GIANCARLO BARONI
Ci sono poesie che gridano e afferrano il lettore per il bavero e altre, più discrete e silenziose, che preferiscono defilarsi senza imporsi all’attenzione di chi legge. Occorre approssimarsi ad esse con lentezza e discrezione, mettersi in ascolto di versi che non recitano ad alta voce ma parlano con toni sommessi, che non esibiscono con urgenza e immediatezza il loro significato ma lo tengono con pudore quasi celato custodendo “un qualche / anche misero / mistero”.
Fra i poeti che fanno della riservatezza una caratteristica virtuosa mi sembra vada per il momento annoverato Emanuele Marazzini che, con la raccolta intitolata La piscina cretese, arriva adesso alla sua prima pubblicazione. È significativo il fatto che, nelle pagine, venga spesso evocato, quale luogo privilegiato, la soglia (“E scoprì il bordo. / Attorno a questo incombe tutto”). L’autore sta sul limite, sul margine e da lì osserva le cose, il mondo, i fatti, la storia, i sentimenti, indagandoli preferibilmente attraverso sfumature, particolari, dettagli, poiché “si sopravvive con le minuzie”. Minuzie apparenti, in verità rimedi omeopatici contro quel male di vivere che ci assilla e insidia quotidianamente, per esempio “Al mattino / in cucina / tracce d’aroma nelle tazze” oppure il sole che “si scioglie / nella lenta / calma di un tè alla menta” o anche gli splendidi nitriti della puntina del giradischi che “corre nel solco / come cavallo in corsia”.
C’è in questo atteggiamento pacatamente distaccato e dolcemente ironico nei confronti della vita e della poesia un richiamo anche stilistico a Guido Gozzano. Se il grande poeta crepuscolare azzarda la rima fra Nietzsche e camicie, Marazzini accosta parole che appartengono normalmente ad ambiti semantici differenti come ad esempio Cortina con adrenalina, ditale con Natale, medaglia con tovaglia, calanti con calanchi, nostrano con lontano.
Ci troviamo di fronte a versi completamente privi di retorica e di enfasi, colti ma non eruditi, colloquiali ma contemporaneamente allusivi, misurati e sobri. Con uno sguardo curioso e perplesso, il dubbio si affaccia frequentemente dalle pagine che non procedono «fra giudizi e certezze», ci rende suoi «discepoli», antepone gli interrogativi agli imperativi. Fede e dubbio, spontanea preghiera e rovello riflessivo, non sono per Marazzini antitetici, indicano entrambi la strada verso la salvezza («Il dolore / va in poltiglia / quando Gli parlo / perché ogni serenità è salvezza»). Ne La piscina cretese non c’è spazio per il dramma o per il melodramma perché le atmosfere sono attutite e ovattate e perfino la morte arriva alle nostre orecchie come un fastidioso ronzio non come un brutale tonfo: “E se grida / come grida la morte / graffiata? / La immagino / moscone pazzo / a rimbalzo sui vetri”.
Cosa lasceremo in eredità, quale piccola traccia del nostro passaggio resisterà? Domande che preoccupano credenti e non credenti: «Oltre quel sipario / sappiamo solo / che si appassisce; / ma di qui, / prima del passaggio, la lasciamo una scia?». Pericoli e rischi stanno sempre lì, in agguato, e possono spalancarsi davanti a noi come una improvvisa voragine, perfidi e traditori come l’acqua di una piscina che «si defila nel tuffo».
Biografia autore
Emanuele Marazzini è nato a Viadana nel 1992 e abita a Parma. Insegna materie umanistiche nella scuola secondaria. Dal 2021 collabora con le pagine culturali e degli spettacoli della «Gazzetta di Parma». Appassionato di storia del West e di dinamiche coloniali e post-coloniali, ha pubblicato gli articoli: Salgari e il primo colonialismo italiano, in Emilio Salgari: sogni e realtà, vol. III, (Edizioni Simple, 2015); Sabbia, scatti, sabbia. Le guerre d’Africa nel fondo fotografico Adolfo Ghinzelli di Viadana, («Vitelliana», 2017); “Caduti non vinti”. Viadana di fronte al trauma di Dogali, («Vitelliana», 2018) e, con Filippo Marazzini, “Operare e scoprire”. Vittorio Bottego in letteratura, in L’esploratore perso nell’oblio (Pgreco, 2022).
La piscina cretese segna il suo esordio poetico.
Premessa alla raccolta
Nel luglio 2017, in vacanza a Creta, per uno sciocco incidente nella piscina di un albergo credo di aver capito qualcosa -era la prima volta- sul sentirsi corporei e finiti. Da qui la spinta ad assemblare un librino di versi, sia antichi sia recenti. Tra questi, molti raccontano il colloquio col passato, forse più immediato in viaggio (prima sezione); altri -credo meno insicuri- la tensione della fede, l’amore e il declino fisico (seconda sezione). A delimitare questo doppio praticello di parole il carme Adua ed il conclusivo Dopo il salto, dopo il diluvio, grido di ostinato ottimismo.
Nota di Gabriele Oselini
Il Quaderno n. 8 della Fondazione “Daniele Ponchiroli” torna alla poesia.
Un giovane autore, Emanuele Marazzini, si cimenta per la prima volta in questo campo letterario con risultati sorprendenti. Evidenti il retroterra culturale assai ricco, l’acutezza e l’originalità nella descrizione delle situazioni, la forza discreta della poetica, per esprimere in versi la consapevolezza dell’esistere, fra dubbi e certezze, con semplicità e velata ironia.
Alcuni testi
Fede
Nonno,
la tua borsa di scuola
riposa in cantina -branco di badili,
mobili in bilico- accanto
alle zappe:
quel cuoio parla solo
se la luce è bassa
e l’orecchio pazienta.
E crede.
Dicono che anche tuo padre,
montanaro antico,
ne avesse una, ma di legno grezzo,
da ambulante:
vendeva aghi forbici fazzoletti
di casa in casa;
d’inverno
coi campi a riposo.
Questo filo potente teso
tra spazio e tempo,
tra ossa e sangue
lo annodo al dito
per librarmi dal labirinto.
Si sopravvive con le minuzie.
*
Scorci d’Epidauro
Cicale che esagerano
nel santuario del sonno.
La magia pretende
un’immagine.
Ride
il tempo
nei ruderi
tra gli oleandri. E s’aggira
anzi balza aroma
d’origano.
*
Atene, canzone scartata
Alba. Fredde le braci,
estate fra i colonnati.
La città rinasce. Strade vivaci,
templi, agorà, mercati.
Al Pireo marinai cretesi
vendono vasi egizi e amuleti.
Corpi di puttane stesi
al sole come reti.
E poi, lassù, il Partenone:
veglia da secoli sulle genti.
I veneziani col cannone
quasi lo fecero a frammenti.
Veterani ricordano battaglie:
Platea, Termopili, Maratona.
Gli scudi come muraglie:
l’urlo persiano ancor risuona.
Su tavole di cera
stili di giovani scribi.
Il maestro fissa una sfera
e mangia astrali cibi.
Il tramonto giunge per tutti:
i nobili a banchetto,
risate, vino, rutti.
Un fabbro torna al suo tetto.
Viandante, ora riposa:
nessun pericolo viene.
Lavati con acqua di rosa.
Perché qui siamo ad Atene, ad Atene.
Davvero era un mondo perfetto?
O è leggenda moderna?
Un dubbio di tutto rispetto.
Ma forse la grande Grecia materna
insegna questo:
che il passato ci resta accanto,
come un amico onesto
a cui citofonare ogni tanto.
*
Cinque consigli
Ammetti
d’avere modelli.
Non essere vassallo di nessuno,
ma vascello per qualcuno.
Abbatti il tabù del lutto:
il dolore punge,
ma rende vigili.
E la morte è rito, non danno.
Esisti per sostare.
Sii aperto cordiale
ottimista: chi entra
volentieri
in una casa dalle maniglie dure?
*
San Martino, Valmozzola
Lo dice una guida ingiallita:
con l’arenaria di qui
fecero il Palazzo Ducale
di Parma.
Cerco e cerco dal finestrino
tracce di cave,
ma ogni fenditura la
benda il verde. Così
l’aneddoto rovina
e il libro s’assopisce
in attesa di viandanti
più testardi.