La forza impersonale ed eversiva di Cristina Annino

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CRISTINA ANNINO

L’udito cronico

Le poesie d’amore le do
in appalto ai droghieri. Io
inseguo pensieri su cui
casco, è vero, in rime toniche.
Anche a me succede; ma in genere,
è un fatto, sto in piedi.
Ed ho
un bell’udito cronico
per la vita, o meglio
per la testa impazzita
dell’uomo che ragiona, e gli sale
accanto in due, divisa
fino all’occhio glaciale.

*

Caos

Premettendo
ch’è sempre doloroso impalare
l’anima in un discorso, scrivere
un diario, lettere, versare
iride nella tinozza di un colloquio.
A quest’età e con i tempi che corrono,
io siedo al bordo dell’orecchio
universale; dico
«biondo, marziale cieco cielo
dove il tempo è rotondo: la verità
è orrendo cannocchiale».
Poi mi rivolto, ascolto chi parla,
annuso odore di vero nel parziale
gesto di chi mi appaia. Credo
a tutto; a quest’età si è un cimitero
abbastanza paziente.

*

Lettera d’amore

Con convenevoli ghiacci e tic, il postino
è un gigante, un orso. C’è vento.
Io amo la prosa; io scorgo
tra le lettere quella metallica, la salva,
l’unica, senza timbro, che fa
versi con labbra. L’attendo da mesi.
Risalgo dunque: la colazione
l’ho digerita e con scopo esatto, certo
per finzione, ancora la guardo. Le scale
inchiostro, tutte. La firma c’è, anch’essa
orso, raccolto sul tallone, callo
sinistro; calmo davvero da squartare
di balzo un uomo come una pillola.

*
La casa del folle

Entro piano nella casa del folle;
non apro le persiane, non tolgo la polvere.
Arrivo alla sua camera che ancora dorme
nel mattino troppa aria per occhi
di dolente marrone pallido. Guardo
la nuca rigida e il corpo che non sente
neppure il pigiama.
Mi siedo accanto e gli porto l’asfalto
ripulendolo dal rumore, dall’odore del mese,
dal peso della gente.
Cerco di non affollarlo di niente;
il suo corpo vuoto è una stanza: sogni
vi soffiano dentro bolle di vecchio dolore.
La ragione cos’è? Arrivo qui e mi stendo
al piede del suo letto come a una pianta
ed entra dentro di me, dal folle, quasi
fune elettrica, una bianca, stanca,
atroce vitalità.

Cristina Annino, L’udito cronico, Collana Le Mancuspie diretta da Antonio Bux, Graphe.it edizioni 2023

Questa agile ma sorprendente raccolta di Cristina Annino comparve nella collettanea Nuovi poeti italiani 3 a cura di Walter Siti nel 1984. Mai apparsa di seguito in un volume a sé stante, viene qui riproposta nella sua versione originale. Anche in quest’opera, intitolata L’udito cronico, il canto della compianta autrice toscana si contraddistingue per la sua forza impersonale, eversiva, tinta di un sarcasmo pungente, mai banale. Nella lunga e originale traiettoria compiuta, Annino è difatti sempre rimasta fedele al proprio “fare poesia”, in senso per davvero materico, e in questa silloge ancora una volta la sua scrittura si fonda su una commistione di interessi sia visivi (fu anche originale pittrice) che lirico-musicali, divenendo così un preciso cesello meta-realistico, un patchwork del linguaggio in continua tensione. Si può dunque parlare di poesia pseudo-dadaista, come anche di poesia civile, di un civile però votato al suono, dove il tono affabulatorio e la messa in scena di un irriverente teatrino ritmico-verbale danno vita a una poesia di elementi che giocano in maniera quasi distopica sul tavolo dell’esistenza, in cui l’io (spesso declinato provocatoriamente al maschile) è un automa perennemente in bilico tra evoluzione e disfacimento. Un canto elettrico che sorprende per la sua luminosità prosodica coinvolgendo direttamente il lettore nell’attenzione del mondo tramite l’enunciazione dell’avvenimento, che non è mai qui mera meta-cronaca, bensì concatenazione di possibili realtà, configurazione astrale e terrestre di significato e mistero.

Cristina Annino (pseudonimo di Cristina Fratini, 1941-2022), è stata scrittrice e poetessa. Dopo gli studi in Lettere Moderne a Firenze dove si laureò con una tesi sulle prose di César Vallejo ha frequentato, sempre a Firenze, il Caffè Paszkowski dove entrò in contatto con il Gruppo ’70, fondato nel 1963 da Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti. Esordì nel 1969, pubblicando, con le edizioni Téchne, Non me lo dire, non posso crederci. Nel 1989 si trasferì a Roma e iniziò a dipingere, tenendo mostre collettive e personali in Italia e all’estero. Tra le altre sue raccolte poetiche si segnalano Ritratto di un amico paziente (Gabrieli, 1977), Il cane dei miracoli (Bastogi, 1980), Madrid (Corpo 10, 1987 – ex aequo Premio Pozzale Luigi Russo; poi Stampa 2009, 2017), Casa d’aquila (Levante, 2008), Magnificat (Puntoacapo, 2010 –  premio Lorenzo Montano), Chanson turca (LietoColle, 2012), Anatomie in fuga (Donzelli, 2016), Le perle di Loch Ness (Arcipelago Itaca, 2019) e il postumo Avatar (Avagliano, 2022). È stata anche autrice di due romanzi: Boiter (Forum/Quinta generazione, 1979) e Connivenza amorosa (Greco&Greco, 2017).

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