Nel 2000 è stato effettuato un radicale intervento di sistemazione alla Piazza Maggiore, cuore del quartiere di Mondovì Piazza. La “nuova” piazza non mi è mai piaciuta, l’eliminazione del giardino l’ho patita come un lutto e con molta fatica ho dovuto accettare quello che era successo.
Con la distruzione del giardino il piccolo monumento con la statua dedicata a Emilio Bertone di Sambuy è stato anche rimosso e ricollocato nel giardino del Belvedere.
Ogni qualvolta lo avvistavo, tra gli alberi, sotto la Torre Civica, avvertivo una frattura dolorosa con il mio vissuto. Intorno a quel monumento ho- giocato con tanti bambini come me, trasformandolo in uno spazio quasi magico.
La “sistemazione” della piazza mi ha sottratto una parte del mio vissuto, per cercare di esorcizzare e mitigare la perdita ho pensato di dare una nuova forza al vecchio monumento facendolo parlare. Ho provato a dare una forma ai miei ricordi, alle mie sensazioni e mi sono ritrovato a scrivere brevi frasi, immagini, momenti. Ho preparato 3 piccoli foglietti che ho incollato su un lato del monumento. Questo piccolo intervento mi ha fatto scaturire delle nuove riflessioni, pensieri che si sono materializzati in altri foglietti, non era più il Monumento a parlarmi, ma anche il giardino del Belvedere.
Ad una decina di metri dal monumento uno scivolo per bambini mi ha attirato e, sulle sue sponde di metallo ho incominciato nuovamente ad incollare i miei pensieri. Sulla sponda dello scivolo ci sono ormai 5 – 6 foglietti colorati con le mie poesie. Ci ho preso gusto, trovo nel mio studio una risma di striminziti fogli carta, sfridi di tipografia, diventano degli strani biglietti dove dipingo forme, macchie di colore, numeri, parole.
Tutti questi biglietti mi fanno pensare una storia, una piccola storia.
Il 1° maggio del 2010 mi ritrovo in Belvedere ad attaccare sugli alberi i biglietti e la storia. Biglietti e storia rimangono sugli alberi poche ore, perché un solerte vigile urbano me li farà rimuovere. Sulla sponda dello scivolo le mie poesie sono rimaste ancora per un annetto poi sono state imbiaccate di smalto rosso. Le prime poesie che avevo attaccato sul monumento si sono annerite e non sono più leggibili.
Nell’agosto del 2012 ho ripreso tutte le poesie che avevo scritto e le ho raccolte in un piccolo libricino che ho intitolato: “Una volta ho letto una storia”. Mi sono ritrovato a rileggere le cose scritte in quei giorni e mi rendo conto che il Monumento mi ha illuminato, ho visto la luce, come era capitato a John Belushi nella chiesa di Triple Rock. Quella tensione, quel disagio provocatomi dalla distruzione di Piazza Maggiore sono in realtà la consapevolezza della circolarità del tempo, della contraddizione del ricordo,della sua forza e contemporaneamente della sua impalpabile evanescenza.
(foto di Gianpiero Turco)