CLAUDIO SOTTOCORNOLA
La nostalgia dei Natali passati, magari quelli dell’infanzia o adolescenza, salutare pungolo a ricordare bellezza e valore che hanno attraversato la nostra vita, non deve – non può – farci mancare l’appuntamento con il presente, con il Natale che viene, con l’oggi che spesso ci appare così povero di vitalità e speranza.
E diciamolo – innegabilmente – gli anni portano con sé il peso delle delusioni, le contusioni e le amarezze dell’età, a fronte delle quali vien voglia di pensare che i Natali veri erano altri, sono passati per sempre e non torneranno più.
Ma l’assenza, il vuoto reale o apparente del valore, e quindi il rimpianto o – se volete – il desiderio di ritrovarlo – qui ed ora, per il noi che siamo diventati – come testimoniano la letteratura e l’arte di tutti i tempi, è il luogo per antonomasia della sua rivelazione, della sua epifania.
Non per niente nel grande racconto dell’infanzia di Gesù i Magi – ovvero la grandezza e sapienza del mondo – si inchinano al bimbo in una mangiatoia (e cioè al luogo dell’assenza, della povertà) e vi riconoscono l’Assoluto, il Dio con noi. Non a caso i primi adoratori della Natività sono i pastori ai margini della città (e della società del tempo) e i primi discepoli pescatori, uomini del popolo o intoccabili come Matteo.
È confortante per noi vedere che tutte le più autentiche esperienze religiose, dal cristianesimo al buddismo, dall’ebraismo all’islam, concludono a una visione di sobrietà, di essenzialità, e quindi di condivisione fraterna del dono della vita, che si radica nell’esperienza della povertà, intesa come condizione originaria, creaturale, ma anche come compito spirituale, e quindi come vocazione universale, empatica e solidale.
Non mi spaventa più allora vedere che, con gli anni, le certezze sembrano diradarsi, gli amici se ne vanno, le aspettative verso la vita decrescono: mi accorgo che nella spoliazione, cui il corso del tempo e le alterne vicende ci obbligano, c’è un Natale più profondo, perché c’è una condizione di verità più intensa, più radicale, più pura.
E la condizione per cui possiamo cogliere ciò è aprirsi a quanto la vita continuamente ci rivela, ci manifesta e dischiude: aprirsi così alla speranza che continuamente e “nonostante” rinasce in noi, fra le pieghe del quotidiano e della routine, come una sfida al disamore e al nichilismo che pure, in certi giorni, ci assalgono e dominano, in modo sempre più facile e insidioso – entro questa società sempre più efficientistica, funzionalistica e fredda.
Renderci così consapevoli di quanto siamo cresciuti, ci siamo irrobustiti, siamo diventati più liberi da condizioni e condizionamenti, più consapevoli della vita e delle sue reali possibilità, e quindi meno inclini all’inganno e all’illusione, al narcisismo e al sogno (quello velleitario, s’intende!).
Ciò è stato possibile perché ci siamo mantenuti aperti, in qualche misura, alla vita, alle sue prove, ai suoi insegnamenti, ai messaggi che essa continuamente ci manda, bagliori che di tanto in tanto tornano a illuminarci, regalandoci la sensazione che sì, siamo sulla strada giusta. E un’altra volta è Natale.
(da Claudio Sottocornola, Il prossimo Natale, in “L’Angelo in famiglia”, dicembre 2012)