PAOLO LAMBERTI
Per capire Putin è bene riascoltare l’Ouverture 1812 di Čajkovskij, che pure è tra i musicisti russi dell’Ottocento il più occidentalizzante e il più europeo.
Nel suo corso si intrecciano i temi della Marsigliese e dell’inno zarista, che al termine prevale. Una scelta apparentemente logica, vista l’invasione napoleonica, ma nasconde una realtà più profonda.
La Marsigliese è l’inno della rivoluzione, della triade Liberté, Égalité, Fraternité, dello stato laico e dell’individuo; la sua sconfitta ha echi profondi nella storia russa: a questa triade Sergej Uvarov risponde con la triade Ortodossia, Autocrazia e Popolo. Uvarov, diplomatico, amico di Goethe e classicista, come molti intellettuali russi invecchiando diventa reazionario, e come ministro dell’Istruzione di Nicola I impone un controllo ferreo sulla cultura russa. Non a caso il primo termine è Ortodossia: Russia è termine che si riferisce alla terra, non allo stato; è l’unico paese al mondo definito santo, “La Santa Russia”.
Per nazionalisti romantici come Aksakov, dopo il 1848, nasceva una nuova era destinata a riunire tutti gli Slavi, perché il mondo slavo può respirare solo sotto l’egida della Russia, che compie il suo dovere cristiano e fraterno. Secondo Herzen era nella storia del mondo il momento del mondo slavo, con Costantinopoli come capitale.
Anche Dostoevskij pensa che il popolo russo sia l’unico portatore di Dio, rifiuta la Chiesa cattolica che ha perduto Cristo per avere una Chiesa come Stato, mentre la missione della Russia è portare con l’Ortodossia la luce all’Occidente, creando uno Stato come Chiesa. In una conversazione sostiene che «noi abbiamo il genio di tutti i popoli e in più il genio russo, quindi noi vi possiamo capire, mentre voi non potrete mai capire noi»
Insomma l’anima russa è “la fine della storia”, il compimento di un destino divino in cui la Terza Roma dominerà dal Pacifico all’Atlantico, secondo alcuni; più “modestamente” gli Eurasisti immaginano un blocco intermedio tra Occidente ed Asia, che unisca slavi, finnici e turchi: a iniziare tale tesi è il celebre linguista Trubeckoj dopo la rivoluzione russa. Egli abbandonerà tali idee, ma esse continuano sino ad oggi tramite figure come Gumilëv, (triste a dirsi, figlio del poeta Gumilëv fucilato da Stalin e della poetessa Anna Achmatova) e oggi Aleksandr Dugin. Per loro la Russia non è europea, ma figlia della steppa, e l’Ucraina è un pericolo per l’Eurasia, dividendola dalla costa del Mar Nero, che deve essere totalmente controllata da Mosca.
L’Ortodossia, vera erede del cesaropapismo costantiniano (Costantino si proclama isoapostolo, può essere a buon diritto considerato il terzo fondatore del Cristianesimo, dopo Gesù e Paolo) non a caso è sempre al servizio del potere: si veda l’attuale patriarca Kirill I, con il Rolex, i conti svizzeri e, si dice, una vecchia uniforme del KGB nell’armadio. I ribelli a questa visione non cercano libertà, come in Occidente, ma una religiosità ancora più cupa ed introversa, come i suicidi di massa tramite fuoco dei “Vecchi Credenti” o lo sciamano-scambista Rasputin.
L’Ouverture di Čajkovskij termina in modo ancora più singolare, con l’intervento di alcuni cannoni, un unicum nella musica classica; anche qui si può pensare ad una scelta celebrativa della vittoria, ma anche qui c’è qualcosa di più profondo: l’inesausta passione dei russi per l’artiglieria. Già dai tempi di Ivan il Terribile le armi da fuoco usate in maniera massiccia ed indiscriminata entrano nell’uso russo (già allora, come oggi, Tula ha il suo arsenale), e a partire da Pietro il Grande non c’è innovazione tecnologica nell’artiglieria che non venga immediatamente adottata dai russi. In Occidente gli ufficiali di artiglieria sono innovatori di matrice borghese, si oppongono alla cavalleria della nobiltà; non così in Russia, dove agli artiglieri è richiesto solo di produrre enormi volumi di fuoco che annienti il nemico. In Occidente l’artiglieria ha il compito di ridurre le proprie perdite di uomini, perdite che la tradizione russa considera assolutamente normali: anche l’odierno campo di battaglia ucraino rivela lo stesso modello, tra un uso mirato in stile occidentale, tra gli ucraini, ed un uso massiccio ed indiscriminato per i russi.
Tolstoj nel 1902 scrive nel Promemoria di un soldato: «Ti hanno sempre fatto credere che tu non sei responsabile di quello che può avvenire in conseguenza del tuo sparo. Ma tu sai che quella persona che cadrà dopo il tuo sparo, inondandosi di sangue, sarà stata uccisa da te e da nessun altro, e sai che potresti non sparare, e che allora quella persona non verrebbe uccisa. Cosa devi fare?».
Eppure il conte Tolstoj negli anni Cinquanta indossa l’uniforme, guarda caso nell’artiglieria, e inizia la sua carriera nel Caucaso, contro i Ceceni: anche allora, come nelle guerre di fine XX secolo, uno scontro brutale di sterminio e guerriglia.
Poi si ritrova nella Sebastopoli assediata dagli Anglofrancesi, che erano sbarcati in Crimea per fermare l’ennesima invasione russa dei Balcani: la Crimea è da secoli agli occhi dei russi il punto di partenza per l’approdo ai mari caldi e la riconquista della “seconda Roma”, ovvero Costantinopoli, che spetta di diritto alla “Terza Roma”, quella che non cadrà mai, Mosca. Così Tolstoj cannoneggia inglesi, francesi e anche i sardi, magari qualche antenato dei moderni cuneesi.
Si immagini che la guerra di Crimea termini con la vittoria russa; non è da escludere che l’ufficiale d’artiglieria conte Tolstoj decida di continuare la carriera militare. Quindi potrebbe cannoneggiare gli insorti polacchi nel 1863, coprire con le sue batterie l’avanzata dell’esercito russo verso Istanbul nel 1878, bombardare le popolazioni turkmene negli anni Ottanta, favorendo l’espansione dell’impero coloniale russo, l’unico colonialismo europeo su cui gli antiimperialisti europei glissano ancora oggi. E terminare la carriera come uno dei pettoruti generali russi con il petto coperto di medaglie.
Anche Solženicyn dopo gli anni della dissidenza e dell’esilio torna in Russia e riacquista “l’anima” russa, proponendo in un opuscolo di disinteressarsi delle repubbliche ex-sovietiche per creare una vera Russia, che comprenda Bielorussa ed Ucraina (sempre senza chiedere il parere ucraino o bielorusso). Negli ultimi anni di vita difende la chiesa ortodossa opponendosi alla presenza di sacerdoti cattolici e pastori protestanti, mostrando una certa simpatia per Putin. E prima di essere incarcerato nel Gulag, aveva combattuto nella seconda guerra mondiale come…capitano di artiglieria.
L’anima russa non è mai lontana dalla sua artiglieria.