Appariva nei mesi autunnali, verso il tramonto. Discreto e silenzioso come un’ombra, appoggiava il suo valigione in cartone pressato davanti alla porta di casa nostra e bussava circospetto. Io correvo alla finestra, da dove scorgendo l’uscio di casa avvertivo “È arrivato Cunu”. Mio padre allora si alzava per invitarlo a entrare.
Qualche volta Cunu si fermava a cena. Attento a non pesare troppo sull’economia famigliare si faceva servire unicamente caffelatte che colmava di pane e poi si tagliava una fettina di formaggio che divideva a pezzetti e colmava di sale. Ringraziava ossequiosamente per la cena, poi rimaneva silenzioso, attento a non infastidire. A tavola io spiavo il suo grosso naso pieno di venuzze rosse simili alle indicazioni stradali nelle cartine geografiche e i suoi baffi bianchissimi. Mi sembrava molto vecchio ed evitavo di avvicinarmi troppo perché il suo alito era pestilenziale.
Dopo cena mio padre mi mandava a chiamare i vicini di casa per celebrare il mercato di Cunu. Cunu stendeva la valigia al centro della cucina e l’apriva con dignitosa lentezza. Ne uscivano specchietti, bottoni, rocchetti di filo, pettini, elastici, cerniere, stringhe, fettucce e un paio d’ombrelli neri che appoggiava sul tavolo. Con una precisione da certosino ragguagliava, nel suo dialetto delle vallate cuneesi, sui prezzi e sui tipi di materiale dei suoi articoli. Noi piccoli giocavamo a estrarre dalle custodie di pelle i pettinini e infilzavamo i bottoni con le pinzette per il bucato.
Cunu informava delle novità dei paesi che visitava, la memoria che riservava per i suoi articoli veniva meno per i nomi delle località e Farigliano diventava Ragliano, Murazzano Murano, Monesiglio Asilio. Conoscevamo questa tara e cercavamo di instradarlo a parlare di paesi, soprattutto quelli con nomi lunghi. Sghignazzavamo divertiti ai suoi errori, Cunu arrossiva poi si lisciava i baffi mortificato. Erano serate mansuete e tiepide come le castagne che cuocevano dentro una grossa pignatta che bolliva sulla stufa.
Cunu, infine, intascava monete, le infilava dentro un grosso portafoglio sgualcito, le donne ritiravano bottoni, qualche pinzetta e stringhe marroni. Gli ombrelli rimanevano sempre invenduti e penso arrugginirono insieme a Cunu, dentro i suoi passi di quei giorni autunnali imbevuti di piogge e nebbie. Di notte si fermava a dormire nella stalla. Si costruiva un giaciglio nella paglia e al mattino si svegliava cisposo e arruffato come un animale senza pretese. A colazione inzuppava il pane dentro il caffellatte, io controllavo bene la tazza che usava, perché l’avrei schivata nei giorni successivi temendo di trovarci dentro l’odore nauseante del suo alito. Prima di andarsene, apriva la sua valigia e mi faceva scegliere un oggetto, un regalo, quello che volevo.
Io guardavo a lungo senza decidermi, poi allungavo le mani, se l’articolo che sceglievo era costoso mia madre mi pizzicava allora io dirigevo la mano verso altri oggetti. Quasi sempre finivo per scegliere un pettinino dentro una custodia di finta pelle nera.
Passammo un autunno e poi l’inverno senza rivedere Cunu.
“Sarà morto” disse mia madre “era un brav’uomo, però puzzava.”.
Illustrazione di Franco Blandino per Margutte.