una nuova storia, che ha comunque le sue radici nell’antichità ucraina. Con buona pace del Cremlino e degli ideologi grandi-russi.