LAURA BONFIGLIO
Alle Gallerie d’Italia di Torino, Palazzo Turinetti, si sta svolgendo una mostra dal titolo SENZA TEMPO a cura di Roberto Koch, secondo capitolo del progetto “La Grande Fotografia Italiana”, che è partito nel 2022 con la mostra di Lisetta Carmi e prosegue con Mimmo Jodice, progetto che vuole essere un omaggio ai grandi maestri della fotografia del nostro paese.
La mostra, che è visitabile fino al 7 gennaio 2024, comprende anche il documentario che Mario Martone, celebre regista e autore, ha diretto e concepito con Ippolita Di Majo e realizzato con la collaborazione di Elio Di Pace, filmato sulla vita di Mimmo Jodice, suo amico e concittadino.
Suddivise in sezioni, le 80 fotografie presenti a Torino rappresentano i principali motivi della sua arte: Anamnesi, Vedute di Napoli, Città, Linguaggi, Natura e Mari. Realizzati dal 1964 al 2011, gli scatti nascono dalla curiosità per la sperimentazione, dallo stravolgimento delle regole e da un lavoro concettuale che il visitatore percepisce dal primo momento che entra in sala: lo strumento fotografico diventa non mezzo descrittivo ma creativo.
Le vedute urbane sulle metropoli ci rimandano ad un tempo sospeso e silenzioso, il tempo che non è quello del movimento, del variare degli oggetti fisici considerando la loro collocazione nello spazio. La concezione fisica del tempo può non corrispondere alla temporalità psicologica, che si riferisce alla percezione della durata di un’esperienza.
Cronos, il tempo con una natura quantitativa, verifica il rapporto tra oggetti non psichici mentre il tempo vissuto e scaturito da una relazione tra oggetti mentali ha una natura qualitativa e quindi soggettiva; il tempo sembra fermarsi quando il desiderio trova il suo oggetto, quando poeti, pittori e fotografi riescono in questo intento. I fotografi più vicini alla visione di Mimmo Jodice sono Luigi Ghirri e Gabriele Basilico.
Lontano dalla teoria dell’istante, dal cogliere l’immagine al volo: al contrario lui osserva, medita, ritorna sul luogo e si perde a guardare, con uno sguardo lento e assorto, in un pensiero dove confluiscono immagini che emergono dal passato, frutto di un’eredità artistica ricevuta in dote dai luoghi abitati, visitati.
Dietro tutto questo grande lavoro c’è Napoli, la città natale di Jodice, una città piena di segreti e di magia, soprattutto alcuni quartieri come il Rione Sanità, dove il fotografo ha trascorso l’infanzia.
Mario Martone ci restituisce l’immagine di un uomo, di un artista ancora entusiasta, con occhi turchini che brillano parlando della luce come elemento costitutivo della sua arte, che non conosce il digitale.
Procedimenti che pochi ormai conoscono, che vanno sotto il nome di polarizzazione, sovrapposizione, movimenti in fase di stampa e collage. Sono il pennello di Jodice insieme alla maestria nell’uso della luce.
Ma Jodice coltiva anche un grande amore per il passato e per l’archeologia, ama le antiche rovine e le sculture, dove si può cogliere quel vuoto metafisico che ci sorprende: negli occhi spaventati delle statue, quegli occhi che gli antichi realizzavano con il vetro e le pietre dure, sembrano avvisarci della fine di tutte le cose.
Lo stato d’ animo che ci accompagna guardando le opere della sezione Natura e Mari è quello dell’attesa; al contrario di altri grandi artisti come Eduard Hopper, Jodice riesce a renderlo senza la presenza dell’elemento umano; sedie vuote, finestre aperte, pontili che finiscono nel nulla, scogli che sembrano lì dall’inizio del mondo, tutto questo suscita nel visitatore un sentimento di nostalgia per quel periodo della storia in cui l’uomo ancora non esisteva e ci suggeriscono le parole della genesi “in principio Dio creò il cielo e la terra, vide quanto aveva fatto, che era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina.”