Cristina Saimandi in mostra a Cuneo, tra arte e musica

Custodi d'acqua

Custodi d’acqua

FULVIA GIACOSA

Fragile – Custodi d’acqua – Quasi un respiro -  Dove non si regna – Paesaggi interiori: con questi titoli Cristina Saimandi ha creato cinque sezioni della interessante personale alla Fondazione Peano di Cuneo, curata da Ida Isoardi. Il titolo che le raccoglie è Petricor. L’odore della pioggia che indica appunto l’odore della terra e delle pietre irrorate dalla pioggia dopo un periodo di siccità. Metaforicamente lo si può leggere come un ritorno alla vita (l’acqua vivificante) che sconfigge luttuose secchezze. Al centro della grande sala espositiva sotterranea della Fondazione, su un letto circolare di terra, stanno due alte casse lignee da imballaggio con la scritta in rosso “FRAGILE” sormontate da due corvini busti ceramici il cui volto bianco richiama le maschere piangenti delle tragedie greche. All’arte è affidato il compito di ricordare la fragilità della natura tutta, nei suoi elementi primi (acqua e terra da custodire) e nella congerie umana che non sa proteggerla.

 

Cristina è artista poliedrica che unisce pittura, scultura e ceramica tra tecniche antiche e sperimentazioni contemporanee. È soprattutto un’artista coraggiosa e determinata che sa dire ciò che va detto, senza nascondere – a se stessa prima che a noi – la consapevolezza di quella impermanenza che è delle cose come degli stati d’animo; anzi usa tale consapevolezza per ritagliarsi momenti creativi altamente poetici dal linguaggio originalissimo, estraneo alle mode e portatore di un messaggio etico irrinunciabile per l’artista. Succede così che anche quando le sue opere paiono dominate da  toni aspri e angoscianti non  mancano mai compensazioni, ora di dolcezza melanconica ora di sottile e salvifica ironia, che aprono varchi di serenità e desiderio di vita. C’è infatti nel suo lavoro una continua oscillazione tra tragedia e lirismo, entrambi catartici come volevano gli antichi. Così è per i “Custodi d’acqua”, scure teste poggianti su cinque vasche circolari contenenti un allarmante liquido rosso-sangue sul cui volto poggia una piccola ciotola pronta ad accogliere e conservare l’acqua portatrice di vita; così è per la serie “Quasi un respiro”, nove moderni canopi di etrusca memoria con tenere scritte come “Maman Je suis ici” a vincere la grande paura della solitudine. Il canopo etrusco altro non era che un contenitore-memoriale delle ceneri dei defunti richiamati dall’antropomorfico coperchio. Gli Etruschi possono insegnarci ancora qualcosa a proposito dell’oltretomba: essi – scriveva Alberto Savinio – erano così terrorizzati dall’idea della morte che riempivano il tempo della vita per scacciarne il pensiero e facevano di tutto perché il defunto si trovasse a suo agio nel “dopo” che doveva assomigliare quanto più possibile al “prima” (una visita alle necropoli di Cerveteri è illuminante). La metafisica del comico interviene a buon punto a mitigare la metafisica del tragico … Il riso fa l’uomo forte, sentenziava con ironia Savinio.

Ma torniamo alla mostra. Se nella sala grande domina il rapporto empatico con la materia – centrale nell’arte di Saimandi – nella intima saletta al piano superiore l’artista ha collocato un gruppo di nove “dadi” in porcellana,  engobbio e cristallina dalla grafia vibrante ed evocativa. Il titolo dell’insieme, Dove non si regna, introduce il tema del caso, ingovernabile per i miseri mortali. Come non pensare a Mallarmé e al suo Un Coup de dés jamais n’abolira le hasard dalla singolare disposizione sulle pagine di versi separati da ampi spazi vuoti; ne estrapolo due: “In quei paraggi del caso in cui ogni realtà si dissolve” e “ogni pensiero emette un colpo di dadi” che mi sembra ben si sposino agli “imprevisti” pensieri in forma pittorica di Cristina. Sulle pareti si snodano infine fogli di porcellana, pastelli acquarellati, matite su carta, prevalentemente in bianco e nero ma, inaspettatamente, con taches trasparenti e brillanti (turchesi, gialle, rosse, verdi, rosa) che formano la serie dei Paesaggi interiori. All’artista non è mai interessato restituire l’oggettività naturale (il “paesaggio” come genere pittorico), la sua ricerca è piuttosto la rappresentazione dell’inesprimibile; ecco allora vaghezze fiorite di giardini “interiori” in cui una quasi festosa  piacevolezza fa da antidoto, per quanto momentaneo e fragile, agli orrori  del presente.

 

Il giorno dell’inaugurazione Euterpe, musa della musica, si è materializzata nella sala: due flautisti, un batterista e un chitarrista hanno magistralmente tradotto nel linguaggio sonoro i pensieri dell’artista eseguendo Dialogo angelico di Goffredo Petrassi (i due flauti) ricco di contrappunti e movimenti, e Cecità (batteria e chitarra), un brano inedito ispirato all’omonimo romanzo di Josè Saramago, che oserei definire apocalittico per il crescendo tragico, disarmonico e martellante, che nel silenzio finale sembra riportarci al Big Bang originario e, in quanto tale, forse foriero di un nuovo – agognato – inizio.

 

INFO. La mostra si può gratuitamente visitare alla Fondazione Peano, corso Francia 47, fino al 12 maggio, dal giovedì alla domenica (orario 16-19). Per informazioni: www.fondazionepeano.it

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(Le immagini sono pubblicate dietro liberatoria dell’artista)