“Finitudine” di Telmo Pievani, un romanzo indispensabile

finitudine-copertina

GABRIELLA MONGARDI

È l’equivalente in prosa della Ginestra di Leopardi: ha il rigore cristallino e la consequenzialità di una dimostrazione geometrica, e insieme il lancinante struggimento di un testamento spirituale, il romanzo-saggio di Telmo Pievani, docente di Filosofia delle Scienze Biologiche all’Università di Padova: “Finitudine”, Raffaello Cortina editore 2020, sottotitolo “Un romanzo filosofico su fragilità e libertà”.
“Testamento spirituale” non dell’autore, che è ben vivo e attivo, ma di uno dei due protagonisti dell’opera, lo scrittore francese Albert Camus, a cui Pievani, nella finzione letteraria, allunga di qualche mese la vita in modo che possa ultimare, in articulo mortis, il libro che sta scrivendo a quattro mani con l’amico Jacques Monod, biologo, Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1965.

Il romanzo è ambientato nel Centre Hospitalier di Fontainebleau, al capezzale di Camus gravemente ferito in un incidente stradale, a cui Monod, nel corso delle sue otto visite, dal 10 gennaio al 26 giugno 1960, legge le bozze del libro capitolo per capitolo. Alla lettura segue la discussione tra i due amici, e nel loro dialogo emergono altri temi e altre storie, che accrescono ulteriormente l’originalità del libro e ne arricchiscono il messaggio.

Le tesi del libro immaginario si rifanno a ciò che Camus e Monod in vita hanno veramente sostenuto, ma la filosofia che scaturisce dalla sintesi è quella di Pievani, è una visione del mondo scientifica e umanistica insieme, che rimanda a Lucrezio e al suo grandioso poema De rerum natura, scritto dall’autore latino nel I sec. a.C., al tempo delle guerre civili che decreteranno la fine della Repubblica di Roma e l’ascesa al potere di Ottaviano Augusto.
Il saggio che i personaggi stanno componendo si presenta infatti come un commento a passi dell’opera lucreziana, «quel manoscritto radicalmente disturbante eppure fedelmente e segretamente conservato per secoli», ritrovato nell’abbazia benedettina di Fulda agli albori del Rinascimento dall’umanista fiorentino Poggio Bracciolini. Un commento non filologico-stilistico, ma scientifico-filosofico, che fa proprio l’insegnamento profondo dell’autore antico, pur “aggiornandolo” alle conoscenze, alla sensibilità e alle idee moderne.

«Scoprire di essere fatti della stessa materia delle stelle, degli oceani e di tutti gli esseri terrestri ha un valore scientifico, filosofico e poetico. Insieme. Ancor più ne ha se ci accorgiamo di essere liberi dentro questa appartenenza. Si sprigiona un’energia erotica nel comprendere il mondo, noi stessi, la natura delle cose. Nel farsi bastare la compagnia dei mortali.»
«La scienza arricchisce la cultura, ne fa parte, sposta i problemi e li riempie di nuovi contenuti. Da sola non basta, d’accordo, ma senza di lei le altre discipline sono vuote, diventano chiacchiere autoreferenziali.»
«Anche grazie alla scienza, la nostra contingenza e la nostra finitudine non implicano né nichilismo né cinismo, ma, al contrario, impegno, ricerca, solidarietà umana, rivolta contro ogni padrone e lotta per la giustizia, una vita vissuta appieno in ogni istante.»
«Anche se ognuno di noi finirà, anche se la Terra finirà, anche se le galassie si raffredderanno, anche se l’universo in un gran botto finirà, anche se tutto cadrà in una notte perpetua, nulla potrà cancellare il fatto che, in un angolo marginale del cosmo, è esistita una specie in grado di comprendere la propria finitudine e di sentirsi libera di sfidarla.»