PAOLO LAMBERTI
Una delle “grandi narrazioni” (per dirla con Lyotard) sulla II Guerra Mondiale riguarda il ruolo decisivo dell’URSS nello sconfiggere Hitler, di contro alle prudenze degli Angloamericani; tale narrazione è stata scelta dai sovietici come uno dei punti più importanti della loro propaganda ed è stata rafforzata nel ventennio putiniano; ed ha avuto, e tuttora ha, ampio consenso nell’Europa occidentale, soprattutto nei paesi che avevano i maggiori partiti comunisti, e oggi ospitano partiti e fasce di popolazione più che sensibili alla propaganda di Putin; tale visione è molto meno condivisa nell’est Europa, che conosce molto bene i Russi e le conseguenze della loro vittoria nella guerra.
Certamente i sacrifici e le perdite sovietiche nella Seconda Guerra Mondiale sono stati impressionanti e non si può negare che l’impatto della dell’Armata Rossa sia stato centrale per la sconfitta dell’esercito tedesco; ma non si deve dimenticare l’importanza della guerra sul mare, a cui i Russi sono rimasti praticamente estranei, e quella della campagna di bombardamento strategico degli alleati; e va ricordato come l’URSS non abbia preso parte alla guerra contro il Giappone se non per rivendicare la propria parte di bottino con minimo sforzo.
Le perdite dell’Unione Sovietica sono ancora oggi incerte, si parla tradizionalmente di circa 20 milioni di morti, ma probabilmente il numero è anche superiore; né è chiaro se comprenda anche i civili morti per la durezza delle condizioni di vita nei territori rimasti sovietici, oppure il mezzo milione di detenuti del Gulag, parte dei quali arruolata nei battaglioni di disciplina (strafbat), in cui le perdite toccavano Il novanta per cento: vi finirono più di 400.000 uomini, dal fronte o dai lager. Questi battaglioni erano tipicamente usati per aprire la strada nei campi minati; uso simile si riscontra nel nell’Iran della guerra con l’Iraq, quando bambini ed adolescenti erano spediti sui campi minati con una chiave di plastica per aprire le porte del Paradiso; i rapporti tra Mosca e Teheran hanno profonde radici.
Se milioni di morti si devono alla ferocia razziale nazista e altri alle competenze belliche tedesche, molti soldati muoiono per l’impreparazione dell’Armata Rossa frantumata dalle purghe e per la spietatezza di Stalin e dei suoi generali: dietro alle truppe c’erano i reparti della NKVD con le mitragliatrici e minime esitazioni comportavano fucilazioni o deportazione. Eppure tutto questo è dimenticato, mentre il ricordo della Prima Guerra Mondiale in Italia è segnato dalla memoria della repressione contro i soldati; lo storico Monticone esaminando ogni archivio e testimonianza ha calcolato in circa 10.000 le vittime di questa repressione; si è molto insistito su questo numero, non a caso Monticone è uno storico di formazione cattolica, un mondo che non ha mai perdonato l’Italia liberale. Tuttavia nella sola e vittoriosa battaglia di Stalingrado tale numero è superato, si stimano più di 13.000 fucilazioni e si è calcolato che nel solo primo anno di guerra tra esecuzioni e deportazioni Stalin abbia eliminato un numero di soldati tale da formare una ventina di divisioni.
Tali sacrifici e quelli della popolazione sarebbero però stati vani senza l’aiuto degli alleati, che soprattutto nei primi due anni di guerra furono il discrimine tra resistenza e sconfitta. Sin dal primo giorno dell’aggressione tedesca Churchill decise di inviare ingenti aiuti, al punto da dare la precedenza ai russi rispetto alle truppe inglesi stesse: Rommel deve una parte delle sue vittorie alle armi finite in Russia invece che in Nordafrica.
Ancora più decisiva fu la scelta di Roosevelt di inserire subito l’Urss nel Lend Lease Bill (la legge Affitti e Prestiti), poiché fu l’industria USA a fornire il grosso degli aiuti. L’aspetto singolare è che la legge prevedeva appunto affitti e prestiti, la Gran Bretagna dovette spostare in Canada a garanzia gran parte dell’oro e dei titoli della Bank of England, e ha finito di ripagare i prestiti nel 2006. All’Urss non venne chiesto nulla, solo nel 1946 venne avanzata la modesta richiesta di 2 centesimi per dollaro, ma la guerra fredda cancellò tale possibilità; si parla dell’equivalente di centinaia di miliardi di dollari, cifre ben maggiori degli odierni aiuti all’Ucraina. Né vi furono contropartite politiche, anzi quando al Congresso si levarono voci per ridurre gli aiuti nello scorcio della guerra, vennero bloccate, anche grazie al numero due del Tesoro, Harry Dexter White, che nel dopoguerra si scoprì essere una “talpa” sovietica.
In totale gli Angloamericani inviarono più di 20 milioni di tonnellate di materiali.
Tra di essi armi: senza contare quanto fu distrutto nei i convogli, migliaia di cannoni, milioni di munizioni almeno 7000 aerei, almeno 5000 carri; ancora nella battaglia di Kursk, estate 1943, la più grande battaglia corazzata della guerra, quasi il 20% dei carri sovietici era angloamericana. Ancora più importanti furono le centinaia di migliaia di camion e jeep, che fecero dell’Armata Rossa dell’ultimo biennio un esercito motorizzato capace di avanzate di centinaia di chilometri; al contrario della Wehrmacht, che, nonostante la fama della Blitzkrieg, mosse sempre la maggior parte delle divisioni con ampie aliquote di cavalli (600.000 all’inizio dell’invasione dell’URSS).
Ma gli armamenti passano in secondo piano rispetto ai milioni di tonnellate di carburanti, ai milioni di tonnellate di cibo, che salvarono dalla carestia la popolazione e nutrirono i soldati con le razioni K, ai milioni di tonnellate di acciaio, e poi alluminio, manganese, gomma e quanto servì alle industrie sovietiche per sfornare le armi per il fronte; e si aggiunsero interi impianti industriali, raffinerie, acciaierie, fabbriche di aerei, smontati negli USA e ricostruiti oltre gli Urali.
Tutto questo fu inviato attraverso tre itinerari, a caro prezzo: centinaia di navi affondate ed aerei perduti, migliaia di marinai ed aviatori alleati morti; e se equipaggi dei bombardieri atterravano in emergenza in Russia, venivano internati e rilasciati dopo mesi, o anni. La via dell’Artico è stata la prima, e la più tragica; si snodava a fianco della Norvegia occupata, e i convogli dovevano affrontare U Boote, aerei e navi tedesche, come ricorda la sorte del convoglio PQ17, con 24 mercantili affondati su 35. Un secondo passaggio fu creato con l’occupazione anglo-russa della Persia: furono soprattutto gli alleati a costruire da zero una rete di porti, strade e ferrovie che ancor oggi, ironicamente, innerva le infrastrutture degli ayatollah. Dagli USA partivano poi gli aerei destinati alla Siberia, che sorvolavano con numerose perdite le terre desolate del Canada settentrionale; quanto alle navi, i russi misero loro equipaggi su una sessantina di mercantili americani, che attraversavano indisturbati il Pacifico grazie al patto di non belligeranza URSS-Giappone; anzi avvenivano baratti tra carburante americano, ceduto ai giapponesi per essere usato contro gli USA, e gomma e materiali dell’Asia Sudorientale, scambiati dai giapponesi per essere usati dai sovietici contro i tedeschi.
Morti, aiuti, sacrifici, risorse: tutto dimenticato, tutto inghiottito nel buco nero del revanscismo russo.