LAURA BONFIGLIO
Se c’era una cosa in cui Virginia Woolf non eccelleva, quella era la pittura e invidiava la sorella pittrice, che possedeva quella forma espressiva ed artistica che non aveva bisogno di parole, carenti rispetto al potere di suggestione delle immagini.
“Ah parole, parole, quanto siete inadeguate! Ci si stanca presto di voi perché dite troppo o troppo poco; che meraviglia il silenzio inafferrabile dei quadri”.
La grande scrittrice ammirava questa arte perché capace di arrivare là dove le parole non arrivano quasi mai, nel silenzio.
E se c’era qualcuno capace di tradurre il silenzio in immagini, quello era Jan Vermeer, pittore olandese che visse a Deft nel XVII secolo.
Creando spazi di grande intimità, nella solitudine degli interni, dipingeva variazioni dello stesso soggetto: giovani donne intente ed assorte in una qualche attività domestica, vicino a finestre che tenevano il mondo esterno e il caos della vita al di fuori, a distanza, facendo entrare solo la luce.
La donna che legge una lettera, quella che scrive, la merlettaia, la pesatrice di perle, la ragazza che suona la spinetta, la lattaia che versa il latte da una brocca, tutte vivono in un ambiente sobrio ma borghese che viene definito dagli accessori (gioielli, tappeti, oggetti di arredamento, sedie con schienali intagliati, quadri, mattonelle, strumenti musicali) creando composizioni equilibrate ed eleganti.
L’Olanda del ’600, in virtù della sua flotta navale e dei traffici marittimi internazionali, stava diventando, insieme all’ Inghilterra, una potenza economica mondiale e istituì La Compagnia Olandese delle Indie Orientali rafforzando la sua presenza in oriente e assicurandosi vantaggi commerciali. Il pittore, nonostante rappresenti, in alcuni quadri, giovani signore agghindate secondo la moda del tempo intente nei loro passatempi, sembra privilegiare la solitudine interiore delle domestiche, trasformando la modestia di quelle donne in bellezza.
In sei dipinti viene rappresentata la stessa stanza che forse era lo studio del pittore, visto da angolazioni diverse e tutti sono stati eseguiti su tele della stessa dimensione. Il motivo, secondo alcuni studiosi, è che l’artista avrebbe ricalcato immagini create nella camera oscura.
Jan Vermeer dipinse pochissimo: una trentina, al più una quarantina di quadri, due all’anno visto che mori a soli 43 anni. Il motivo di tale scarsità non é conosciuto perché anche lui è sfuggente come i suoi soggetti; forse troppo perfezionismo forse pigrizia e distrazioni (famiglia e relazioni, malattie e debiti).
I suoi quadri rappresentano il tempo sospeso reso da una gamma limitata di colori: sfumature e gradazioni di giallo, bianco e azzurro, blu celeste, il cosiddetto blu oltremare naturale fatto da lapislazzuli (il nome deriva dal fatto che il minerale si trovava principalmente in Afghanistan); nella Donna con brocca d’acqua la luce entra dalla finestra, come in quasi tutti i suoi dipinti e il costosissimo colore dà alla veste della signora una tonalità violetto che si riflette sul muro e sul volto della donna.
Ossessionato dall’idea di conquistare la dimensione della profondità, per lo studio della prospettiva fece uso della camera ottica che lo aiutava a definire le immagini che poi riproduceva sulla tela.
Lo strumento aveva come scopo primario quello di ingrandire i dettagli dello sfondo, più o meno come la lente grandangolare di una macchina fotografica.
Un gran numero di studiosi hanno approfondito l’argomento e la maggior parte concorda nel dire che Vermeer ha effettivamente utilizzato una camera oscura.
Il pittore non ha lasciato disegni preparatori: su alcuni quadri è presente un foro di spillo dove certamente aveva inserito un perno al quale legava stringhe per tracciare linee rette convergenti mentre in altri ha usato la camera ottica che permetteva di incorniciare la scena, trasformando l’immagine da tridimensionale in bidimensionale, con un grande aiuto per la composizione.
Le sue opere sono oggetto di ammirazione per la sensibilità con la quale ha reso gli effetti di luce e di colore e per la qualità poetica delle sua immagini.
Le cosiddette tronie, ritratti in costume, a volte esotico, raffiguranti il volto di personaggi convenzionali, tipi più che persone reali, sono un genere di arte popolare presente nella pittura olandese del Seicento. Il volto idealizzato della Fanciulla col turbante e il suo insolito abbigliamento conferiscono al dipinto un carattere di atemporalità, di mistero.
Il modo in cui la giovane donna, con la bocca appena socchiusa ci guarda volgendo il capo, suscita in noi quasi la sensazione di aver disturbato i suoi pensieri. Il quadro invita alla congettura e questo aspetto ha sicuramente contribuito alla straordinario successo del più famoso dipinto di Vermeer.
La grande popolarità la deve però al film del regista Peter Webber che racconta la vita di Griet, dal momento in cui diventa la domestica della casa di Vermeer, costretta a causa del fallimento dell’attività del padre.
Diventerà la ragazza col turbante, meglio conosciuta come la ragazza con l’orecchino di perla, di cui il pittore si invaghisce; si creerà una grande intimità tra lui e modella e nel contempo in lei crescerà la curiosità per la pittura e la fabbricazione dei colori.
Il 10 febbraio 2023 è stata inaugurata al Rijksmuseum di Amsterdam una mostra in cui si può ammirare la maggior parte delle opere realizzate dal grande pittore, e se avremo la fortuna di vederla auguriamoci di poter cogliere, almeno in parte, l’animo del grande Johannes Vermeer, con tutto il suo mistero, tanto da guadagnarsi il soprannome di Sfinge di Deft.