GABRIELLA MONGARDI
Guardo molto poco la televisione, e soprattutto evito i talk show.
Ma una sera dopo cena, a casa di amici, la TV era accesa su un talk show e inevitabilmente qualche frase degli ospiti mi è entrata nelle orecchie. Una in particolare mi è rimasta dentro, “L’aborto non è mica un diritto, come il diritto di parola o di voto” (sottinteso: “quindi non va tutelato”); è stato un maschio a pronunciarla e nessuno dei presenti, neanche le donne, ha obiettato nulla. Eppure…
Solo un cinico capace di giocare con le parole sulla pelle degli altri può fare un’affermazione del genere, che è allo stesso tempo incontestabilmente vera e profondamente falsa.
Mentre gli altri due diritti citati come termine di paragone (sbagliato) sono per così dire “diritti positivi”, che tutti possono esercitare o augurarsi di farlo, l’aborto non è certo un diritto, ma un’esperienza sempre negativa, che nessuna donna affronta a cuor leggero e che spera le sia risparmiata. Eppure ci sono circostanze, casi della vita in cui una donna si vede costretta a ricorrere all’aborto come estremo rimedio, perché una gravidanza sarebbe devastante per lei: in tal caso, non ha forse il diritto di abortire “legalmente”, con l’assistenza sanitaria necessaria, in condizioni che non mettano a repentaglio la sua vita? È questa la ragion d’essere della legge 194, che non obbliga nessuna ad abortire, se non lo vuole – così come la legge sul divorzio non obbliga nessuno a divorziare, se non lo vuole.
Qualcuno doveva spiegare a quel signore che quello da lui chiamato “diritto all’aborto” rientra nel più generale diritto alla salute, e prima ancora nel diritto della donna all’autodeterminazione, in particolare per quanto riguarda la scelta – o meno – della maternità. Ma forse è proprio questo che i maschi patriarcali non sopportano, accecati come sono dalla loro inconscia “invidia dell’utero”.
E sicuramente l’aborto non è un argomento da talk show.