STEFANO SICARDI
Il personaggio – perché di questo si trattava: indubbiamente di un personaggio –, dopo essersi inchinato lievemente come di sicuro gli era abituale in società, ed accolto l’invito dell’avvocato a prendere posto sulla poltroncina destinata ai clienti, decise di presentarsi prima che gli venisse richiesto.
«Coriolano Lazuppett».
L’avvocato credette di non aver inteso bene. Sgranò leggermente gli occhi; ed immediatamente, con una voce calda da baritono, seguì una precisazione che doveva essere abituale: «con due pi e due ti». Incongruamente l’avvocato si intromise: «e con due zeta?».
«Ovvio che no!», replicò con un minimo di educata stizza il suo interlocutore, «e non si dimentichi l’umlaut».
«Lazüppett», articolò l’avvocato con zeta morbida.
«Non così, la prego, non sono mica un’ape. Il mio cognome non è un ronzio. La zeta deve essere dura». E lo ripeté indurendo la zeta il più possibile.
Solo allora l’avvocato si accorse, con immediata irritazione, di essersi fatto portare “in braccio”, con una remissività che non si conosceva, da questo incredibile individuo – la parola inadatta costituiva una piccola vendetta -. Assunse un atteggiamento più duro.
«A cosa devo…»
«Mi permetta anzitutto di tessere l’elogio della sua bellissima cittadina. Ho potuto già percorrerla, con vivo trasporto. Chiese ragguardevoli: il Duomo, la Missione di S. Francesco Saverio, la deliziosa Santa Chiara. E poi i palazzi: San Quintino, Bressani, Fauzone e la splendida torre sulla cima del colle e poi ancora l’architettura civile del Gallo e, dulcis in fundo, il Santuario a pochi chilometri, adagiato tra incantevoli colline».
Pareva divenuto un compìto cicerone, ma si era lasciato troppo trasportare e se ne dispiacque. «Domando perdono, vengo al dunque. Mi hanno detto ogni bene di lei, avvocato. Questi luoghi non mi sono abituali ma ho dovuto recarmici per una questione legale che mi riguarda e che devo assolutamente affrontare».
Si esprimeva come se l’affrontare una causa od anche una semplice controversia fosse una volgare necessità, qualcosa se non di indecente, almeno di molto pacchiano.
L’avvocato Pasquero era ancora incerto se arrabbiarsi o divertirsi. Aveva bisogno di sostegno.
«Chiedo alla mia collega di essere presente al nostro colloquio, in modo che anch’essa sia debitamente e pienamente informata». Dalla linea interna chiamò Artemisia, che, nella fase di inevitabile ristrutturazione del suo personale di studio[1], lo coadiuvava sempre più, con competenza e affetto. Davvero una grande collega ed una grande amica.
Artemisia fece il suo ingresso alla grande. Compostezza non solo professionale ma signorile, pettinatura come appena uscita da uno chaffeur parigino, completo tweed da grande sartoria, bjotteria di classe. L’avvocato fece le presentazioni.
«La mia collega Artemisia Gaffòdio» – Anche Artemisia ci teneva che il suo nome fosse pronunciato con l’accento corretto – «il signor Coriolano Lazüppett».
Solo ora si accorse dell’assurdità di quel cognome, al quale genitori sicuramente esibizionisti avevano abbinato un nome altrettanto incredibile.
Artemisia e Coriolano! Uno scontro tra titani!
Il conte Lazüppett, alzatosi dalla poltroncina con una levità contrastante con la sua stazza, si esibì – mostrando una provata esperienza – in un baciamano da Corte di Vienna.
Artemisia rimase senza fiato. Riuscire a bruciare Artemisia in contropiede! La stima dell’avvocato per Coriolano Lazüppett crebbe di molti punti. Tra il resto non doveva essere stato facile trascinarsi quel nome attraverso l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza. A meno che nell’ambiente da cui il personaggio proveniva ciò che all’avvocato pareva parecchio bizzarro fosse ritenuto invece del tutto normale.
«Ci dica, signor Lazüppett», e attento alla zeta dura.
«Per la verità conte… ma lasciamo perdere, ormai i titoli, mi si perdoni il bisticcio, non fanno più titolo e come dice la vostra Costituzione» – la vostra? – «fanno al più parte del cognome… Comunque conte, di lontana provenienza engadinese…»
“Ah sì, la Svizzera dei Grigioni” si disse l’avvocato.
«Ma non è certo per questo che sono qui».
Si prese una pausa. «Mi è capitata un’inaspettata eredità. Un ramo famigliare da cui ci eravamo a dir poco allontanati da tempo. Esauritosi, sono venuto a sapere di essere, insieme a mia nipote Ersilia, l’unico erede vivente. Lei si chiederà», proseguì più spedito, «perché non mi sia rivolto soltanto ad un notaio in loco e sia anche venuto da lei. Il fatto è che la questione testamentaria si intreccia con i beni ereditari che mi sono stati demandati…»
«Di cosa si tratta, conte?», gli si rivolse delicatamente Artemisia, come fosse stata in un salotto blasonato.
Visibilmente, anche se con studiata nonchalance, il Lazüppett apprezzò. Ne subiva il fascino, era evidente, e d’altronde anche del tutto prevedibile.
«Si tratta», iniziò in termini circospetti, «di un allevamento situato nelle vicinanze, molto cospicuo, davvero di primaria importanza e rilievo…»
Di stalloni per concorsi ippici? Di cavalli lipizzani? Ma ce n’erano da queste parti? Si stava chiedendo l’avvocato Pasquero.
La precisazione tardava a venire. Poi il Lazüppett si decise: «…di suini», in un soffio, come se l’eloquio sommesso rendesse più delicato – e meno impudico – l’asse ereditario.
«Dei porci?», si sentì dire incongruamente, e con voce stranamente squillante, l’avvocato. Ma che mai? Gli era scappato!
«Se li vuole chiamare così…», osservò malinconicamente Lazüppett.
[1] Vedi il precedente giallo “La scomparsa di Ludovica”.
***
I gialli di Stefano Sicardi fino ad ora pubblicati sono dieci. I primi due (La scomparsa di Ludovica, 2020, e Onore all’antiquario, 2021) in volume singolo. Gli altri otto in volume doppio. Nel 2021 è uscito Extralarge in Ateneo insieme ad Ambasciator non porta… Nel 2022 Landandé, insieme a Il fardello di Annelise. Sempre nel 2022 A prova di chef insieme a Il testamento mancante. E, infine, nel 2023 Misfatto in fiera insieme a Delenda Carthago![Purtroppo un gigantesco refuso solo nel titolo, come si vede dalla foto in copertina, ha prodotto Chartago!].
I gialli si svolgono, senza che sia esplicitamente detto, a Mondovì, nei suoi immediati dintorni e nelle sue zone pedemontane; a Cuneo e nella pianura cuneese (con puntate nel torinese, in Liguria e anche più oltre); e gli ultimi due al Santuario di Vicoforte.
Le singole avventure ruotano intorno ad una serie di personaggi fissi: l’avvocato Gregorio (Greg) Pasquero e sua moglie Lisa, le colleghe di studio Artemisia e Ludovica, il maresciallo Prestìa gran segugio della Benemerita, Al il giornalista e, in ultimo ma non da ultimo, Magna Rina, un’anziana energica maestra in pensione che si dedica alla sua piccola cascina e possiede un fiuto particolare per le indagini. Attorno a questo nucleo centrale si pongono i protagonisti delle singole storie: una distaccata, solitaria professoressa; un distintissimo conte; studenti e docenti universitari; un ambasciatore in pensione; una famiglia contadina guidata da un’energica padrona di casa; una giovane ricercatrice svizzera in trasferta dalle nostre parti; due chef che non si sopportano; una vicenda oscura di eredità; un fattaccio durante la fiera del Santuario e due sorelle alle prese con una madre autoritaria.
Prima di dedicarsi alla giallistica Stefano Sicardi ha pubblicato, nel 2019 per i tipi di Araba Fenice, il romanzo, ambientato nel Monregalese, Lo strument, che Margutte ha recensito QUI.
Una serie di suoi lavori sono ancora inediti. In particolare, Riccia, uno dei racconti contenuti nel volume Vivere i giorni, ha ottenuto il primo premio, per il settore “racconto inedito”, al concorso “Quercia del Myr”, 2022-2023.
Ogni mese Margutte pubblicherà uno stralcio tratto dai suoi gialli.