GIULIO GIADROSSI
Hanno già cantato tutto
i fiori non colti
i motel dai materassi pruriginosi
i capoversi sghembi
le rime slabbrate
i laghi negli occhi
i mari svuotati
le amarene sul gelato
ma noi rimaniamo ancorati
nei batuffoli ineffabili della parola
*
C’è un processo di indagine del reale
non indifferente
nei tuoi passi a tentoni
nel soffiare le bolle di sapone
nel separare la buccia dalla polpa
nella teoria dei tuoi respiri
in cui l’apnea e il rilascio
sono i capoversi
di un soppesare il mondo
ogni giorno
con rinnovata meraviglia
farsi misura di tutte le cose
anche quelle più misteriose
del fuorigioco non fischiato
dello spandimento sul soffitto
dell’equilibrio di un soffritto
della serie di Fibonacci
nei broccoli in frigo
*
Combattiamo guerre di posizione
su letti a una piazza
su piastrelle
scelte da madri
in case non nostre
su fazzoletti di cielo
che vediamo oltre il vetro
in tramonti albicocca
in base agli straordinari
*
Mia nonna è un soggetto rivoluzionario
le seppie al sugo
il rosso della casa
le lettere di protesta
all’amministratore condominiale
la marcia che non entra
le ferite di una guerra
combattuta nel silenzio
nel residuo di un tempo
che si affolla
sul ricamo
di giorni
che dell’eterno
hanno solo il peso
sollevato nei ritagli
di un pomeriggio
osservato
da un terrazzino
di begonie in fiore
Giulio Giadrossi, Dati sensibili, Terra d’ulivi editore 2023
Giulio Giadrossi (1988) ha pubblicato la silloge poetica Di stanza a Trieste (Ensemble editore, 2020). Alcuni suoi scritti sono apparsi su Charta Sporca, sul Multiperso di Carlo Sperduti e la rubrica Passaggi di Argo.
Nota di lettura di Marina Gogu Grigorivna
La quotidianità del corpo, del respiro, con gli oggetti prossimi che compongono il paesaggio domestico, sono le prime note che incontriamo in Dati sensibili. Il mondo, con la sua meraviglia sempre rinnovata, costituisce qui l’ordine di tutte le cose, si tratta di una prima dichiarazione di poetica. Si tratta di uno spazio concluso, nel quale l’esistente si muove in base a un ambiente definito, spesso più per necessità che per libera scelta. Così la buona capacità di cogliere con lo sguardo e annotare i momenti di una vita in comune, si traduce in momenti poetici, descrittivi di ciò che accade, senza una precisione di tempi, luoghi, o paesaggi che non siano quelli urbani. Si tratta di canovacci, “trame di possibile” in cui il lettore può individuare frammenti del proprio vissuto. Il racconto è sospeso tra presente, colto in un’età di passaggio quasi definitiva all’età adulta e passato che si riaffaccia con flashes, non dimenticato, evocato anche qui grazie a pochi elementi di un vissuto riferibile non solo al poeta (le porte coi mattoni, i giochi da bambini). Lo sguardo sulla realtà, tuttavia, non è pervaso di sola malinconia, non c’è distacco in questa “sensibilità”, c’è spazio anche per l’autoironia con un moto di appartenenza (“i nostri corpi”, “i nostri colpi”) al genere, e non di distacco (Gennaio mi piace, “cantami/il paradiso perduto”). Il linguaggio, la possibilità che esso sia compreso, da noi e comprensibile quando ci esprimiamo, è qui che si gioca la partita, in un’intimità, a volte ridotta ai minimi termini, che il poeta decide di trasmettere (“le nostre vite sono/dati sensibili/da condividere/a pochi eletti”) a chi vorrà/potrà coglierla. Si tratta dunque di una scelta (“ma noi rimaniamo/ancorati”) e non di un caso fortuito. La verità rischia di essere nascosta dalla mancanza di giuste parole per descrivere questi dati (“il pigolio/sommesso del vero”, i “sussurri delle cose”). Un secondo movimento di sguardo sul proprio poetare è contenuto in “Ogni poesia è un tentativo”. Quello cui si assiste è uno sperimentare individuale, che prende le mosse da un vissuto proprio, reso in termini asciutti e con un lavoro intenso di sottrazione, allo stesso tempo questo lavoro instaura un dialogo con una certa tradizione della poesia italiana, di questo secolo come del precedente, che ha costruito una solida impalcatura sulle cose minime, a volte indifendibili, impalpabili, poste sulla soglia dell’assenza. In queste poesie si costruiscono percorsi semantici minimamente visibili, sotterranei, tra i diversi testi, che fanno emergere linee di unione, un desiderio di respiro e apertura, contrapposto a un sentimento di asfissia sociale (ad esempio in sequenza, in tre componimenti, Mare/pesce/annegati). La socialità è associata a uno stigma, il posto fisso, i quiz televisivi, gli slogan, i biscotti pieni di conservanti, le riviste dal parrucchiere, raccolti come elementi di un anonimato diffuso. Il processo di diminuzione è biunivoco, procede verso le cose e ritorna al mondo dal poeta, mondo di “formiche” e di “moschini”, “bestiole”, “cani addomesticati”. “La vera lotta lo sai/è nella scomparsa”, questo è uno dei messaggi di risposta ‘interna’, rivolto all’essere parte di quei pochi eletti o di quei nessuno, destinatari di questi versi, umanità “in piedi da ere/o da ieri/che sembrano millenni”. Quella scomparsa in cui potremmo ritornare, già sottratti come siamo “al nulla”. Un altro tema che si rivela dopo l’attenzione dedicata a questo mondo descritto per minuscole cose, affidato alla percezione e collezione di dati sensibili, è costituito dal nostro possibile ritorno, come genere umano, a un momento anteriore, preistorico, animale, nell’universo infinito di cui non siamo che parentesi della volta celeste. Il quadro che si compone è, per quanto riguarda il poeta, salvaguardato nella sua integrità di osservatore, preciso e attento, del reale. Ci resta il colore di un paio di occhi acquamarina, a costituire quasi un segnale da saper cogliere, un appiglio in un mondo in cui nessuno si cura di nessuno, nel quale l’uomo è distante anni luce dall’uomo. La chiusura, sull’episodio del ristorante cinese, ribadisce questo senso di cesura dalla realtà, in cui non ci si vuole impegnare a compiere il passo per raggiungere l’altro, l’umano, paradossalmente perfino il letto a una piazza, è uno dei tanti simboli di questo essere insieme restando separati, in una lotta per la sopravvivenza perfino dell’intimità. L’infanzia ricordata sembra essere l’unico momento di quiete e distacco sereno dalla solitudine diffusa. La poesia così, preso atto di questi “dati sensibili”, manca l’accordo tra le parole e le cose, come un giocatore di carte che ha smarrito le indicazioni per decifrare i segni da fare col compagno, per portare a casa la partita.
(A cura di Silvia Pio)