34. Digressione: un progetto letterario collettivo

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DINA TORTOROLI

Nella mia città nessun libraio da me contattato è stato in grado di procurarmi il saggio di Giovanni G. Amoretti, Gli autori dei Promessi Sposi / Partecipazioni creative e critiche alla composizione del romanzo manzoniano / (Centro Nazionale Studi Manzoniani / Milano / 2014), che non è acquistabile neppure online, perché risulta “esaurito” o “ attualmente non disponibile”.

Fortunatamente, è ammesso al prestito in una Biblioteca universitaria. Perciò, ai lettori di Margutte  posso farne conoscere almeno le pagine introduttive (pp. 7- 12):

«INTRODUZIONE

Il genio è verecondo, delicato, e se è lecito così dire, permaloso = le beffe, il clamore, l’indifferenza lo contristano = egli si rinchiude in sé e tace. O per dir meglio prima di parlare, prima di sentire in se le alte cose da rivelarsi, egli ha bisogno di misurare l’intelligenza di quelli a cui saranno rivelate, di trovare un campo dove sia tosto raccolta la sementa delle idee che egli vorrebbe far germogliare = la sua fiducia, il suo ardimento, la sua fecondità nasce in gran parte dalla certezza di un assenso, o almeno di una comprensione, o almeno di una resistenza ragionata. Fermo e Lucia, II, XI, 28.

La composizione dei Promessi sposi risponde a un progetto letterario collettivo. Per volontà dell’autore, il procedimento di ideazione e di scrittura del romanzo si compie all’interno di un ampio e assiduo sistema di relazioni colloquiali, dirette o epistolari, che svolge esplicita funzione di controllo critico e di sostegno creativo. Questo fatto, di singolare rilievo storico e artistico, è solidamente testimoniato dal carteggio manzoniano, dalle postille di Fauriel e di Visconti al Fermo e Lucia, dalle annotazioni linguistiche di Cioni, di Niccolini e di Emilia Luti alla edizione ventisettana. Alla luce di questa documentazione il confronto tra le diverse stesure del romanzo evidenzia quanto Manzoni debba ai propri collaboratori non solo in termini, anche numericamente assai rilevanti, di opzioni narrative e di varianti lessicali e stilistiche, ma nella prospettiva della chiarificazione e dell’approfondimento del metodo e delle scelte compositive.

Se la cooperazione tra lo scrittore e gli amici ai quali affida in prima lettura il manoscritto risponde inizialmente soprattutto a esigenze psicologiche o a pratiche necessità (ricerca di fonti, spogli lessicali, controlli terminologici, definizione delle scelte editoriali…), progressivamente essa si istituzionalizza in forma di coinvolgimento stabile di tali lettori privilegiati nel lavoro di produzione del testo. Il dialogo tra Manzoni e gli amici prefigura il rapporto tra l’autore e il pubblico: per questa via lo scrittore individua e interpreta l’area della propria utenza letteraria, mentre le attese di questa prendono forma nel corso delle fasi di scrittura, provocando e influenzando l’eterno lavoro di correzione e rielaborazione del quale le pagine manoscritte sono aperta testimonianza. Nei colloqui di Milano e di Brusuglio e nella trama epistolare che si svolge tra la città lombarda, Parigi e Firenze, Manzoni cerca e riconosce i segni della propria ispirazione italiana ed europea e, insieme, si rende consapevole dei problemi critici che il romanzo, nuovo per tanti profili, suscita. Le postille di Claude Fauriel, tracciate in margine al manoscritto del Fermo e Lucia nell’ultimo scorcio del 1823 aprono il dibattito sull’unità narrativa del romanzo, mentre quelle di Ermes Visconti, nei mesi successivi, pongono per la prima volta la questione del rapporto tra poesia e oratoria cattolica. La storia della critica ai Promessi sposi nasce all’interno del lavoro di produzione del testo e ne illumina l’intero processo di formazione. Allo stesso modo gli appunti lessicali di Gaetano Cioni, Giovan Battista Niccolini e, più tardi, di Emilia Luti confortano, tra il 1827 e il 1842 (ben al di là del riduttivo mito della “sciacquatura in Arno”), l’impegno di revisione linguistica del testo e, mentre orientano la riflessione manzoniana sulla “questione della lingua”, connotano la conclusiva formalizzazione stilistica del romanzo.

L’individuazione, nel tessuto narrativo dei Promessi sposi, degli apporti creativi e critici che l’autore ha sollecitato e accolto fornisce una prospettiva di lettura  di vasto orizzonte e in larga misura inesplorata. Gli interventi di Fauriel e di Visconti sul testo manoscritto del Fermo e Lucia sono complessivamente quasi trecento; le note lessicali o sintattiche di Cioni e di Niccolini assommano a molte centinaia, mentre le decine di cartigli autografi di Emilia Luti a noi pervenuti costituiscono la documentazione parziale, ma significativa, dell’apparato linguistico della giovane fiorentina «che ebbe», come dichiarò Manzoni, «la santa pazienza» di rivedere con me il lavoro da cima a fondo, a passo a passo» (Lettera ad Alfonso della Valle di Casanova, 30 marzo 1871, in Lettere, 1835).

La questione d’altronde non si misura in termini quantitativi, ma di  metodo e di significato. Manzoni programmò e diresse a più riprese la partecipazione collegiale al lavoro creativo, innovando arditamente, anche per questo aspetto, i procedimenti compositivi, affinché il romanzo potesse meglio interpretare esigenze spirituali, letterarie e linguistiche comuni. Il confronto tra le successive stesure del Promessi sposi documenta l’attenzione delicata e scrupolosa con la quale l’autore recepì i contributi esterni: in tutti i casi i suggerimenti furono valutati e, in larga maggioranza, accolti nel testo. Il romanzo ne è investito e rinnovato per diversi profili:  struttura, episodi, personaggi, lessico, stile. Sono in più luoghi fatti oggetto di osservazione da parte dei «correttori» (per riprendere il consueto epiteto manzoniano)* i rapporti tra esposizione degli eventi e intervento d’autore, tra storia e invenzione, tra principi morali e libertà dell’arte; è messo parzialmente in discussione il disegno psicologico di personaggi, quali Gertrude, l’Innominato, il Cardinale; il linguaggio è assoggettato a una scrupolosa analisi non solo sotto il profilo del corretto uso fiorentino**, ma anche della proprietà delle scelte espressive o di registro stilistico. Gli interventi esterni contribuiscono anche a recuperare e valorizzare alcuni legami tra il romanzo e la cultura letteraria italiana ed europea: sono chiamati a confronto e modello il teatro tragico classico e moderno, la letteratura inglese da Shakespeare a Scott e Byron, la tradizione comico-realistica fiorentina.

Manzoni mette in discussione la propria opera con generosità e ardimento intellettuali che onorano la sua coscienza artistica e morale. E i collaboratori rispettano l’originalità inconfondibile della sua creazione poetica, agendo all’interno della stessa sfera immaginativa, morale e stilistica, interpretando e perfezionandone l’intuizione originaria, difendendola talvolta contro lo stesso mai pacificato spirito autocritico dell’autore. Le “correzioni” al romanzo sono anche il primo riconoscimento della dignità letteraria dell’opera. Ha scritto Emilio Cecchi: «Oltre che da tante cose di maggior significato, la natura eccezionale, e in certo senso unica, d’un romanzo, anzi d’un poema  come i Promessi Sposi, risulta anche da questo: che la sua genesi e il suo perfezionamento sembrano, dico, sembrano perfino prescindere da quelle condizioni di solitudine, di mistero, di libertà e di completo isolamento interiore, che si direbbero indispensabili alla creazione di un’opera d’arte. Dal 1820 al1840, sembra che Manzoni abbia lavorato in pubblico con un monte di consiglieri, referendari, ecc. Vien da richiamarsi alla costruzione di certi grandi poemi epici del Cinquecento, che fa pensare a quella di  opere di pubblica utilità e di decoro (E. Cecchi, Taccuini, Mondadori, Milano 1976, p. 603)».

Nonostante tale autorevole indicazione, la questione delle “correzioni” ai Promessi sposi è stata trascurata o addirittura rimossa  anche dalla critica più avvertita e attenta. Eppure questa volontà e capacità di coinvolgimento e sintesi di istanze e energie diverse nell’unità dell’atto creativo, questa – per usare termini manzoniani – invenzione corale, concertante, che accorda voci diverse conservando a ciascuna un segno riconoscibile nell’armonia del testo globale è uno dei tratti più significativie originali della personalità di Manzoni, e concorre a qualificarne sia la modernità intellettuale che la statura morale, e a meglio situarle nella temperie etica e culturale del primo romanticismo lombardo. Anche la psicologia profonda dell’uomo riceve nuova luce dall’esplorazione delle sue relazioni interpersonali

Dal silenzio dei critici si distacca la voce di Vincenzo Paladino, autore di un importante saggio sulle postille di Ermes Visconti, pubblicato nel 1964 ([nota 3…], che costituisce l’avvio e il doveroso riferimento per ogni nuova indagine sull’argomento.

Ad esso si aggiunge una riflessione di Ezio Raimondi, ancora sulle postille viscontee, pubblicata nel 1983, significativa per le importanti implicazioni metodologiche ([nota 4…]). Il richiamo alle chiose dei collaboratori manzoniani è frequente nei commenti recenti al romanzo, senza tuttavia assumere carattere sistematico ([nota 5…]). Sono soprattutto gli apparati filologici che corredano le edizioni critiche che offrono dati e timoli per l’analisi e l’approfondimento delle questioni concernenti la composizione dei Promessi sposi: ogni nuova esplorazione dell’“officina” manzoniana fornisce strumenti originali e imprescindibili per la rilettura dell’opera compiuta e svela prospettive critiche inesplorate e suggestive. Dopo a meritoria pubblicazione di Tutte le Opere a cura di Alberto Chiari e fausto Ghisalberti nei «Classici Mondadori» ([nota 6…]), è oggi l’Edizione Nazionale ed Europea delle Opere di Alessandro Manzoni, promossa da Giancarlo Vigorelli per il centro Nazionale Studi Manzoniani di Milano, alla quale si accompagnano l’edizione critica dei Promessi sposi progettata e avviata da Dante Isella e i «Quaderni dell’Edizione Nazionale», a rendere disponibili, sul fondamento oggettivo e globale degli autografi rigorosamente identificati e verificati, tutti gli elementi conoscitivi e le informazioni per la comprensione analitica dei procedimenti creativi dello scrittore.

In particolare devo all’edizione del Fermo e Lucia (2006) diretta da Dante Isella, ultima e prestigiosa testimonianza del suo magistero filologico, l’occasione e la giustificazione per ripensare e riproporre ora, in edizione bibliograficamente aggiornata, il mio saggio Gli autori dei «Promessi sposi», pubblicato nel 1996, sulla base di ricerche edite tra il 1985 e il 1992. In questo studio, è ricostruito, per la prima volta sistematicamente, il quadro delle partecipazioni creative e critiche  alla composizione del romanzo, lungo il duplice arco di tempo che collega la revisione del Fermo e Lucia alla prima edizione dei Promessi sposi (1823-27) e questa alla seconda e definitiva (1827-42). Corredano questa nuova edizione il testo dell’introduzione alla manzoniane Lettere sui  «Promessi sposi» (1985), nel quale ripercorro l’intenso ed esteso colloquio epistolare  con i «venticinque lettori» al cui interno si situano la genesi e la composizione del romanzo,  e la comunicazione La lettura dei

«Promessi sposi» nuove questioni di filologia e didattica, presentata all’Accademia dei Lincei nel 1997 e specialmente indirizzata alla scuola, nella persuasione del permanente  e irrinunciabile valore educativo del libro manzoniano.

Esprimo sentita gratitudine per aver promosso questa edizione al Centro Nazionale Studi Manzoniani, in particolare ad Angelo Stella e Gianmarco Gaspari, Presidente e Direttore  del Centro, a Jone Riva, Segretaria del Centro, e alla memoria di Umberto Colombo e Giancarlo Vigorelli, amici e maestri di studi manzoniani.

La mia riconoscenza va inoltre alla Fondazione A. De Mari Cassa di Risparmio di Savona, per il generoso contributo finanziario, e alla Associazione  «Amici del Liceo Chiabrera», nelle persone dei Presidenti Silvano Godani e Ugo Folco, per l’amichevole ed efficace sostegno operativo».

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* Nella lettera n. 205, a Tommaso Grossi, a Milano, “fine luglio-inizio agosto 1824”, da Brusuglio, Manzoni “invia alcune bozze corrette del romanzo” e dopo la richiesta di alcuni favori, conclude con le parole: «Saluta i “concorrettori”».

** Dovrò tornare sull’argomento, ma nel frattempo propongo alla riflessione dei lettori un sorprendente brano della celebre lettera del Manzoni al marchese napoletano Alessandro Della Valle da Casanova, del 30 marzo 1871 (leggibile in rete, in: Alessandro Manzoni, Prose Minori / Lettere inedite e sparse / Pensieri e sentenze, pp. 342-351).

Commentando ciò che l’«amico veneratissimo» gli ha scritto, in lode delle correzioni alla «cantafavola dei Promessi Sposi nella seconda edizione illustrata», dovute soprattutto al dottor Gaetano Cioni e Giambattista Nicolini, Manzoni scrive: «E veda un poco: se quei due uomini avessero profittato delle dottrine che il conte Perticari, e altri con lui, erano riusciti a far prevalere in una gran parte de’ letterati d’Italia, m’avrebbero dovuto rispondere, l’uno con l’altro, a un di presso così: Cosa mi venite a chiedere? È affare di lingua italiana; e che c’entra un fiorentino più d’un milanese? La lingua è un patrimonio della nazione, e non un feudo d’una provincia, e molto meno, d’una città. È un affare di lingua scritta; e che c’entra il come si parli né qui né lì? È un libro che volete correggere? Ricorrete ai libri. Similia similibus curantur».