ANTONIO VIGLINO
Aurobindo nacque a Calcutta nel 1872; all’età di quattro anni venne trasferito, insieme a due suoi fratelli, in Inghilterra, dove compì le scuole sino al King’s College di Cambridge, vincendo premi di poesia e borse di studio; conosceva varie lingue occidentali e leggeva Omero in greco e Virgilio in latino — imparò poi il sanscrito e il sanscrito vedico nonché i principali idiomi del subcontinente indiano; scrisse le sue opere in inglese.
All’età di diciassette anni Aurobindo ritornò in India, ed appena giunto sul suolo natio ebbe un’esperienza di samadhi (estasi) spontaneo. Divenne segretario particolare del Maharaja dello stato di Baroda e quindi ministro dell’educazione, ma presto abbandonò tali incarichi per quello, assai meno appariscente e remunerativo, di rettore presso la prima università nazionalista indiana; di pari passo fondò la rivista Bande Mataran, scrivendo articoli rivolti a sostenere le rivendicazioni nazionaliste degli Indiani, anticamera del suo impegno per la liberazione dell’India dal giogo colonialista — della quale egli è ancora oggi nel subcontinente considerato il primo e principale artefice.
Aurobindo fu nominato a più riprese presidente del Congresso Nazionale Indiano, in seno al quale fu determinante per l’affermazione del partito estremista, che puntava alla conquista della totale indipendenza dell’India, rispetto al partito che si sarebbe accontentato di un colonialismo addolcito. Il programma rivoluzionario di Aurobindo si articolava essenzialmente in due punti: risvegliare e fomentare lo spirito della nazione indiana, e a ciò provvedeva egli stesso con incliti interventi sulle colonne a stampa, e boicottare l’economia inglese, con ripudio del terrorismo. E fu proprio per avere più forza per sostenere la sua attività rivoluzionaria, che Aurobindo provò gli yoga: si rivolse a un guru sannyasin vedantino che gli insegnò le tecniche per fermare la mente, e quindi acquisì il silenzio e la coscienza della presenza. Per il suo impegno politico egli fu incarcerato, per un anno, ma venne assolto dal giudice inglese in quanto non potè essergli attribuito alcun reato; di fronte alla notizia di un imminente ulteriore arresto, si rifugiò a Pondicherry, nell’India francese. Da qui fu più volte invocato, anche da Gandhi che gli succedette nella guida del Congresso, di riprendere l’incarico di presidente del Congresso e la guida della rivoluzione, ma Aurobindo declinò l’incombenza, per due motivi: perché oramai il processo di indipendenza dell’India era sul piano inclinato verso un esito positivo, e soprattutto perché aveva ora, a Pondicherry, cose più importanti a cui badare.
A Pondicherry Aurobindo (che nel frattempo prese ad anteporre al suo nome il prenome Sri, che nell’induismo indica venerazione e rispetto) abbandonò la sua politica rivoluzionaria, pur continuando per qualche tempo a dare ascolto e consiglio a chi lo interpellava, per dedicarsi ad altro, e non alla saggistica esoterica, alla poesia o alla linguistica, ma a cose più importanti che non l’indipendenza dell’amata nazione indiana. Quali erano queste cose?
Niente di meno che l’evoluzione della specie umana, dalla condizione attuale di homo mentale a quella nuova ed ulteriore di uomo supermentale, nella quale i nuovi uomini, liberati dai vincoli della materialità e della rappresentazione, vivranno in accordo alla coscienza cosmica. Questa evoluzione si compie attraverso la discesa della supermente nel mondo materiale: secondo Sri Aurobindo le varie correnti degli yoga del passato, eccezion fatta per i rishi rigvedici che raggiunsero elevati stadi di consapevolezza, hanno tutti il limite di raggiungere solo la sovramente, intermedia tra la mente e la supermente, oppure, se attingono la supermente, di semplicemente bearsi in quella. Secondo Sri Aurobindo, invece, lo stadio superiore della Coscienza che tutto pervade (che è quell’energia che, man mano deprivandosi di sé, costituisce la materia, fino alla materia incosciente — come anche ritenevano Spinoza e Schopenhauer) può e vuole scendere sulla Terra, per tramite di chi la possa conseguire; ciò che egli fece fu appunto di iniziare a far discendere la supermente e di far intraprendere alla propria individualità, e dopo di lui a quella di Mère (la Madre, sua compagna spirituale) e di rari discepoli, la effettiva trasformazione dell’individuo stesso, a livello di mente e corpo (o meglio, al livello della vera natura della persona, giacché la dicotomia tra mente e corpo è solo già il portato dell’ottenebramento in cui vivono gli uomini ordinari).
Nei ventiquattro anni in cui visse nella stanza al primo piano della casa, poi Ashram, di Pondicherry, senza uscirne (ma, disse, “nessuno potrebbe essere in grado di scrivere una mia biografia”), Sri Aurobindo fece scendere la luce supermentale sulla Terra, diffondendola in quelli che la psicologia occidentale ebbe a dire gli “inconsci collettivi” (per gli occidentali questa è materia di Jung, ma si deve sapere che in effetti Jung, che ebbe il dono di squarci di visione sovramentale — di cui è testimone il Libro Rosso —, volle ridurre ciò che apprese in termini razionali e concettuali, con ciò fraintendo le sue stesse visioni); quando Sri Aurobindo si riferisce alla “luce”, non intende una metafora, ma si riferisce alla luce interna da cui scaturisce la vera conoscenza — che è poi l’identica cosa cui si riferiscono tutti gli yogin e i profeti di ogni angolo del pianeta, solo gli occidentali credono che questa sia una metafora.
Sri Aurobindo dice il suo yoga “integrale”, purna yoga, in quanto assomma e supera gli yoga del passato: ognuna delle tre vie dello yoga, lo yoga della devozione, quello dell’azione e lo yoga della conoscenza (che comprende anche hatha e raja yoga: yoga della conoscenza, o jnana yoga, non significa che lo yogi acquisisce nozioni su argomenti, ma che conosce in modo effettivo, cioè esperisce), è per Sri Aurobindo valido supporto per raggiungere la luce supermentale; ciò che egli aggiunge è la disponibilità ad accogliere la discesa della supermente. Descrivere i dettagli dello yoga integrale sarebbe impresa improba, se è vero che lo stesso Sri Aurobindo interruppe l’opera che a ciò deputò (La sintesi dello yoga) perché la descrizione sarebbe stata enciclopedica e potenzialmente infinita, poiché come detto ogni sentiero può condurre alla meta. Tra le altre opere di Sri Aurobindo, vanno in particolare menzionati La vita divina, che descrive il raggiungimento della dimensione supermentale, l’opera Savitri, che, in poesia, esprime una sintesi della sua conoscenza ed è considerato il suo capolavoro; e Il segreto dei Veda, il testo che dopo millenni, e naturalmente salve le Upanishad e le dottrine esoteriche, ha restituito ai rishi rigvedici il loro statuto di profeti illuminati, dopo che stuoli e orde di esegeti incapaci di capire il loro livello arcano li avevano ridotti a (sommi) poeti, naturalistici o epici o ritualistici — al riguardo Coomaraswamy ebbe a dire che i testi e le traduzioni di Sri Aurobindo avevano l’efficacia di un collirio, che puliva gli occhi dalle stratificazioni di nescienza e li rendeva idonei a comprendere il senso autentico del Rigveda; con tutto ciò, si deve dire che la lettura di Sri Aurobindo nei limiti in cui si presenta quale spiegazione degli inni rigvedici non è ancora idonea, forse per un ultimo velo che Sri Aurobindo non volle sollevare, a restituire la forza e il significato dei testi.
Sri Aurobindo fu un grande risvegliato, come tale onnisciente ma non per questo “tuttologo”: ogni yoga, come nota egli stesso, è la descrizione dell’esperienza dello yogi, tutti gli yoga sono veri perché dicono la stessa verità dal punto di vista di chi la ebbe a vivere e realizzare, dandosi a ciascuno la grazia in modo diverso.
Le opere di Sri Aurobindo, disponibili sul sito web del suo Ashram, sono state tradotte in italiano da diverse case editrici: oltre alle Edizioni Mediterranee e ad Astrolabio-Ubaldini, fanno parte dei cataloghi di diverse realtà più piccole, sorte tutte per diffondere il suo verbo, quali La Calama, aria nuova, Domani, Arka Edizioni, Istituto Di Ricerche Evolutive.
Chi quindi definisce Sri Aurobindo filosofo e mistico, come accade nei testi degli occidentali che si occupano di cose orientali con tutto il loro polveroso carico di pregiudizi logico-discorsivi, in effetti della sua persona e della sua opera non ha inteso granché: Sri Aurobindo fu uno yogi, di livello supremo. Naturalmente egli fu anche mistico, e fu anche filosofo (se non altro nel suo breve saggio su Eraclito dimostra di avere inteso la filosofia occidentale non meno di Heidegger), ma egli viveva in altre dimensioni di coscienza, diverse da quelle in cui vivono ordinariamente gli uomini.