ANTONIO VIGLINO
Der Zauberberg, pubblicato nel 1924, è forse il romanzo fondamentale del Novecento, in quanto anticipa l’approdo dell’Occidente alla visione del mondo che ancora regge il nostro contemporaneo.
Il libro narra dei sette anni trascorsi da Hans Castorp nel sanatorio di Davos, dove era ricoverato insieme ad altri malati di tubercolosi, e si snoda attraverso profonde e raffinate esposizioni di concezioni umanistiche, filosofiche e psicologiche, impersonate dai diversi personaggi del romanzo.
Ma il motivo per cui la Montagna incantata è testo cruciale e di snodo per il pensiero politico e sociale è che proprio durante la sua stesura Mann radicalmente sterza dalla Kultur alla Zivilisation: Mann passa da Nietzsche e Wagner al loro rigetto, inorridito dagli esasperati ansiti nazionalistici e dallo sfrenato populismo del primo dopoguerra, dei quali evidentemente presagì lo sfociare nelle derive omicide e vomitevolmente brutali della Germania nazista.
Il primo Mann, infatti, è paladino di una concezione molto tedesca, ma non solo tedesca, incentrata sui valori tipici costituitisi in secoli di prevaricazioni sull’individuo da parte del costume sociale: la patria e lo spazio vitale, il senso religioso e superstizioso, i valori cavallereschi imborghesitisi nel possedere ricchezza, l’onore e la famiglia; e su questa strenua difesa dei valori tradizionali (“tradizionali” in minuscolo, da non confonderli con le conoscenze della Tradizione che è tutt’altra cosa, la Scienza Sacra) Mann incentra il testo Considerazioni di un impolitico (pubblicato nel 1918 e ripudiato dall’autore nel 1922), dove appunto sostiene una spiritata e nostalgica visione della Kultur contrapposta all’affermarsi di un approccio progressista ed inclusivo, di cui sostenitore era tra gli altri il fratello di Mann, Heinrich. Il mutamento di prospettiva in Mann dalla Kultur alla Zivilisation avviene proprio durante la stesura della Montagna incantata: dove dalle discussioni di stampo filosofico nietzscheano si passa ad una violenta parodia del superuomo, nella figura dell’olandese Peeperkorn. Questa svolta avvenne proprio perché Mann si accorse che i valori della Kultur erano sfociati ad alimentare le prevaricazioni da parte delle masse esaltate dalla crisi post-bellica e ad essere sfruttati per l’affermazione di forze politiche nazionaliste incontrollabili e maligne, ed ancora a giustificare la connivenza dei pavidi.
Mann, forse il più profondo intellettuale del Novecento, dovette ricredersi di fronte alle spinte nauseabonde che esalavano in modo pestilenziale del cuore dell’Europa. Nessuno può dare a torto a Mann, per la sua Kehre — Svolta.
Chi legge Heidegger si imbatte in una ancora più profonda e significativa Khere: la Svolta di Heidegger, maturata negli anni ’30, fu un momento cruciale del pensatore tedesco (e dell’intera storia della filosofia), il quale dal pensare l’esser-ci, il Dasein, cioè la dimensione dell’uomo immerso nella realtà, passò a pensare l’essere stesso, il Sein, che poi divenne il Seyn constatato che il pensiero occidentale, da Platone fino a Nietzsche, non era stato in grado di pensare l’essere in modo autentico, ma lo pensava già solo come un ente, un oggetto. Si è citato Heidegger perché da più parti oggi lo si condanna in quanto compromesso con il nazismo, a causa di sue frasi cripto-naziste ed antisemite contenute nei Quaderni neri, i suoi taccuini pubblicati postumi. Ma chi così giudica Heidegger, del suo pensiero non ha capito, io asserisco, nulla; il dire di Heidegger si pone al di qua della rappresentazione: non solo la condanna, ma la necessità del superamento della rappresentazione è il tema cruciale e unico dei suoi cento volumi dell’Opera completa. La storia della filosofia occidentale ha per spartiacque Cartesio, che individuò e nominò la rappresentazione: il mondo esterno è, in quanto rappresentato nella mia mente; non solo tutti i filosofi successivi, ma le neuroscienze, oggi, sono fondate su questa identica nozione di rappresentazione. Prima di Cartesio, la rappresentazione è data per scontata: le cose sono, io sono; ovvero, implicitamente, tanto le cose quanto l’io esistono in quanto rappresentati. Questa struttura cognitiva che a noi sembra chiaramente ovvia, per Heidegger è frutto di inganno; prima di Heidegger lo disse Nietzsche, prima di loro due lo dissero Parmenide, Eraclito e Platone, in ciò e nel resto incompresi dai filosofi successivi. I pensatori e sedicenti intellettuali contemporanei vogliono cancellare Heidegger perché non sono in grado di figurarsi come si possa pensare senza la dicotomia di soggetto e oggetto (così il suo “discepolo” Gadamer e les nouveaux philosophes, mentre la filosofia anglosassone non arriva nemmeno a concepire di potersi figurare un movimento di questo tipo). Ma è necessario sapere che il superare la rappresentazione è per le dottrine dell’Oriente, dal Rigveda a Sri Aurobindo passando per le Upanishad, il Buddha e la Bhagavad Gita, una necessità evidente a chiunque abbia il dono dell’intelletto. In India il superamento della rappresentazione è appena il presupposto, lo dicono tutti, e semmai i discorsi vertono su come si debba fare per conseguire questo traguardo intermedio, e di come poi si debba proseguire.
Heidegger è cioè giunto, dopo oltre due millenni di filosofie una più razionalistica dell’altra, a ripensare un inizio diverso dalla rappresentazione, che è quello stesso inizio che da sempre è l’unico inizio per le Tradizioni della Scienza Sacra. Quindi, se Heidegger ebbe simpatie per il nazismo, certamente ciò è da condannare, è lapalissiano, ma altrettanto lapalissiano dovrebbe essere che orribile sarebbe gettare via il bambino con l’acqua sporca, per dirla in termini terra terra (le Lettere di San Paolo istituirono l’antisemitismo, la Comedia di Dante e le opere vocali di Bach sono ben più intrinsecamente antisemite delle due note di Heidegger, con l’aggravante di essere tanto Paolo quanto Dante e Bach persone di ispirazione religiosa e cristiana).
Questa digressione su Heidegger fa da contrappunto alla Svolta di Mann nella Montagna incantata. Come Heidegger si fece forse trascinare dagli eventi, lo stesso accadde a Mann, che ripudiò Nietzsche per non averlo capito a fondo, perché il superuomo di Nietzsche, o l’oltre-uomo come lo definisce Vattimo, non ha nulla a che fare con il nazismo: se i nazisti si appropriarono di Nietzsche e Wagner, si appropriarono allo stesso modo di Beethoven. Nietzsche, a far data dal giovanile Su verità e menzogna in senso extramorale, dice e ripete come un mantra che occorre superare soggetto e oggetto: se si legge un testo che proviene dal Buddhismo tibetano, o dalla tradizione Bön anteriore di millenni al Buddhismo, si legge della ovvia necessità di, testualmente, superare soggetto e oggetto. Il popolo tibetano è il paradigma della non violenza, eppure yogin e lama dicono le stesse cose che Nietzsche disse — in essenza, naturalmente, perché Nietzsche era certo invasato e inconsapevole della profondità delle cose che diceva, è fuori di dubbio, ma il suo superuomo è colui che ascende a una dimensione che è oltre la rappresentazione, ed è come tale alieno da ogni violenza: “L’uomo è una corda, tesa tra il bruto e il superuomo”. E lo stesso fraintendimento vale per il per altro verso troppo umano Wagner: il Parsifal, così come il finale dell’Anello del Nibelungo, se si mettono da parte le esegesi di stampo marxista propalate da Adorno e sequela, e se li ascolta per cosa dicono, esprimono trascendendoli due concetti (il primo dei quali è peraltro l’unico grundmotiv di Wagner a partire dall’Olandese volante): la compassione e la speranza. Invece Hegel fu la causa formale dei diversi totalitarismi del Novecento, poiché istituì la pretesa della ragione — della ragione come tale, e quindi di cosa di volta in volta sia creduta essere la ragione — di essere metro e giudice del bene e del male, e da qui all’accettazione entusiastica dei deliri di Hitler e Stalin il passo non poté che essere brevissimo; Marx da parte sua teorizzava la violenza e l’uccisione di persone allo scopo di instaurare la dittatura della ragione che si opinava giusta, con conseguenze che si possono constatare ancora ai nostri giorni — laddove le democrazie occidentali sono tali in quanto, tra alti e bassi, mediano tra le diverse ragioni ed interessi (solo nelle età auree gli uomini sono scevri di interessi).
La Montagna Incantata, oltre ad essere come intreccio e profondità psicologica uno dei libri più belli mai scritti, è quindi un testo fondamentale perché illustra le dinamiche interne del pensiero occidentale che anche quando si imbatte nei profeti (perché Nietzsche fu un profeta, seppure come detto inconsapevole e confuso — va da sé profeta è detto in senso etimologico, non corrotto dalle teologie del cristianesimo: profeta è colui attraverso il quale parla una, diciamo così, Coscienza superiore), anche quando si imbatte nei profeti, si diceva, il pensiero occidentale non li riconosce e li condanna.
Nihil sub sole novum — i giudizi frettolosi, ovvero, per impiegare un termine amato da Nietzsche, i pregiudizi, e la morale, sono sempre cattivi consiglieri, in quanto radicati negli egoismi e frutto degli egoismi, cioè del credere che la realtà consti di un soggetto, l’io, e tanti oggetti.