Pioggia e la censa, sulle tracce di Fenoglio

Foto di Silvana Grande

Foto di Silvana Grande

SILVIA PIO

Era l’estate tra le più ardenti e secche degli ultimi cento anni, ma in quel giorno di agosto pioveva sull’alta Langa. «La nebbia danzava discinta e sensuosa»,[i] «intasava i valloni e si stendeva in lenzuola oscillanti sui fianchi marci delle colline… Gli alberi piantati ai bordi del paese erano già fantasmi…».[ii]
Il paese era San Benedetto Belbo, voglio dire il paese dove eravamo andati quel giorno d’agosto per visitare la Censa di Placido. La censa era il nome dato al negozio che aveva la licenza di vendere i prodotti del monopolio di stato, e anche generi alimentari e ciò che poteva servire o veniva richiesto. A San Benedetto c’è la versione moderna, un negozio in piazza che fa anche bar, con un piccolo dehors (dove ci siamo riparati dalla pioggia, che «scrosciava sul nostro tetto e sul fogliame degli alberi vicini»[iii]). Questi servizi stanno diventando rari nei paesini di Langa.
La Censa di Placido, luogo fenogliano citato in diverse opere dello scrittore albese, si trovava dietro la chiesa e «rimase aperta fino al 1991 sempre con la stessa fisionomia dei classici scanni ricolmi di articoli»[iv].
Mentre ci dirigevamo da quella parte, «la nebbia aveva anche risalito i versanti, solo alcuni pinastri in cresta ne emergevano, sembravano braccia di gente in punto di annegare… Formava spessori concreti, una vera e propria muratura di vapori».[v]

Sul cartellone compare la vecchia foto di Placido sull’uscio della censa. Placido Canonica era «personaggio arguto, affabulatore di racconti e aneddoti di vita di Langa… a cui Fenoglio attingeva per elaborare le sue storie. Dopo la scomparsa della zia, Fenoglio fu ospite fisso nella sua locanda… e alla sua morte Placido, riconoscente dell’amicizia, divenne per il paese la memoria storica dello scrittore…
Amava in particolar modo ricordarlo mentre accennava il rapido e aggraziato passo, quasi di danza, che precede la battuta al pallone elastico (il balòn, popolare gioco della pallapugno), e le sfide con gli amici che si svolgevano nel cortile della sua casa…, le cui atmosfere caratterizzate dagli imprevisti del gioco e dalle conseguenti discussioni lo scrittore descrisse ne “Il paese”.
Fenoglio fece di Placido un protagonista costante nei racconti sanbenedettesi come “Un giorno di fuoco”. In “Superino” ritrae i gesti del negoziante della rivendita…».[vi]
Il luogo è citato ne “La malora”: «Dovevamo sentirci piuttosto forti se, quando io ero sugli otto anni, i miei tirarono il colpo alla Censa di San Benedetto. La presero invece i Canonica, coi soldi che s’erano fatti imprestare da Norina della posta».

Foto di Paolo Scavino

Foto di Paolo Scavino

L’edificio, risalente alla prima metà dell’Ottocento, è in pietra di Langa, con il tetto in lose e i solai in legno. Dopo un periodo di degrado, venne acquistato dalla Fondazione Bottari Lattes nel 2010, che si occupò del rifacimento del tetto, e in seguito concesso in usufrutto gratuito al Comune di San Benedetto Belbo nel 2018; venne restaurato e ristrutturato con finanziamenti pubblici e di fondazioni bancarioe, diventando luogo di incontro e di studio, spazio culturale e sede di un museo interattivo.[vii]

Nel momento in cui entravamo nella censa, «nel vallone sottostante la nebbia stava muovendosi come rimescolata da pale gigantesche e lentissime. In cinque minuti si aprirono buchi e fessure in fondo alle quali si mostrarono pezzetti di terra… Le creste e il cielo erano ancora densamente coperti, ma in capo a mezz’ora qualche squarcio si sarebbe fatto anche lassù».[viii]

Al pianterreno si trova “Langa profonda di Paco”: un monitor mostra i luoghi fenogliani, il balòn, i mestieri antichi, i pascoli; tramite un totem touch-screen sono disponibili approfondimenti sul territorio e un archivio fotografico inedito. L’itinerario letterario, che si svolge attraverso animazioni, parte proprio da un incontro con Fenoglio e i suoi amici nella censa e introduce l’ambiente com’era un tempo. Scorrono immagini della vita di Fenoglio, attualizzate e animate con un grado di profondità. Un’esperienza che fa entrare all’interno di quelle foto, conosciute per chi è di Alba, ma mai viste in quel modo: sono vive.

Foto di Gabriele Gallo

Foto di Gabriele Gallo

Salendo la scala per il piano superiore, eravamo accompagnati da suoni ambientali, registrati a San Benedetto durante una partita al balòn. Al primo piano ascoltammo brani tratti da “Il paese” incentrati su San Benedetto; la stanza del camino è dedicata al diario del 1954: appunti di Fenoglio con riflessioni, ricordi, paesaggi, storie e riferimenti letterari. Sulla parete nuda viene visualizzata la serie degli aforismi mentre nello studiolo-biblioteca attiguo è proiettato un commento ai testi del diario, con scelta grafica monocromatica di tipo impressionista.

Il percorso prosegue al piano superiore tramite letture, con lo stesso stile, da “Dopo la pioggia”, e si giunge al planetario letterario allestito nella sala degli asfodeli, il sottotetto. Sul soffitto, sul pavimento e sulle pareti, sequenze di parole estratte da “La guerra e gli asfodeli”, romanzo di Gian Luigi Beccaria ed evocazione epica di Fenoglio. Si alterna alla proiezione dell’universo letterario dello scrittore albese la lettura dei racconti del parentado: “Il gorgo”, “Quell’antica ragazza” e “Pioggia e la sposa”.[ix]

Foto di Gabriele Gallo

Foto di Gabriele Gallo

Arrivammo che iniziava “Pioggia e la sposa”. Il sottotetto era buio e gli effetti del video creavano una pioggia che competeva con quella esterna per intensità. Pioveva dentro e fuori.
L’incipit, uno dei più intensi tra i sempre efficaci inizi di Fenoglio, «Fu la peggior alzata di tutti i secoli della mia infanzia» ci condusse a sistemarci sulle sedie appoggiate al muro a semicerchio, gli occhi sui due schermi davanti a noi, e negli orecchi la pioggia che non smetteva di battere e colare dal soffitto di travi. Anche noi a subire la pioggia, come il bambino che parla in prima persona: «mi costringeva a testa in giù e mi prese una vertigine per tutta quell’acqua che mi passava grassa e pur rapida tra le gambe».
La fine del racconto ci risvegliò dall’angoscia onirica nella quale ci aveva calato, e la pioggia dentro terminò con la luce della proiezione successiva. Scendendo al piano di sotto, ci accorgemmo che era cessata anche fuori.
«Pioggia e la sposa: non altro che questo mi balzò dalla memoria il giorno ormai lontano», e per noi la giornata divenne pioggia e la censa, che pranzi di nozze non ne avevamo in programma.
«La nebbia si era sollevata dappertutto, in basso non ne restava che qualche francobollo appiccicato sulla fronte nera delle colline».[x]

Foto di Paolo Scavino

Foto di Paolo Scavino

Nel pomeriggio il sole era tornato fiero; «dove poco prima la nebbia era stata più densa; ora ogni cavità ed anfratto pareva stesse liberandosi, come un orecchio, dal tampone di bambagia».[xi] E Mombarcaro, la prossima meta del nostro viaggio, appariva sclinto[xii] ai nostri occhi, con i colori del sogno. Faceva di nuovo caldo, ma il giorno si volgeva alla sera.
«Era un paese bizzarramente foggiato a barca antica fissato sulla cresta di una eccelsa collina come sul maroso d’un mare procelloso fermato d’un colpo. Una ragnatela di serali vapori avvolgeva, vagolando, le sue case spente, ora impigliandosi al campanile ora sfumante nel cielo inscurentesi. La collina alla base era immensa, larga e mammellosa, digradante in potenti sbalzi al fondovalle già notturno nelle macchie e negli anfratti.»[xiii]


[i] Da Beppe Fenoglio, “Il partigiano Johnny”.
[ii] Da Beppe Fenoglio, “Una questione privata”.
[iii] Dal racconto di Beppe Fenoglio “Pioggia e la sposa”.
[iv] Dal cartellone nella piazza La censa di Placido.
[v] Da Beppe Fenoglio, “Una questione privata”.
[vi] Idem.
[viii] Da Beppe Fenoglio, “Una questione privata”.
[ix] Informazioni tratte dal cartellone nella censa-museo Tracce per un percorso.
[x] Da Beppe Fenoglio, “Una questione privata”.
[xi] Da Beppe Fenoglio, “Il partigiano Johnny”.
[xii] Nitido.
[xiii] Da Beppe Fenoglio, “Il partigiano Johnny”.