FULVIA GIACOSA
«Non ho mai evitato l’influenza dei grandi. L’avrei considerata una vigliaccheria e una mancanza di sincerità di fronte a me stesso. Credo che la personalità dell’artista si sviluppi e si affermi nelle lotte da condurre contro la personalità altrui.» Così si confessava ad Apollinaire Henri Matisse nel 1907 sulla rivista “La Phalange”. E parliamo di uno dei massimi artisti del Novecento, oltretutto ai suoi esordi. La frase mi è tornata in mente di fronte alle opere di Romina Mandrile esposte alla Fondazione Peano nella mostra curata da Alessandro Abrate.
L’artista cuneese credo condivida le affermazioni di Matisse. La storia dell’arte affiora, consciamente o no, nei suoi lavori: sono spunti sedimentati nella memoria che si palesano improvvisi quasi reclamassero l’ascolto, per poi assumere una personalissima e direi ormai consolidata scelta sia pittorica che scultorea. Ricordo alcune precedenti immagini di figure femminili a mezzo busto in cui si indagavano bellezze occidentali e orientali e in particolare un’opera del 2013 (“Rapimento”) omaggio alle stampe giapponesi di Utamaro raccolte nella serie “Il canto del guanciale” (1788), dalla grazia sublime di linee flessuose che suggellano l’intensità erotica di un attimo attenuata solo da ironici versi sul ventaglio (Il becco intrappolato/in una conchiglia,/il beccaccino/non se ne può volare via,/una sera d’autunno). Forse dall’arte orientale viene l’imput per una più ampia indagine della nostra artista sulla rappresentazione dell’eros nel mondo occidentale, i suoi miti e simbologie millenarie che Romina trasferisce nei modi della contemporaneità. Due terracotte del 2020 (“Maria e Maria”) paiono giungere dalla preistoria e dal tema della Madre Terra: sono figure acefale dall’ampio ventre ad anfora aperto frontalmente così da rendere visibile il frutto prezioso dell’uovo che contiene, uovo d’argento che in Aristofane (Gli uccelli) si dice generato da Erebo e dal quale “sboccia Eros il desiderabile”. Ma lasciamo i miti di fondazione, peraltro non sempre concordi, e veniamo più vicino a noi, senza dimenticare quanto dell’eros si sia nutrita l’arte vascolare etrusca e greca e poi via via il Cinquecento manieristico (Giulio Romano a Mantova, Bronzino a Firenze), il Barocco più sensuale tra misticismo e carnalità (Bernini), il Simbolismo di fine Ottocento a nord e a sud delle Alpi. L’Eros abita l’arte di due aree geografiche e culturali, quella “nordica” che va da Klinger a Klimt, Shiele, Kokoschka e Kirchner (solo per citare i grandi) e quella “mediterranea” che da Rodin porta a Bonnard, Matisse, Picasso; a quest’ultima appare più affine l’arte seducente di Romina come cercherò di dire.
A nord, in area scandinava prima (Munch) e germanica poi, l’eros è attrito, spasmo, a volte è mercenario e notturno, quasi sempre accompagnato dall’altra sua faccia, Thanatos: che sia il periglioso viaggio nel vento tempestoso che agita il mondo (Kokoshka) o totale solitudine e decadimento fisico che impietosamente la precede (Schiele) o ancora meretricio metropolitano (Kirchner). Ma il vero dominio di Eros, garante di vita e armonia cosmica, è il Mare Nostrum. Il “nudo” prevalentemente femminile è il genere pittorico e scultoreo con cui si identifica il tema. Naturalmente c’è nudo e nudo: in Picasso, in specie nei suoi lavori tardi quasi animaleschi e al limite della pornografia (“L’arte non è mai casta” ha dichiarato), la modella diventa metafora dell’arte ed è come se l’atto erotico coincidesse con il disegno e la pittura stesse. E in fondo anche per Rodin e Matisse l’azione artistica è erotismo puro. Di entrambi leggiamo tracce in inchiostri, acquerelli e acrilici di Romina; nel ciclo “Apollineo e Dionisiaco” (2022) – ad esempio in “Ibrido”, 2022 – la dinamicità eccitata dei corpi e il loro intrecciarsi convulso in pose acrobatiche richiamano la “Porta dell’Inferno” dell’artista francese, pur nella trascrizione grafica e bidimensionale che è la caratteristica preminente della nostra artista. Da Rodin e Matisse deriva anche la scelta del frammento corporeo, sineddoche efficace dell’intero corpo che l’autrice trasforma spesso in un modulo geometrico ripetuto dal forte decorativismo nel senso positivo di ritmo musicale dei motivi.
Matissiane sono le armonie coloristiche, l’eleganza compositiva, la sintesi formale che in Romina sfora l’astrazione; il solo apparente nascondimento delle parti corporee più erotiche fa sì che i seni diventino, per similitudini formali, “ombrelloni” o formino una spiaggia di morbidi “Sassi” (in terracotta) distesi a terra, perfettamente sferici, come circolari e divertenti sono quelli dipinti (“Minne 75”, 2021), o ancora geometrie cosmatesche di medievale memoria; la vulva si raddoppia e diventa farfalla, l’amplesso “produce” una ciliegia oppure una casta unione di apparati sessuali stilizzati (“Lui-Lei”, 2023) che ricordano per levità la giocosa ironia di Juan Mirò. Alcuni acrilici poi sono un vero inventario di forme geometriche ad incastro caleidoscopico (“Scatola di giocattoli”, 2023), altrove il raddoppio speculare delle forme nasce da segmenti del corpo femminile e maschile, bianchi-neri-grigi lungo una direttrice verticale rossa e vibrante che li unisce (“Apollo”, 1922); certe stilizzazioni sono così estreme e la loro composizione così metodica che paiono provenire dalle aniconiche alicados dell’Alhambra di Granada.
C’è in gran parte di tali lavori una voluttuosa sublimazione dell’eros, una solarità che ha trovato in Matisse il suo cantore ed è di matrice baudleriana (“Lusso, calma e voluttà” del pittore è null’altro che un verso di Invito al viaggio), una musicalità tradotta in danza (penso alla versione di Merion, 1931-33 e agli splendidi papiers découpés) cui Romina sembra attingere per opere che sono novelli frutti di quella tradizione rinnovata nelle tecniche e nelle modalità pittoriche contemporanee, in primis la flatness assoluta e la purezza dei colori à plat. La joie de vivre di cui Eros è portatore diventa gioia di dipingere.
Le ultimissime prove dell’artista sembrano aprirsi a nuovi orizzonti, quasi dicotomici rispetto a quanto abbiamo sin qui detto. Ispirata dall’eros mistico e colpita dalla sensualità del Barocco e dagli scritti di mistiche come Teresa d’Avila o da sante martiri come Lucia di Siracusa, ha esposto gli ultimi lavori dal geometrismo monumentale. In essi torna la figura frontale e ieratica ma comunque inserita in uno spazio, dalla fissità quasi pierfrancescana (o casoratiana, se preferite). Due opere di passaggio (“Assoluto” e “Allure, Hortus”, entrambi dell’anno in corso) già introducono la figura intera pur se ancora immerse in un brulichio di linee coloratissime. Attendiamo di capire dove l’artista ci condurrà nel prossimo futuro.
INFO. La mostra è visitabile gratuitamente alla Fondazione Peano, (Cuneo, Corso Francia 47) fino all’8 ottobre 2023. Orario: dal giovedì alla domenica, ore 16-19.
Per informazioni: tel. 0171-603649; segreteria@fondazionepeano.it